Lo scorso aprile avevo pubblicato un post dove venivano ricostruite le caratteristiche che avrebbe dovuto avere un sistema formato da un buco nero supermassiccio ed un pianeta posto sull'orbita stabile più vicina al suo orizzonte degli eventi, così che ad un'ora trascorsa sulla superficie quest'ultimo corrispondessero 7 anni passati sulla Terra. (1)
Vi spiegavo come la dilatazione temporale, per chi si trovi sulla superficie di un pianeta in orbita attorno ad un buco nero, sia proporzionale alla massa del buco nero, al suo parametro di spin ed alla distanza del pianeta rispetto all'orizzonte degli eventi.
Circa un mese fa, leggendo l'articolo pubblicato su Media Inaf "Sagittarius A* corre al massimo, parola di IA" (2), mi sono chiesto in che misura rallenterebbe il "ritmo del tempo" per un osservatore che si trovi sulla superficie di un pianeta posto sull'orbita stabile più vicina all'orizzonte degli eventi di un buco nero di cui abbiamo prova dell'esistenza e del quale disponiamo informazioni necessarie a calcolare il fattore di dilatazione temporale.
Nel nostro universo sono presenti diversi tipi di buco nero, raggruppabili in base alla massa ed al fenomeno che ha dato loro origine. (3)Ad oggi abbiamo conferma dell'esistenza di circa 300/400 buchi neri di massa stellare (4) e di oltre un migliaio di buchi neri supermassicci (5) posti al centro della galassia che li ospita.
Stime statistiche relative al loro numero nell'intero universo osservabile annoverano tra i 10¹⁹ ed i 10²⁰ buchi neri di massa stellare, tra i 10⁹ ed i 10¹⁰ buchi neri supermassicci oltre (forse) ad un numero compreso tra i 10⁵ ed i 10⁶ di buchi neri di massa intermedia.
Sebbene la Relatività Generale ci informi che la dilatazione temporale dovuta alla gravità (6) raggiunga il suo massimo in prossimità dell'orizzonte degli eventi, la possibilità di trovare un pianeta su un'orbita stabile sufficientemente vicina ad un buco nero è legata all'intensità delle forze mareali che lo investono, forze che potrebbero distruggerlo o rendere instabile la sua orbita.
Il limite più interno per un’orbita circolare stabile è chiamato "ISCO" (Inner most Stable Circular Orbit) e la misura del suo raggio dipende dalla massa e dal parametro di spin (7) del buco nero, oltre che dalla direzione verso cui procede il pianeta sull'orbita rispetto allo spin del buco nero (orbita prograda se il pianeta si muove nella stessa direzione in cui ruota il buco nero; in caso contrario orbita retrograda).
La dimensione minima di un buco nero perché un pianeta possa orbitare in modo stabile sopra l’ISCO:
a) Per un buco nero di Schwarzschild, cioè un buco nero "non rotante", il raggio dell'ISCO risulta pari a 6 volte il raggio di Schwarzschild:
raggio di Schwarzschild r(s) = 2 GM/c²
raggio orbita ISCO r(ISCO) = 6 r(s) = 12 GM / c²
Le condizioni per la sopravvivenza di un pianeta posto su quest' orbita sono due:
- l’ISCO deve risultare sufficientemente grande da evitare forze mareali distruttive;
- il riscaldamento della regione orbitale, determinato dal disco di accrescimento, non deve risultare eccessivo.
Affinché un pianeta delle dimensioni della nostra Terra non venga spaghettificato (o evapori a causa del calore), è necessario che la sua orbita si trovi a qualche milione di km di distanza dall'orizzonte degli eventi: l’ISCO, e di conseguenza il raggio del buco nero, devono quindi esser abbastanza grandi.
Proviamo a fare una stima empirica riguardo ad un buco nero non rotante:
r(ISCO) ≳ 10⁷ km (una distanza simile a quella di Mercurio dal Sole)
Per un buco nero non rotante
r(ISCO) = 12 GM / c²
e, risolvendo per M,
M ≳ r(ISCO) c² / 12 G
Usando i seguenti valori - r(ISCO) = 10⁷ km = 10¹º metri, G = 6.67 × 10−¹¹, c = 3×10⁸ metri - otteniamo una massa pari a M ≳ 1.1 × 10³⁷ kg che convertita in masse solari restituisce ≈ 5.5 × 10⁶ M⊙ (5,5 milioni di masse solari)
ll raggio di Schwarzschild più piccolo per un buco nero non rotante che consenta la presenza di un pianeta in orbita stabile sopra l’ISCO risulta quindi pari a:
r(s) = 2 GM / c² = 1.6 × 10⁷ km
una misura che corrisponde ad una massa pari ad almeno 5 milioni di masse solari (nell'ordine di grandezza della massa di Sgr A*, il buco nero al centro della nostra galassia).
b) Nel caso di un buco nero rotante, per il quale è la metrica di Kerr a descrivere la geometria dello spaziotempo, l'orbita ISCO dipende, oltre che dalla massa del buco nero, dal "parametro di spin a" e dal senso dell’orbita rispetto al moto di rotazione del buco nero. (8) Per un corpo che si trovi su un'orbita equatoriale prograda attorno ad un buco nero rotante il raggio dell'orbita ISCO risulta pari a:
r(ISCO) = GM / c² x R[ISCO] (a)
dove R[ISCO] è la soluzione della formula trovata da Bardeen, Press & Teukolsky nel 1972 (9)
Calcoliamo il raggio dell'orbita ISCO come multiplo del raggio di Schwarzschild (GM / c²) per diversi valori del parametro di spin "a" (variano tra 0 e 1):
- Spin a = 0 (buco nero non rotante): ISCO Prograda e Retrograda coincidono, ed il loro valore risulta pari a 6 (cioè 6 volte il raggio del buco nero);
- Spin a = 0.5: ISCO Prograda è pari a ~4.23 e Retrograda pari a ~7.52;
- Spin a = 0.9: ISCO Prograda è pari a ~2.32 e Retrograda pari a ~8.99;
- Spin a = 0.998 (limite teorico): ISCO Prograda è pari a ~1.24 e Retrograda pari a ~9.00;
- Spin a = 1 (estremo, teorico): ISCO Prograda è pari a 1 e Retrograda pari a 9.
L'ISCO di un buco nero con massa pari ad un milione di masse solari, relativamente ad un'orbita prograda con a = 0.998 (quindi ISCO ≈1.24), risulta essere:
r(ISCO) ≈ 1.48 km x 10⁶ x 1.24 ≈ 1.83 x 10⁶ Km
circa il 3% del raggio relativo all’orbita di Mercurio (l'orbita viene completata dal pianeta in soli 73,5 secondi).
Questi risultati portano ad escludere la presenza di pianeti posti su un'orbita stabile sufficientemente vicina all'orizzonte degli eventi (così che vi si avverta una dilatazione temporale di intensità significativa) nel caso di buchi neri di massa stellare o intermedia:
rivolgiamo quindi la nostra attenzione ai soli buchi neri supermassicci (e tra questi dobbiamo selezionare quelli di cui disponiamo di informazioni attendibili circa la massa ed il parametro di spin).
La collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) è il progetto scientifico internazionale che ha permesso di ottenere le prime immagini dirette dell’orizzonte degli eventi (o più precisamente dell’ombra) di un buco nero combinando i dati raccolti da radiotelescopi distribuiti in tutto il mondo al fine di formare un interferometro a lunghissima base (VLBI) con risoluzione angolare estrema (10)
Nel corso di campagne stagionali susseguitesi dal 2017 ad oggi, EHT ha raccolto informazioni accurate su due buchi neri supermassicci:
- M87* che si trova nel cuore della galassia Messier 87, distante 54 milioni di Anni Luce (pari a ~16.6 Mpc, ~ 5.1 × 10²⁰ km);
- Sgr A* al centro della Via Lattea, a 26.700 Anni Luce dal nostro pianeta. (11)
Si ritiene che Sgr A* si sia formato nel primo miliardo di anni dopo il Big Bang, là dove M87* sembra aver avuto origine da una nube primordiale collassata direttamente in un buco nero in un tempo ancora anteriore. (12)
La misura della massa.
La stima della massa di Sgr A* - pari a circa 4,1 milioni di masse solari e con un raggio di Schwarzschild pari a circa 11,8 milioni di km - è stata ottenuta con grande precisione grazie ad osservazioni astrometriche e spettroscopiche delle stelle che gli orbitano attorno, la più importante delle quali è S2 la cui traiettoria è una Kepleriana ellittica attorno a una massa invisibile e puntiforme. (13)
Quella di M87* - circa 6,5 miliardi di masse solari con un raggio di Schwarzschild pari a circa 19,2 miliardi km - è stata stimata combinando due approcci: studiando la dinamica stellare e del gas e, dopo il 2017, utilizzando l'imaging VLBI della sua ombra. (14)
La misura dello spin.
Un buco nero è un oggetto che non emette luce dunque lo spin può esser misurato soltanto con metodi indiretti.
Nel caso di un buco nero di Kerr a ruotare è lo spazio tempo intorno all'orizzonte, e tale rotazione influenza tutto quanto lo circonda: osservando l’ambiente circostante possiamo risalire al valore del suo spin.
I metodi oggi utilizzati per ricavare lo spin di un buco nero vanno dall'analisi spettroscopica in banda X dei dischi di accrescimento, all'analisi delle onde gravitazionali emesse durante il processo di fusione, a quella delle immagini VLBI (la forma dell'ombra e modelli magneto-idrodinamici permettono di ricavare lo spin). (15)
Ognuno di questi metodi ha i suoi punti di forza ed i suoi limiti: spesso si usano più metodi in parallelo per ottenere una stima più robusta.
Stimare lo spin di Sgr A* era stato sinora molto difficile a causa della variabilità estrema del flusso di accrescimento (cambia nel giro di qualche minuto), della mancanza di linee spettrali che permettano di usare la riga Fe Kα così come di stelle abbastanza vicine da mostrare effetti di frame dragging; non essendo in corso un fenomeno di fusione non ci sono neppure onde gravitazionali da analizzare.
In passato erano state utilizzate simulazioni GRMHD (General Relativistic MagnetoHydroDynamics) che modellano il plasma caldo e magnetizzato attorno ad un buco nero rotante per generare un grande numero di modelli con spin ed inclinazione diversi, e utilizzando più modelli di accrescimento.
Ogni simulazione produceva immagini sintetiche (a 230 GHz) e light curves che venivano poi confrontate statisticamente (via Bayesiana) sia con l'immagine reale del 2022 che con la variazione della luce a scala di minuti.
Non era dunque possibile misurare lo spin in modo preciso, anche se tale processo permetteva di escludere alcune configurazioni.
La svolta si è avuta nel mese di giugno scorso grazie al team guidato da Michael Janssen che, utilizzando in modo creativo una rete neurale bayesiana, ha ottenuto per Sgr A* un valore attendibile del parametro di spin pari a 0.90 ± 0.06 (16)
Lo stesso metodo di analisi è stato poi utilizzando da Janssen per ottenere la stima del parametro di spin di M87* che risulta esser compreso tra 0.5 e 0.94 (uno studio indipendente - Drew et al., maggio 2025 - che ha usato le immagini EHT e la polarizzazione, ha stimato il parametro di spin pari a ~0.8).
Il disco di accrescimento risulta ruotare in senso opposto rispetto allo spin del buco nero: questo significa che le particelle nel disco si muovono in una orbita retrograda, e di conseguenza sarà retrograda anche l'orbita ISCO. (17)
La misura dell'ISCO e la sua distanza dall'orizzonte degli eventi.
Siamo a questo punto in grado di ricavare il raggio ISCO per entrambi i buchi neri: (18)
- Sgr A*: massa 4,1 milioni di masse solari, un parametro di spin (progrado) pari a 0.9, raggio dell'orizzonte degli eventi pari a 8.600 km, presenta un r(ISCO) ≈ 13.800 km ed una distanza ISCO-orizzonte pari a 5.200 km
- M87*: massa 6,5 miliardi di masse solari, un parametro di spin (retrogrado) pari a 0.8, raggio dell'orizzonte degli eventi pari ad oltre 15 miliardi di km, presenta un r(ISCO) ≈ 81 miliardi di km ed una distanza ISCO-orizzonte pari ad oltre 65 miliardi di km
Pur avendo M87* una massa pari ad oltre 1500 volte quella di SgrA*, essendo retrograda, la sua orbita ISCO è quasi 6 volte più lontana (l'efficienza di accrescimento è infatti inferiore in configurazione retrograda).
Il fattore di dilatazione temporale su un pianeta posto sull'ISCO per ciascuno dei due buchi neri
Il fattore di dilatazione temporale gravitazionale descrive di quanto rallenta lo scorrere del tempo in presenza di un campo gravitazionale rispetto ad un osservatore lontano dalla sorgente del campo (idealmente all'infinito); è il rapporto tra il tempo proprio dτ (cioè il tempo misurato da un osservatore locale, ad esempio su un pianeta vicino ad un buco nero) e il tempo coordinato dt (il tempo misurato da un osservatore lontano, ad esempio sulla Terra).
Nel caso di un buco nero non rotante per un oggetto a distanza r da una massa M, in un campo gravitazionale statico (metrica di Schwarzschild) si ha:
dτ/dt = √[1 - (2 G M / r c²)]
dove G è la costante gravitazionale, M la massa del buco nero, r la distanza radiale dall’oggetto massivo (distanza da''orizzonte) e c la velocità della luce.
In presenza di rotazione (metrica di Kerr) il calcolo diventa più complesso in quanto il fattore di dilatazione temporale risulta dipendere anche dal momento angolare del buco nero (spin a), dall'angolo polare (θ) e dal moto orbitale.
In orbite circolari equatoriali possiamo usare il rapporto dt/dτ (inverso del fattore di dilatazione) che risulta eguale a:
dt/dτ = 1 / √ { 1 - 3r₉/r +2a √ [r₉ / r^(3/2)]}
dove r₉ è il raggio gravitazionale del buco nero pari a GM/c²
Utilizziamo le grandezze sin qui ricavate (M massa del buco nero, r distanza radiale dall'orizzonte degli eventi ed a parametro di spin) per ottenere dt/dτ.
Nel caso di Sgr A*, dt/dτ risulta pari a 2,15 e cioè per ogni ora passata dall'osservatore sul pianeta sull'orbita ISCO sono passate due ore e 9 minuti misurate da un osservatore lontano (coordinate time).
Nel caso di M87*, dt/dτ risulta pari a 1,27 e cioè per ogni ora passata dall'osservatore sul pianeta sull'orbita ISCO è passata un'ora e 1/4 misurata da un osservatore lontano.
Questi valori sono molto lontani da quelli indicati da Kip Thorne per il suo Pianeta di Miller, per il quale dt/dτ doveva esser pari a 61.320 e cioè un'ora sul pianeta corrispondere a 7 anni trascorsi sulla Terra.
Per soddisfare la richiesta di Nolan, il regista del film, Kip aveva dovuto ipotizzare la presenza di un buco nero supermassiccio con massa pari a 10⁸ M⊙ (100 milioni di masse solari), uno spin quasi estremo (a ≳ 0,999999) ed un'orbita ISCO prograda molto vicina all’orizzonte degli eventi, quasi coincidente con l’orizzonte.
A confronto Sgr A* ha una massa pari a 4 x 10⁶ M⊙, circa il 4% di quella posseduta da Gargantua nel film, ed un parametro di spin a pari a 0.9 (rispetto ad un valore prossimo a 1 per il buco nero di Interstellar).
In conclusione possiamo affermare di esser abbastanza sicuri che nel nostro universo ci sia almeno un buco nero supermassiccio (Sgr A*) in grado di ospitare un pianeta sull'orbita più vicina al proprio orizzonte cosìcchè un astronauta sulla sua superficie sperimenterebbe una dilatazione temporale tale che ad ogni intervallo di tempo corrisponda il suo doppio là dove la curvatura dello spaziotempo risulti poco significativa (ad esempio sul nostro pianeta).
Note:
(1) Il richiamo è al film “Interstellar” dove, atterrato sul pianeta di Miller la cui orbita quasi coincide con l'orizzonte degli eventi del buco nero Gargantua, il protagonista sperimenta una situazione estrema, tale che il valore del fattore di dilatazione temporale risulti pari a
1 / (7 x 365 x 24) = 1 / 61320 ≈ 0,000016.
Per i dettagli vedi il mio post "A cosa è dovuta l'enorme dilatazione temporale sperimentata dall'interprete del film di Nolan sul pianeta di Miller?" pubblicato il 24 aprile 2025.
(2) Articolo pubblicato lo scorso 9 giugno da Laura Leonardi su Media Inaf e poi ripreso da molti altri media e commentatori.
(3) I buchi neri vengono classificati in base alla massa ed al fenomeno che ha dato loro origine:
- Buchi neri stellari (BH): dotati di una una massa compresa tra le 3 e le 10 M⊙ (M⊙ = masse solari), sono il risultato di un collasso gravitazionale di stelle la cui massa era compresa tra le 8 e le 20 M⊙ (durante la fase di supernova gli strati esterni vengono proiettati nello spazio circostante e solo il nucleo si trasforma in un buco nero).
- Buchi neri di massa intermedia (IMBH): dotati di una massa compresa tra 10² e 10⁵ M⊙ (alcune fonti stimano fino a 10⁶ M⊙), si pensa siano stati originati da fenomeni diversi quali: la progressiva fusione di buchi stellari presenti in ammassi densi, il collasso di grosse stelle di Popolazione III (le Population III stars sono le prime stelle ad essersi formate, composte quasi esclusivamente da idrogeno ed elio primordiali; con massa compresa tra le 10 e le 1000 M⊙ si stima abbiano consumato la propria vita in un periodo compreso tra poche centinaia di migliaia di anni - le più massicce - sino a qualche milione di anni) o infine semi-collassi diretti di nubi di gas.
- Buchi neri supermassicci (SMBH): dotati di una massa compresa tra 10⁵ e 10¹⁰ M⊙, si trovano al centro di quasi tutte le grandi galassie. Si ritiene siano il risultato di "semine" da IMBH cui abbia fatto seguito un accrescimento continuo, oppure siano conseguenza di collassi diretti altamente massivi. Ai buchi neri supermassicci sono associati fenomeni quali attività AGN, getti relativistici e quasars.
- Buchi neri primordiali: si tratta di una categoria ipotetica - non abbiamo sinora evidenze della loro esistenza - di buchi neri con una massa compresa tra 10⁻⁵ grammi e 10⁵ M⊙ . Si ritiene possano essersi formati da fluttuazioni di densità nell'universo primordiale nei primi istanti dopo il Big Bang.
- Altre categorie ipotetiche, previste da modelli teorici avanzati e menzionati in teorie altamente speculative, sono i micro-buchi neri (oggetti piccolissimi creati durante o appena dopo il Big Bang ed evaporati in brevissimo tempo a causa della radiazione di Hawking) ed i buchi neri carichi o esotici (quali i buchi ner di Kerr-Newman dotati di carica elettrica ed i buchi bianchi).
(4) Sono circa un centinaio i buchi neri stellari la cui esistenza è stata confermata singolarmente attraverso sistemi binari a raggi X, l'osservazione di orbite di stelle compagne ed il metodo indicato col nome lente gravitazionale microlensing.
- Un sistema binario a raggi X è costituito da una coppia di oggetti celesti, una stella normale ed un oggetto compatto quale un buco nero o una stella di neutroni.
Nel caso l'oggetto compatto sia un buco nero, questo attira materia dalla stella compagna a causa della sua gravità, materia che va a formare un disco di accrescimento attorno al primo.
Spiraleggiando, la materia viene riscaldata a milioni di gradi e si trova ad emettere così radiazione ad alta energia, in genere nella banda X.
Tale radiazione viene rilevata da telescopi spaziali quali Chandra, XMM-Newton, NICER ed altri.
- Un secondo metodo per individuarne la presenza è l'osservazione delle orbite delle stelle compagne.
Identificata una o più stelle che sembrano orbitare intorno ad un punto dove apparentemente non c'è nulla, si procede a misurarne posizione e velocità in tempi successivi usando spettroscopia ed astrometria; ottenute informazioni precise circa la loro orbita, si applica la terza legge di Keplero corretta per la Relatività Generale per ricavare la massa dell'oggetto attorno al quale esse orbitano.
Se risulta maggiore di 3 masse solari, in assenza di luce o radiazione abbiamo la conferma si tratti di un buco nero.
Con questa tecnica sono stati identificati:
- Cygnus X-1 nel 1971, un sistema costituito da una stella supergigante blu ed un buco nero di circa 21 M⊙;
- Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio posto al centro della Via Lattea. Nel 1974, utilizzando il Very Large Array (VLA), gli astronomi Bruce Balick e Robert Brown avevano individuato una sorgente radio compatta ed intensa posizionata al centro della nostra galassia, e si erano chiesti se potesse essere un buco nero; nel decennio successivo osservazioni a infrarossi iniziano a rilevare il moto delle stelle vicine al centro, sino a che nel periodo tra il 1995 ed il 2002, utilizzando Keck e VLT, gli astronomi riuscirono a tracciare le loro prime orbite complete ottenendo così conferma indiretta della presenza di una massa enorme e concentrata (intorno ai 4 milioni di M⊙). Nel 2022 i dati raccolti dall'Event Horizon Telescope (EHT) permisero di ottenere la prima immagine dell’ombra di Sgr A*, confermando così la sua natura di buco nero supermassiccio.
- Il metodo lente gravitazionale microlensing permette invece di rilevare oggetti oscuri come buchi neri isolati, che non emettono né accrescono materia (un esempio recente è Gaia BH1, scoperto nel 2022): quando un oggetto molto massiccio passa davanti ad una stella distante, la sua gravità piega la luce di quella stella amplificandola temporaneamente.
L'effetto può durare giorni o intere settimane: misurando lo spostamento apparente della posizione della stella (astrometria) è così possibile calcolare la massa di tale oggetto. Se in quel punto non risultano emissioni di radiazione ed il valore ottenuto supera le 3 M⊙, ci troviamo in presenza di un buco nero solitario.
- Un ulteriore metodo, che ha portato alla individuazione di circa 200 buchi neri di massa stellare, è l'utilizzo di interferometri in grado di rilevare il passaggio di onde gravitazionali che trasportano informazioni su eventi di fusione tra oggetti massicci.
Ad oggi disponiamo di 4 osservatori gravitazionali in funzione, basati su interferometri laser terrestri, che hanno contribuito ad identificare oltre 100 eventi di fusione: LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) Hanford e LIGO Livingston negli USA, VIRGO in Italia e KAGRA in Giappone.
Un evento di fusione si verifica quando due oggetti compatti (buchi neri o stelle di neutroni) in un sistema binario si avvicinano spiraleggiando fino a fondersi in uno solo: durante l'avvicinamento vengono emesse onde gravitazionali.
Il primo evento mai rilevato è stato denominato GW150914: generato dalla fusione di 2 buchi neri stellari (uno di 36 M⊙, l'altro di 29 M⊙) ha prodotto un buco nero di 62 M⊙ (l'energia delle 3 restanti masse solari ha generato un treno di onde gravitazionali che ha investito il nostro pianeta il 14 settembre 2015).
Lo studio delle onde gravitazionali è prezioso perché offre informazioni sulla popolazione dei buchi neri (masse, distribuzioni e spin), sulla formazione ed evoluzione dei sistemi binari e sull'espansione dell’Universo (le fusioni di stelle di neutroni permettono stime indipendenti del valore della costante di Hubble).
(5) Il numero totale di buchi neri supermassicci (quasi ogni galassia osservata ne ospita uno al suo centro) sinora confermati tramite dati dinamici o spettroscopici è nell’ordine di qualche migliaio.
M87* (nel 2019) e Sagittarius A* (nel 2022) sono stati "immortalati in foto" grazie all’Event Horizon Telescope (EHT): l'immagine, ricostruita a partire dalle informazioni raccolte dalla rete di radiotelescopi utilizzata, non mostra il buco nero stesso ma la sua "ombra", una regione scura circondata da un anello luminoso dovuto al gas caldo (il disco di accrescimento).
La deformazione dell’anello mostra quale sia l’effetto di una lente gravitazionale estrema e fornisce informazioni dirette sulla massa, lo spin e la simmetria della curvatura spaziotemporale.
Molti altri buchi neri supermassicci, pur non visibili direttamente, sono stati identificati grazie al fatto di esser "estremamente attivi": accretano gas e polveri a ritmi elevati, generano potenti emissioni di radiazioni (in banda UV, X, radio) e formano potenti getti relativistici.
Sono i Nuclei Galattici Attivi (AGN), che includono:
- Quasar: nuclei luminosissimi visibili a grandi distanze (loro caratteristica: spettro ampio e forti righe di emissione);
- Galassie di Seyfert: AGN più vicini e meno luminosi (loro caratteristica: linee strette e/o larghe);
- Blazar: getti relativistici puntati verso di noi (loro caratteristica: estrema variabilità e polarizzazione);
- Radio-galassie: forti emissioni radio, grandi lobi (tipo Centaurus A).
Dalla loro osservazione è possibile ricavare la massa del buco nero centrale misurando le velocità del gas orbitante, il tasso di accrescimento e la struttura dei dischi di accrescimento e dei getti.
(6) L'equazione che descrive il fattore di dilatazione temporale in un punto nei pressi di un buco nero non rotante è la seguente:
dτ/dt = √[1 - (2 G M / r c²)]
dove G è la costante gravitazionale (circa 6,667 x 10-¹¹ m³/kg*s²), r₉ è il raggio gravitazionale del buco nero (pari a GM/c²), r è la distanza radiale del punto considerato dall'orizzonte degli eventi ed a è il parametro di spin del buco nero ("angular momentum per unit mass" si ottiene come J / Mc dove J è il momento angolare).
Quella per un buco nero rotante è più complessa e la esamineremo nell'ultimo paragrafo di questo post.
(7) Per una spiegazione dettagliata su cosa si intenda per parametro di spin vedi il mio post "A cosa è dovuta l'enorme dilatazione temporale sperimentata dall'interprete del film di Nolan sul pianeta di Miller?" pubblicato il 24 aprile 2025.
(8) L'ISCO risulterà tanto più vicino all'orizzonte degli eventi:
- se il pianeta percorre un'orbita nello stesso verso di rotazione del buco nero (orbita prograda)
- quanto più elevato è il parametro di spin del buco nero (velocità con cui ruota lo spaziotempo nei pressi del suo orizzonte).
(9) R[ISCO] = 3 + Z2 ∓ √(3 − Z1) * (3 + Z1 + 2Z2) dove il segno davanti alla radice quadra dipende dal tipo di orbita (+ retrogada, - prograda) e Z1 e Z2 si ricavano dal valore di a, il parametro di spin.
Per un buco nero di Kerr (buco nero rotante) l'orbita prograda (che si sviluppa nello stesso verso dello spin), l’ISCO si trova a:
r(ISCO) = GM / c2 [3 + Z² − √(3 − Z1) * (3 + Z1 + 2Z2)]
(10) EHT - un consorzio internazionale di oltre 300 scienziati che include istituzioni presenti in USA, Europa, Asia e Sud America - collega radiotelescopi operanti in diverse parti del mondo così da simulare un unico radiotelescopio grande quanto il pianeta.
La frequenza osservata (230 GHz, che corrisponde ad una lunghezza d’onda ~1,3 mm) consente una risoluzione angolare di circa 20 microarcosecondi, sufficiente per “vedere” l’ombra di un buco nero supermassiccio.
Fanno parte di tale rete: ALMA e APEX in Cile, IRAM in Spagna, JCMT e SMA alle Hawaii, SMT in Arizona, LMT in Messico, SPT in Antartide e Kitt Peak negli USA (di recente si sono aggiunti NOEMA in Francia e GLT in Groenlandia).
Le osservazioni vengono sincronizzate tramite orologi atomici (maser a idrogeno) per una precisione di pochi nanosecondi.
Ogni sito registra i dati localmente su hard disk ad altissima capacità in un secondo tempo trasferiti fisicamente ai centri di elaborazione per la correlazione (MIT Haystack Observatory negli USA e Max Planck Institute for Radio Astronomy a Bonn in Germania).
In questi centri i dati vengono sincronizzati e combinati digitalmente, ricostruendo così la mappa interferometrica dell'emissione radio attraverso complesse tecniche di imaging (CLEAN, MEM, e metodi bayesiani) per ottenere un’immagine finale.
Le campagne EHT sono stagionali: la presa dati necessita di condizioni atmosferiche favorevoli in tutti i siti, cosa che si verifica in genere nel mese di aprile.
Nel 2017 è stata completata la rilevazione utile alla realizzazione della prima immagine di M87*; l'anno successivo è stato osservato Sgr A*, la cui immagine è stata tuttavia rilasciata solo nel 2022.
Dal 2021 sono state condotte nuove osservazioni con array potenziato (incluso NOEMA).
Risultati principali sono stati:
- nel 2019 la pubblicazione dell'immagine dell’ombra di M87*;
- nel 2022 quella dell’ombra di Sgr A*;
- nel 2024–25 sono in corso analisi per lo studio della polarizzazione, la dinamica, e la composizione di filmati (EHT movie).
(11) La stima delle distanze dal nostro pianeta è stata ottenuta in modo diverso per ognuno dei due buchi neri:.
- Sgr A* si trova al centro della Via Lattea; una precisa misura della nostra distanza dal Centro Galattico è stata ricavata osservando le orbite delle cosiddette stelle S-stars (S2, S62, ecc.) con interferometria e spettroscopia di precisione utilizzando lo strumento GRAVITY del VLT e del Keck. Analisi più recenti riportano come valore di tale distanza: “oltre 26 000 anni luce dal Sistema Solare".
- M87* fa invece parte dell’enorme galassia ellittica Messier 87 nel vicino ammasso della Vergine. La distanza delle galassie si ricava con il cosmic-distance ladder: variabili Cefeidi (“surface-brightness fluctuations”), luminosità di supernovae e, più in generale, il redshift combinato con il valore locale della costante di Hubble. Gli archivi Hubble/NASA fissano la distanza di Messier 87 a circa 54 milioni di anni luce.
(12) Stimare l’età di un buco nero non è semplice né diretto perché i buchi neri sono privi di “tracce chimiche” da datare (utilizzate invece per datare le stelle attraverso l'analisi del loro spettro).
Tuttavia nel caso di buchi neri supermassicci (SMBH) presenti al centro di galassie è possibile ricavare stime attendibili indirette fondate sulla storia evolutiva delle rispettive galassie tenendo conto:
- dell'età della galassia ospite;
- della formazione del bulge galattico (che è strettamente legata alla formazione del buco nero centrale);
- di simulazioni cosmologiche su formazione e crescita dei buchi neri supermassicci.
Si ritiene che la nostra galassia abbia un'età di circa 13,6 miliardi di anni, sia cioè vecchia quasi quanto l'intero universo (la stima della sua età si ottiene in base alla presenza di stelle povere di metalli - popolazione II -, alle abbondanze di radioisotopi nei residui stellari, ed alla modellazione della formazione galattica).
Il bulge galattico, la parte centrale dove risiede il buco nero, si è formato molto presto: probabilmente 1 o 2 miliardi di anni dopo il Big Bang: sebbene le stelle S-stars che orbitano intorno a Sgr A* siano giovani (età stimata sui 6 milioni di anni) il buco nero al loro centro è sicuramente molto più antico.
Le più recenti stime sull'età di Sgr A* restituiscono un valore di circa 13 miliardi di anni (formazione entro z ≈ 6–10, ossia nel primo 1 miliardo di anni dopo il Big Bang).
Alcuni modelli suggeriscono invece che Sgr A* possa essersi formato dalla fusione di buchi neri stellari presenti in un denso nucleo primordiale.
Dopo la sua formazione, la crescita che lo ha interessato è stata lenta (è rimasta sostanzialmente la stessa massa originaria): attualmente è un buco nero definito "quiescente" (poco attivo).
La galassia M87 è invece una delle più antiche dell'universo locale, composta quasi interamente da stelle vecchie (con età superiore ai 10 miliardi di anni).
Morfologia ellittica e mancanza di formazione stellare recente suggeriscono una sua formazione precoce e rapida, determinata dalla fusione di molte protogalassie.
Le stime sull'età del suo buco nero centrale restituiscono un valore >12,5 miliardi di anni, forse "quasi" coetaneo al Big Bang
È infatti possibile che M87* si sia formato da un “semi-direct collapse”, un’enorme nube primordiale collassata direttamente in un buco nero da 100.000 sino ad un milione di masse solari, poi cresciuto rapidamente.
La sua crescita dopo la formazione è stata intensa fino a raggiungere i 6,5 miliardi di masse solari, ed ancora oggi risulta attiva (sono infatti presenti i jet relativistici).
(13) Il metodo principale con il quale si stima la massa di un buco nero supermassiccio consiste nella ricostruzione della dinamica orbitale delle stelle più vicine.
Al centro della nostra galassia le stelle "S" completano un'orbita in tempi relativamente brevi passando molto vicino a Sgr A*.
La stella S2 segue un’orbita ellittica con un periodo di 16 anni; la distanza minima dal punto centrale attorno a cui orbita risulta pari a circa 120 AU (un valore che corrisponde circa a 17 ore luce, oltre 1.400 volte la stima del raggio di Schwarzschild di Sgr A*) dove raggiunge una velocità massima pari a circa 7.650 km/s.
Due team principali - il primo operante presso il Keck Observatory (California Institute of Technology, UCLA) e l'altro guidato da Reinhard Genzel presso il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO - hanno monitorato il centro galattico per oltre 30 anni, osservando il moto di singole stelle misurando in 3 dimensioni la loro traiettoria e velocità grazie a tecniche di ottica adattiva e interferometria.
La massa contenuta nell’orbita di una stella può essere calcolata usando la terza legge di Keplero generalizzata:
M = 4π² a³ / G P²
dove a è il semiasse maggiore dell’orbita di S2, P è il periodo orbitale e G è la costante gravitazionale
Queste osservazioni portano ad una stima molto precisa della massa racchiusa entro il pericentro dell’orbita:
Massa di Sgr A* = (4,154 ± 0,014) × 10⁶ M⊙ circa 4.1 milioni di masse solari.
Le orbite delle stelle mostrano una precessione periastronale (come Mercurio, ma molto più marcata) ed uno spettro redshiftato per effetto gravitazionale.
Questi effetti confermano che il corpo centrale non è una massa distribuita, ma un buco nero compatto, ed aiutano a raffinare la stima della massa e dello spin.
Altri metodi usati:
- Interferometria VLBI (EHT): l'immagine EHT del 2022 misura l’ombra del buco nero. Il raggio dell’ombra dipende direttamente dalla massa e conferma la stima astrometrica, ma con errore leggermente maggiore.
- La dinamica del gas e dei dischi di accrescimento: la velocità di rotazione del gas ionizzato nel disco interno è stata usata per una misura della massa. Sebbene permetta una stima meno precisa rispetto ad altri metodi offre una conferma al fatto che Sgr A* sia "quasi stazionario" (slow accretor).
(14) Prima dell'EHT, telescopi ottici e radio (Hubble, VLT, Keck, ALMA) hanno tracciato il moto di stelle e gas vicino al centro della galassia M87.
Stelle e gas orbitano sotto l’effetto gravitazionale del buco nero, quindi si procede a misurare la velocità radiale o la dispersione di velocità come funzione della distanza dal centro.
Usando l'equazione v(r) ∼ √GM / r si risale al valore della massa M (così stimata tra 3×10⁹ e 6×10⁹ masse solari, a seconda delle ipotesi sul profilo di massa della galassia).
Con l'avvento di EHT si è invece ottenuta un'immagine ad altissima risoluzione dell’ombra proiettata dal buco nero sulla radiazione emessa dal gas circostante.
In Relatività Generale l’ombra ha un diametro angolare che dipende direttamente dalla massa del buco nero:
θ ≈ 9.6 GM / c² D
dove M è massa del buco nero, D la distanza della galassia M87 da noi (∼16.8 Mpc), G la costante gravitazionale e c la velocità della luce.
Dalla dimensione angolare dell’ombra (∼42 μas), è stata stimata la massa del buco nero
M ≈ (6.5±0.7) × 10⁹ M⊙ (con incertezza pari al 10%).
E' rilevante l'utilizzo di entrambi i metodi in quanto l’EHT misura la massa entro pochi raggi Schwarzschild, (quindi è una misura locale) laddove invece la dinamica stellare integra anche la massa della galassia circostante (più suscettibile ad incertezze sistematiche).
La convergenza dei due metodi fornisce conferma alla Relatività Generale su scala supermassiccia: il diametro dell’ombra osservato da EHT è circa 2.6 volte il raggio di Schwarzschild, proprio come previsto da Einstein.
(15) Ecco un elenco dei metodi utilizzati per ricavare il parametro di spin di un buco nero:
- Spettroscopia del disco di accrescimento (profilo Fe Kα): i dischi di accrescimento attorno ai buchi neri emettono raggi X, soprattutto una riga di emissione del ferro ionizzato (Fe Kα) a 6,4 keV. La forma della riga viene distorta fortemente da effetti relativistici (quali Doppler, redshift gravitazionale, lensing). La troncatura interna del disco di accrescimento (la regione dove si trova l'ISCO) dipende dallo spin: quanto maggiore è lo spin tanto più l'ISCO sarà vicino all'orizzonte degli eventi e quindi tanto più la riga risulterà “allungata” verso le basse energie. Questo metodo viene in genere usato per stimare lo spin di sistemi binari a raggi X (quali Cygnus X-1 e GRS 1915+105) e di AGN (quasar, galassie attive).
- Continuum-fitting del disco termico (modello multitemperatura): il disco di accrescimento produce una curva di emissione simile ad un corpo nero multicomponente. Temperatura e luminosità del disco dipendono dalla distanza del bordo interno la regione dove si trova l'ISCO), che a sua volta dipende dallo spin. Per utilizzare questo metodo dobbiamo tuttavia conoscere la massa del buco nero, l'inclinazione del disco e la distanza dalla Terra. E' utilizzato solo per stimare il parametro di spin di buchi neri in sistemi binari galattici con misure indipendenti di massa e distanza.
- Variabilità temporale (QPOs: quasi-periodic oscillations): alcuni sistemi mostrano oscillazioni quasi-periodiche nei raggi X. Le frequenze osservate possono essere interpretate come legate alla precessione relativistica e ad altre oscillazioni nel disco. Modelli teorici collegano queste frequenze a parametri del buco nero, quali massa e spin.
- Ombra del buco nero (EHT): l’ombra così come viene rilevata dall'Event Horizon Telescope risulta lievemente deformata qualora il buco nero sia rotante. Tuttavia ottenere una misura del parametro di spin solo da questa informazione è molto difficile: l’ombra infatti cambia di poco al variare di a*. Nonostante ciò, combinando l’immagine ottenuta con modelli del flusso di accrescimento, è stato possibile stimare lo spin (ad esempio per M87*)
- Onde gravitazionali (LIGO/Virgo/KAGRA): durante la fusione di due buchi neri, il segnale delle onde gravitazionali porta traccia dello spin iniziale dei componenti e di quello finale del buco nero risultante (l'analisi del "ringdown" - la fase finale - è sensibile al momento angolare). Tuttavia la risoluzione che si ottiene è scarsa: soltanto parametri di spin molto alti (o molto bassi) risultano ben distinguibili.
(16) A tal fine il team di Michael Janssen ha creato una libreria di milioni di dataset sintetici, generati da simulazioni GRMHD (magneto-idrodinamica relativistica) che includono effetti di polarizzazione, flusso, struttura del disco e condizioni realistiche per Sgr A* e per M87*.
Questa enorme quantità di dati ha consentito di allenare una rete neurale bayesiana in grado di produrre modelli complessi e pure di stimare l’incertezza delle inferenze (un fattore chiave per una stima robusta).
L'infrastruttura utilizzata ha poi reso possibile parallelizzare i calcoli su centinaia di migliaia di core (CyVerse, OSG OSPool, Pegasus, TensorFlow, Horovod), processando oltre 12 milioni di simulazioni.
Mentre i metodi tradizionali analizzano immagini “ricostruite”, la rete neurale di Janssen è stata addestrata ad operare direttamente sui dati interferometrici grezzi dell’EHT, inclusi quelli considerati “troppo rumorosi”: cosa che ha permesso di recuperare informazioni perse nei processi tradizionali di pulizia dati (quali la polarizzazione e le sottigliezze dinamiche dell'evento Sgr A*).
La rete ha poi confrontato i dati reali con gli output delle simulazioni scoprendo come lo spin di Sgr A* sia quasi al limite massimo - a(*)∗≈ 1 - e l’asse di rotazione rivolto verso la Terra .
L’emissione risulta dominata da elettroni caldi nel disco, non da un jet, e si osservano gradienti magnetici insoliti.
- Spin: a∗≃ 0.9 o superiore (rotazione vicino alla velocità massima consentita, limite di Kerr);
- Orientamento: l'asse di rotazione punta verso la Terra;
- Emissione: dominata dal disco, non dal jet; campi magnetici coerenti con modelli di disco turbolento sul bordo;
- Incertezza: ridotta grazie alla ridondanza e alla capacità predittiva del modello bayesiano.
(17) Questo significa che M87* ruota rapidamente, ma non quanto Sgr A*; il fatto che il gas orbiti in senso inverso rispetto allo spin del buco nero è probabilmente conseguenza di fusioni galattiche avvenute in tempi remoti.
(18) Calcolo dell'orbita ISCO (distanza dal centro del buco nero) e della distanza dell'orbita ISCO dall'orizzonte degli eventi:
Il raggio gravitazionale:
r₉ = GM / c²
L'orizzonte degli eventi per un buco nero rotante:
r+ = r₉ [1 + √(1 - a²)]
dove a ∈ [0,1] è il parametro di spin adimensionale.
L'ISCO (Innermost Stable Circular Orbit) è la distanza dal centro del buco nero alla più piccola orbita stabile possibile, e la sua posizione dipende dallo spin e dal verso orbitale: se progrado (spin e orbita nello stesso verso) l'ISCO si avvicina molto al buco nero, se retrogrado (versi opposti) l' ISCO è molto più lontano.
Sgr A*:
- r₉ ≈ 6 × 10⁶ m (pari a circa 6.000 km)
- r+ ≈ r₉ [1 + √(1 - 0.9²)] ≈ 1.44 r₉ ≈ 8.6 × 10⁶ m (pari a circa 8.600 km)
- ISCO: 2.3 r₉ ≈ 1.38 × 10⁷ m (pari a circa 13.800 km)
- distanza ISCO – orizzonte: ≈ 1.38 × 10⁷ m − 8.6 × 10⁶ m = 5.2 × 10⁶ m (pari a 5.200 km)
M87*:
- r₉ ≈ 9,59 × 10¹² m (pari a circa 9,5 miliardi di km)
- r+ ≈ r₉ [1 + √(1 - 0.8²)] ≈ 1.6 r₉ ≈ 15,34 × 10¹² m (oltre 15 miliardi di km)
- ISCO: 8.44 r₉ ≈ 80,93 × 10¹² m (pari a circa 81 miliardi di km)
- distanza ISCO – orizzonte: ≈ 80,93 × 10¹² m − 15,34 × 10¹² m = 65,59 × 10¹² m (oltre 65 miliardi di km)