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venerdì 28 dicembre 2018

Igor Stravinskij ha modificato “la corteccia cerebrale” della cultura europea mettendo in scena a Parigi nella primavera del 1913 il balletto “La sagra della Primavera”

“Le sacre du printemps” fu scritta tra il 1911 ed il 1913 dal compositore russo Igor Stravinskij - uno sperimentatore ardito per i suoi tempi che forse potremmo paragonare ai contemporanei Sex Pistols per la sua capacità di rompere gli schemi - e rappresentata per la prima volta il 29/5/1913 al Theatre des Champs Elysees di Parigi.
Già dalle prime battute il suono disarmonico irritò il pubblico presente abituato a ben altro genere musicale: comiciarono a sentirsi fischi, grida, insulti che degenerarono in una vera e propria rissa.
Intervenne ad un certo punto anche la polizia, ma il balletto fu comunque eseguito per intero.
Il giorno successivo i commenti della critica e della stampa furono a dir poco feroci.
Due mesi più tardi, a luglio, l’opera venne rappresentata in teatro a Londra, e qui il parere di pubblico e critica fu assolutamente positivo.
Oggi "La sagra della Primavera" è considerata una delle più importanti composizioni musicali del ‘900.
Ma perché nel giro di due mesi un giudizio pesantemente negativo si è così facilmente ribaltato?
Che cosa era successo nel frattempo alla platea di persone che amavano e seguivano il balletto e le opere sinfoniche?
In questo post mi voglio occupare di una nuova disciplina che sta rileggendo la storia della nostra specie attraverso un’ottica del tutto originale: le neuroscienze.
Uno dei suoi campi di ricerca è lo studio della percezione: quella che segue è la posizione di Beau Lotto in merito, esposta nel suo bel saggio “Percezioni” del 2017.
L’assunto è che il cervello umano non si sia evoluto per percepire/vedere la realtà: in continuazione i nostri sensi rilevano meccanicamente una miriade di dati oggettivi, ma soltanto una piccolissima parte viene poi utilizzata da quest’ultimo.
La percezione deriva infatti dalla rete di comunicazioni molto sofisticata del nostro cervello che da un senso all’insieme delle informazioni che vi entrano.
Il nostro cervello è l’incarnazione fisica degli automatismi percettivi dei nostri antenati plasmati durante il processo di selezione naturale (memoria di specie), combinati con i nostri stessi automatismi (memoria delle nostre esperienze personali- sviluppo individuale) ed a quelli della cultura in cui siamo immersi (memoria sociale - apprendimento)
Vediamo cioè solo quello che in passato ci è servito per sopravvivere, e nient’altro!
Ma allora come possiamo distaccarci dal passato e vivere e creare in maniera differente in futuro?
Cambiando il “modo di vedere”!
Caratteristica specifica degli esseri umani è la capacità di vedere la propria vita e condizionarla riflettendo sul processo stesso della percezione.
"Vediamo noi stessi nell’atto di vedere", e per quanto ne sappiamo finora siamo l’unica specie in grado di farlo in maniera compiuta ed efficiente.
La percezione inoltre non è un’operazione che ha luogo nell’isolamento del nostro cervello, ma fa parte di un processo continuo all’interno di un’ecologia (cioè la relazione di ogni cosa con le cose che la circondano e le reciproche influenze)
La vita è un’ecologia, non un semplice ambiente!
Il cervello è terrorizzato dall’incertezza: l’incertezza è il problema per la cui soluzione il nostro cervello si è evoluto.
Risolvere l’incertezza è il compito insito sia nell’evoluzione che nello sviluppo di ogni individuo, e pure nell’apprendimento.
Il mondo è in continua trasformazione e lo sviluppo esponenziale delle interconnessioni tra individui, istituzioni, ecc. non fa che rendere il ritmo del cambiamento più frenetico.
Sempre più spesso eventi ci colgono impreparati: per questo il cervello umano si è evoluto, per trasformare in certezza tutto ciò che è incerto.
Automatismi sociali e culturali (religioni, partiti politici, odio e razzismo) hanno motivazioni biologiche: il tentativo di disconnettersi da un mondo in movimento, quindi più incerto!
Questi automatismi (in inglese “bias”, termine che potremmo tradurre con “pregiudizi”) limitano la nostra libertà perché contrastano la creatività.
(A tal proposito vi ricordate il mio post del 6/12/18 “è più morale che un’idea distrugga una società che non il contrario”?)
Il dubbio è alla base del cambiamento (comportamento deviante) perché mette in chiaro i nostri assunti (i bias appunto) dei quali spesso NON siamo consapevoli: si tratta di risposte cosiddette istintive, che non procedono da una scelta ragionata.
Il dubbio produce possibilità “devianti” liberando il nostro cervello da assunti costrittivi e permettendogli di vedere oltre il senso di utilità dal quale è stato condizionato nel suo passato.
La particolarità del cervello umano è il fatto di essere “delirante”: cioè nella nostra mente possiamo avere contemporaneamente realtà che si escludono reciprocamente e che possiamo vivere con l’immaginazione.
Il cervello risponde anche a stimoli che non sono reali: la fmri (risonanza magnetica funzionale con cui possiamo visualizzare “in diretta” le aree del cervello che si attivano in un dato momento in presenza di uno stimolo) ha dimostrato che si attivano le stesse aree guardando un oggetto o pensando soltanto di guardare lo stesso oggetto.
Se "vedo" un treno o "penso" ad un treno, la risposta elettrica del cervello è la stessa!
Le decisioni apparentemente razionali che prendiamo sono in realtà guidate da forze percettive di cui non abbiamo coscienza.
Infine il cervello è ghiotto di differenze, di contrasti perché servono per costruire relazioni (passaggio indispensabile per creare percezioni).
Negli anni ‘80 dello scorso secolo la scoperta sconcertante è stata la plasticità del cervello (non solo di quello umano).
Mentre in precedenza si riteneva che fosse un organo strutturato le cui diverse componenti avessero compiti specifici, definiti sin dalla sua formazione ed immutabili, oggi sappiamo che non è così: molteplici esperimenti hanno dimostrato che alcune sue parti possono esser “riprogrammate” per svolgere compiti diversi.
L’ambiente plasma il nostro cervello, lo modifica fisicamente ed a sua volta ne viene modificato.
Quindi il nostro cervello viene modellato nel corso della nostra vita intera, generando grandi cambiamenti nella percezione.
Se depriviamo il cervello da stimoli esterni, sarà lui stesso a produrli attraverso la generazione di allucinazioni.
Un esempio famoso delle capacità di adattamento del cervello umano è il caso di Ben Underwood (inizio anni '90), un bimbo colpito da una rara forma di cancro alla retina che aveva perso l’uso degli occhi intorno ai 3 anni di età.
Invece di esser avviato presso un istituto per non vedenti ed imparare il braille e l'uso del bastone, la mamma lo spinse in ogni modo a “cavarsela da solo” anche a rischio di cadere e farsi del male, cosa che successe parecchie volte.
A correre dei rischi!!!!
Incredibilmente dopo qualche mese Ben aveva imparato autonomamente a “vedere” con gli schiocchi della sua lingua: aveva cioè addestrato il proprio cervello ad utilizzare in modo non convenzionale i dati oggettivi (suoni) sviluppando un ecolocalizzatore simile a quello dei delfini.
Ben è morto a 16 anni per una recidiva della sua malattia ma su YouTube ci sono filmati di lui che va in bicicletta, gioca a basket, corre e si muove in autonomia (ed era bravissimo pure con i videogiochi!)
La sua eredità è una fondazione che insegna ai non vedenti o ipovedenti ad usare un fischietto per “vedere” il mondo intorno a loro, e così fare a meno del “bastone bianco”
Coloro che utilizzano la tecnica di Ben (che viene insegnata in seminari che si tengono in tutto il mondo) si autodefiniscono “individui ecolocalizzatori” ed il loro numero cresce ogni anno.
(Vedi qui su youtube un video di Ben)

Ma cosa c’entra Stravinskij con tutto ciò?
L’esempio di Ben ci suggerisce che è indispensabile far si che i bambini si comportino secondo natura, e cioè che corrano dei rischi!
Solo i comportamenti devianti abbiamo visto comportano una crescita, un arricchimento (“stay foolish” è la conclusione del famoso discorso di Steve Jobs all'università di Stanford)
Ma a correr dei rischi non devono essere solo i bambini: anche la nostra cultura deve farlo!
Questo perché il passato del nostro cervello comprende anche l’ecologia della nostra cultura, che non è altro che un prodotto del nostro cervello, una manifestazione collettiva di pensiero e comportamento che cresce e si adatta affrontando delle sfide.
E spesso questo arricchimento si esprime sotto forma di arte!
In due mesi tra maggio ed agosto 1913 la corteccia cerebrale della cultura era stata rimodellata dal suo nuovo ambiente.
A cambiare non è stato soltanto il cervello umano, ma quello culturale collettivo.
Entrambi ridefiniscono in continuazione il concetto di “normale” creandone uno nuovo ad ogni secondo che passa.
Proprio a causa di ciò noi sentiamo lo stesso brano musicale in maniera molto differente rispetto al pubblico parigino della “prima”.
Questo fatto ha ripercussioni importanti e profonde, ma sarà argomento di un prossimo post


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