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mercoledì 12 febbraio 2020

Stati Uniti del Sud e Giappone: un parallelo relativamente alla distorsione nel funzionamento del sistema giudiziario.


In programmazione nelle sale cinematografiche in questi giorni, il film "il diritto di opporsi" porta alla ribalta l'argomento della pena capitale, ancora prevista dall'ordinamento giuridico in 58 Stati nel mondo.
Il focus della pellicola è concentrato sugli Stati Uniti: in particolare gli stati del Sud un tempo schiavisti, quali l'Alabama, dove la pena di morte, almeno fino agli anni '90 del secolo scorso, veniva commiata con superficialità ai membri delle comunità nere più disagiate.
La tesi promossa è che il cortocircuito giudiziario - un'alleanza tra forze di polizia, magistratura inquirente e giudicante al fine di chiudere il più in fretta possibile le indagini relative ai crimini più efferati, trovando un colpevole da additare alla società anche in mancanza di prove certe - fosse causato dal desiderio di sicurezza da parte della comunità bianca (quanto meno la sua parte più agiata) che si sentiva minacciata da una presenza massiccia di un proletariato nero, mai completamente emancipato.
La soluzione tempestiva dei casi di omicidio o violenza, seppur risultato di indagini condotte in modo approssimativo e scorretto dal punto di vista giuridico (testimoni "guidati", difesa d'ufficio inesistente o irrilevante nel corso del dibattimento, giurie di soli bianchi), contribuiva a dare l'impressione di grande efficienza da parte dell'apparato pubblico deputato a garantire la sicurezza dei cittadini.
Tutto sommato tale situazione è stata tollerata per lunghi anni da parte della comunità nel suo complesso: il film termina infatti ricordando come lo sceriffo, il cui operato è stato giudicato illegale persino nel corso di un'audizione a Washington presso il senato degli stati uniti, sia stato rieletto nel corso di successivi mandati sino al momento del suo pensionamento per raggiunti limiti di età (ricordiamo che cariche di polizia e pubblico ministero vengono designati negli USA con pubbliche elezioni, e la popolarità presso tutte le classi sociali è la carta vincente di ogni campagna elettorale).

Questa considerazione mi ha fatto riflettere su una vicenda di attualità relativa ad un altro paese, il Giappone, che, pur geograficamente collocato dalla parte opposta del globo, viene comunemente considerato una potenza "occidentale".
La trafila giudiziaria che ha coinvolto Carlos Ghosn, manager Renault-Nissan, presenta aspetti simili, anche se non sovrapponibili, alle vicende degli Stati Uniti del sud.
Nel corso della mia esperienza lavorativa ho trascorso brevi periodi nel paese e soprattutto ho stretto rapporti personali con soggetti appartenenti a questa realtà, ricavandone una visione privilegiata.

Cominciamo con l'informare chi mi legge che in Giappone la percentuale di indagini criminali risolte raggiunge circa il 96%: l'abnormità di questo dato (che presuppone una capacità di indagine straordinaria da parte delle forze di sicurezza) dovrebbe metter in dubbio l'efficacia dei metodi seguiti per individuare il reale colpevole da parte del sistema giudiziario di questo paese.
Infatti, come registra il report di Amnesty international, gli interrogatori di garanzia sono una farsa, gli avvocati della difesa sono soggetti a limitazioni che da noi farebbero gridare allo scandalo, la detenzione per periodi più o meno lunghi senza che venga formulata un'accusa formale è la prassi, pur essendo tutto ciò espressamente vietato dalla costituzione del paese.
E' presumibile che circa 1/4 delle condanne in giudicato siano frutto di errori giudiziari.
Nonostante ciò il Giappone è uno dei paesi con il più basso tasso di criminalità nel mondo, tasso che dal 2002 al 2013 si è addirittura dimezzato.

Qual'è il parallelo con gli stati del sud, oltre al fatto di detenere un gran numero di persone nel braccio della morte (2600 negli USA e 110 in Giappone) e di tollerare la continua violazione delle norme costituzionali che offrono protezione al soggetto nei confronti del sistema?

A mio parere i cittadini di entrambe le comunità rinunciano ad una parte delle garanzie personali scambiandole con una situazione di sicurezza percepita come ottimale. L'impressione che li accomuna è che "là fuori succedano cose terribili"!
Le notizie di cronaca nera, oramai diffuse a livello globale dai media transnazionali e dalla rete, trasmettono questa sensazione di incertezza che contribuisce a rafforzare il sentimento di comunità relativamente ai luoghi di residenza.
Oserei affermare che, come una volta mi è stato confidato, i membri di queste comunità preferiscano il rischio di subire una condanna ingiusta (anche sotto forma di pena capitale) all'eventualità di vivere costantemente in una società violenta, come appare ai loro occhi quella di tutti gli altri paesi.

Il posto dei neri come "sospetti naturali", è in Giappone occupato dai "coreani": è quasi comico il fatto che ogni volta un mezzo di informazione dia notizia di furti o delitti, i "coreani" siano indicati come principali indiziati.
Naturalmente non si tratta di cittadini della Corea che vengano a delinquere in Giappone (paese dove le leggi sono più rigide e le pene più severe): il fatto è che la cittadinanza giapponese viene concessa con il contagocce, e capita così che famiglie residenti nel paese da generazioni ne siano prive e vengano indicati genericamente come "coreani".
I "nihon-jin" (cittadini giapponesi dotati di tutti i diritti) si contrappongono ai "gaj-jin" (stranieri in genere, tra i quali coloro che sono in possesso di un permesso di residenza permanente).

Tuttavia non tutti gli stranieri risultano sospetti agli occhi dei giapponesi allo stesso modo.
Sicuramente la sconfitta nel corso dell'ultimo evento bellico ed il conseguente dominio USA hanno frenato il diffondersi di un razzismo troppo accentuato nei confronti degli occidentali, che si è quindi indirizzato verso popolazioni orientali ed africane.
Essendo i coreani nemici storici sin dai tempi del "kami kaze", il vento divino che ha affondato la flotta mandata ad occupare il Giappone, nell'immaginario popolare gli appartenenti a queste etnie sono diventati tutti ladri e delinquenti (a ben pensarci una reazione non troppo dissimile da quella del popolo italiano nei confronti di albanesi, bulgari e marocchini).

Dunque, pur trattandosi di comunità "distanti" dal punto di vista sia geografico che culturale, Stati Uniti del sud e Giapponesi hanno trovato la stessa risposta ad un bisogno simile: un maggior senso di sicurezza da parte dell'elite è stato scambiato con l'accettazione di limitazioni alle garanzie personali di coloro che appartengono alle fascie più debole della società.

Per approfondimenti vedi:

https://www.ilpost.it/2019/01/21/sistema-penale-giappone-carlos-ghosn/
https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/08/japan-two-executed/

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