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giovedì 24 aprile 2025

A cosa è dovuta l'enorme dilatazione temporale sperimentata dall'interprete del film di Nolan sul pianeta di Miller? La risposta ad alcune curiosità che mi aveva lasciato la visione del film.

L'immagine di un astronauta sul pianeta di Miller - tratta da un fotogramma del film Interstellar e messa a corredo del post "La relatività Generale, danze cosmiche!" pubblicato dalla mia amica Catalina Curceanu - mi ha ricordato alcune domande che mi ero posto lo scorso autunno, assistendo alla proiezione per il decennale di questo capolavoro.

Con la scrittura di questo post ho cercato di dar loro una risposta, soddisfacendo in primo luogo la mia curiosità.


"Interstellar", il pluripremiato film di Christopher Nolan che si è avvalso della collaborazione del nobel Kip Thorne in qualità di consulente scientifico, nasce da un compromesso.

Il fisico pose infatti una condizione insindacabile per partecipare al progetto: nulla di quanto sarebbe apparso sullo schermo avrebbe dovuto contraddire le leggi della fisica "così come le conosciamo oggi".

Il pianeta di Miller è un ipotetico corpo roccioso (ricoperto di un sottile velo d'acqua) in orbita attorno ad un gigantesco buco nero, indicato nel film col nome di Gargantua (1), sbarcato sul quale il protagonista sperimenta un'estrema dilatazione temporale. Come racconta lo stesso Thorne nel suo saggio "The science of Interstellar(2), per esigenze di copione un'ora trascorsa su tale pianeta doveva equivalere ad un intervallo di tempo pari a 7 anni sulla Terra: fu dunque suo compito trovare una terna di valori - massa del buco nero, suo spin distanza del pianeta rispetto all'orizzonte degli eventi - tali da essere coerenti con una soluzione alle equazioni di Einstein che restituisca una siffatta dilatazione temporale.


Esistono due contributi alla dilatazione del tempo (3):

  • la dilatazione gravitazionale (ricavabile dalle equazioni della Relatività Generale): il tempo scorre più lentamente in presenza di un campo gravitazionale intenso.

  • la dilatazione dovuta alla velocità orbitale (ricavabile dalla Relatività Ristretta): il tempo scorre più lentamente per oggetti che si muovono rapidamente rispetto ad un osservatore distante.

Proviamo a ricostruire come Thorne sia arrivato a definire le caratteristiche di Gargantua e del suo pianeta più interno.

Punto di partenza è la richiesta del regista: "un'ora trascorsa sul pianeta di Miller deve equivalere a 7 anni passati sulla Terra", che significa impostare un fattore di dilatazione temporale pari al rapporto tra l'unità e l'equivalente in ore di 7 anni:

1 / (7 x 365 x 24) = 1 / 61320  0,000016

0,0000163 è dunque il fattore di dilatazione temporale che ci informa come, ad un'ora sulla Terra corrispondano circa 1,6 centomillesimi di ora trascorsi sulla superficie del pianeta. Il simbolo utilizzato per indicare tale fattore è dr/dt, e cioè il rapporto tra il tempo proprio dell'osservatore (dr, intervallo di tempo trascorso misurato con l'orologio dell'osservatore) ed il tempo per un osservatore distante (dt ,intervallo di tempo trascorso misurato da un orologio di un altro osservatore molto lontano). Riferito ad un punto (in quiete rispetto all'osservatore lontano) posto nello spazio esterno all'orizzonte degli eventi di un buco nero, il fattore di dilatazione temporale dr/dt risulta proporzionale:

  • alla massa (Mdel buco nero,

  • al suo parametro di spin (a),  (4)

  • all'inverso della distanza del punto considerato rispetto all'orizzonte degli eventi (r).

L'equazione che descrive il fattore di dilatazione temporale (dr/dt) per un buco nero è la seguente :

dr/dt = sqr ( 1 - 2GM/rc² + a²/r² )

dove:

  • G è la costante gravitazionale: circa 6,667 x 10-¹¹ m³/kg*s²;

  • M è la massa del buco nero;

  • c è la velocità della luce, circa 300.000 km/sec;

  • r è la distanza radiale dall'orizzonte degli eventi;

  • è il parametro di spin del buco nero - detto parametro di spin di Kerr oppure "angular momentum per unit mass" - dato da J / Mc (dove J è il momento angolare).

Questa equazione ci informa del fatto che, trovandoci sulla superfice del pianeta, il "rallentamento del tempo" sia tanto maggiore quanto più grande è la massa del buco nero (M), più elevato il valore del suo parametro di spin (a) e più vicino l'orizzonte degli eventi (r).

Si tratta dunque di assegnare precisi valori alle 3 variabili presenti in questa equazione in modo da ottenere un fattore di dilatazione temporale corrispondente al tempo misurato in ore trascorso sul pianeta per ogni ora terrestre, che abbiamo visto esser pari a 0,0000163. Il valore dello spin di un buco nero (che deriviamo dal suo momento angolare) è significativo in quanto esistono due tipi di buchi neri di Einstein (5):

  • buchi neri statici, che non ruotano su sé stessi e sono descritti dalla metrica di Schwarzschild.

  • buchi neri in rotazione intorno al proprio asse, che sono invece descritti dalla metrica di Kerr.

Mentre un buco nero di Schwarzschild possiede un orizzonte degli eventi perfettamente sferico, qualora sia invece presente una rotazione (buco nero di Kerr), l'orizzonte assume una forma diversa che lo fa assomigliare ad una palla da rugby: la misura del suo raggio decresce mano a mano che ci si avvicini all'equatore, e l'entità di una tale riduzione è proporzionale alla velocità di rotazione del buco nero. (6) Thorne descrive Gargantua come un buco nero rotante, dunque adoperando la metrica di Kerr, non solo per il fatto che così riesca ad ottenere un fattore di dilatazione temporale più elevato (indispensabile per soddisfare la richiesta di Nolan) ma soprattutto in quanto è opinione diffusa che la presenza di buchi neri di Schwarzschild nel nostro universo sia molto improbabile (7).



Determinare la massa di Gargantua.

Il valore della massa (M) che Thorne deve assegnare a Gargantua per ottenere il fattore di dilatazione temporale desiderato dipende dalla distanza (r) del pianeta rispetto all'orizzonte degli eventi. ( 8 )

Riguardo al parametro r, non è possibile assegnare un valore arbitrario in quanto è necessario trovare un'orbita stabile in modo tale che gli effetti mareali non distruggano il pianeta.

L’orbita stabile più vicina ad un buco nero rotante (ISCO) dipende a sua volta dal valore del parametro di spin (a) che può variare tra 0 (buco nero di Schwarzschild) e 0.998, quest'ultimo quasi pari a quello massimo per un buco nero astrofisico. (9)

Per ottenere una dilatazione temporale estrema, è necessario "avvicinare" il più possibile il pianeta di Miller a Gargantua (trovare l'orbita ISCO più prossima all'orizzonte), e portare al massimo la velocità di rotazione del buco nero.

Thorne, che ha dichiarato di aver utilizzato simulazioni numeriche più che formule esplicite, afferma di aver dedotto una massa massima possibile per Gargantua pari a 200 milioni di masse solari, poi ridotta arbitrariamente a 100 milioni, un valore al di sotto del quale le forze mareali distruggerebbero il pianeta. (10)

Sempre al fine di ottenere l'enorme dilatazione temporale richiesta dalla trama, Thorne porta il valore di praticamente al massimo 0.999999... ("meno di una parte su centomila miliardi" scrive nel suo saggio, cioè < 1/10¹⁴): una condizione alquanto improbabile ma non impossibile in quanto non esplicitamente vietata dalle leggi della fisica (e dunque utilizzabile per il film nel rispetto della condizione da lui stesso imposta).

Abbiamo quindi ricavato riguardo a Gargantua:
  • la massa M pari a 100 milioni di masse solari  1,9885 × 10³⁸ kg);
  • il valore del parametro di spin a pari a 0,999999...


Determinare le dimensioni di Gargantua.

Con i dati ottenuti possiamo a questo punto ricavare il raggio di Schwarzschild (Rs) per Gargantua il cui valore della massa possiamo approssimare a M  2 × 10³⁸ kg:

  • nel caso di un buco nero statico Rs = 2 GM/c² ci ritorna un valore di ≈ 2.96 × 10¹¹ m pari a circa 2 UA, il doppio della distanza Sole-Terra. (11)

  • nel caso di un buco nero rotante con un valore del parametro di spin massimo - per esser corretti in questo caso al posto di raggio di Schwarzschild si dovrebbe scrivere radice esterna dell'equazione di Kerr (12) -, abbiamo visto in nota 9 il motivo per cui il termine sotto radice dell'equazione Rs = GM/c² + sqr ((GM/c²)² - (a/c)²) possa venir trascurato, e si ottenga dunque Rs = GM/c², che corrisponde esattamente la metà del raggio di Schwarzschild per un buco nero statico; l'espressione ci ritorna un valore pari a ≈ 1.474 × 10¹¹ m, di poco inferiore a quello della distanza a cui orbita la Terra rispetto al centro del Sole (in media 150 milioni di km).

Pertanto possiamo affermare che la circonferenza di Gargantua, sul suo piano equatoriale, corrisponda all'incirca all'orbita terrestre, la quale misura complessivamente quasi 1 miliardo di km.

Un oggetto che si trovi vicino al suo orizzonte degli eventi viene trascinato dal gorgo dello spaziotempo in rotazione e compie un giro completo ogni ora: la sua velocità, misurata da lontano, risulta quindi molto prossima a quella della luce.


La distanza del pianeta di Miller dall'orizzonte

L'ultimo parametro che ci resta da calcolare è r, la distanza radiale del pianeta di Miller dall'orizzonte degli eventi.

Thorne nel suo saggio non la indica esplicitamente, tuttavia possiamo azzardarne una stima grazie ad un'informazione da lui stesso fornitaci nel Capitolo 17:

"Secondo le leggi di Einstein, visto da lontano, ad esempio dal pianeta di Mann, il pianeta di Miller percorre un'orbita attorno a Gargantua con una circonferenza di un miliardo di chilometri una volta ogni 1,7 ore. Questo corrisponde circa alla metà della velocità della luce".

Il raggio di Schwarzshild di Gargantua abbiamo visto esser pari a ≈ 1.474 × 10¹¹ m (la sua circonferenza misura 926.141.514 km)

Se l'orbita del pianeta di Miller è pari a un miliardo di km, il suo raggio orbitale è ≈ 1.592 × 10¹¹ m

Quindi la distanza stimata tra il pianeta di Miller e l’orizzonte - che si ricava come (1.592 - 1.474) × 10¹¹ m = 1,18 × 10¹° m - risulta essere  11,8 milioni di km. (13)


La velocità orbitale del pianeta di Miller

Thorne afferma che il pianeta di Miller, completando un'orbita lunga 10⁹ km ogni 1.7 ore, si muova a circa la metà della velocità della luce. (14)

A causa della dilatazione del tempo l'equipaggio sul pianeta si trova a misurare un tempo circa 60.000 volte più piccolo: il protagonista del film misurerebbe il tempo necessario a completare un'orbita intorno a Gargantua pari ad 1/10 di secondo.

Mostrando sempre la stessa faccia a Gargantua (vedi nota 8 ), il pianeta è costretto a ruotare su se stesso alla stessa velocità con cui orbita intorno al buco nero: quindi dieci rivoluzioni al secondo (sempre nel tempo misurato sulla superficie del pianeta).

La ragione per cui il pianeta non viene fatto a pezzi dalla forza centrifuga sta nel fatto che esso ruota alla stessa velocità con cui vortica lo spazio circostante.

Per rimanere in orbita stabile a questa distanza, il pianeta deve possedere una velocità relativistica molto elevata pari a:

v = sqr(GM / r) * (1−a * (sqr (GM / c²r))

che equivale circa al 55% della velocità della luce (una velocità certo non relativistica).

Abbiamo visto in precedenza come, oltre all'effetto della gravità, sulla dilatazione temporale incida anche la velocità orbitale del pianeta.

Possiamo ricavare il suo contributo utilizzando la formula della relatività speciale:

Δt′ = ​​Δt / sqr (1 − v²​/c²)

dove:
  • Δt′ è il tempo misurato dall'osservatore in movimento (il tempo proprio dell'osservatore in movimento);
  • Δt è il tempo misurato dall'osservatore fermo,
  • v è la velocità relativa tra i due osservatori,
  • c è la velocità della luce.

    E cioè     Δt′ = 1 / sqr (1 − 0.5c² / c²) ≈ 1,1547

Se consideriamo Δt = 1 ora, ad ogni ora passata sul pianeta risultano corrispondere 1,1547 ore trascorse sulla Terra.

Poiché la dilatazione temporale sperimentata sul pianeta è tale che ad un'ora trascorsavi ne corrispondano 61.320 possiamo concludere che l'effetto dovuto alla velocità orbitale sia trascurabile rispetto a quello dovuto alla gravità di Gargantua (meno del 2 per mille).


Luminosità sulla superficie del pianeta di Miller.

Nel film di Nolan il protagonista cammina sotto un cielo intensamente illuminato a giorno.

Non c'é nessun riferimento alle coordinate geografiche relative a dove sia avvenuto lo sbarco, tuttavia mi sarei aspettato fosse avvenuto sulla faccia del pianeta opposta al buco nero gigante.

Thorne nel suo libro scrive infatti:

"... sembra quindi probabile che ..." - guardando in direzione del buco nero - "... si veda soltanto Gargantua, mentre rivolgendo lo sguardo dall'altra parte si veda l'universo esterno ..."

"... Gargantua dovrebbe infatti abbracciare grosso modo metà del cielo; occuparne una sezione pari a 180°, e cioè apparire grande come 20 volte la luna piena nel nostro cielo ..." (15)

Guardando in direzione opposta invece il cielo dovrebbe esser tutto occupato dal disco di accrescimento: "... l'intero disco di accrescimento dovrebbe trovarsi all'esterno della sua orbita ... ".

Il pianeta di Miller presenta sempre la stessa faccia al buco nero (è in rotazione sincrona) quindi ritenevo - erroneamente - che l'unica sua parte illuminata fosse quella orientata verso il disco di accrescimento.

Nel contesto di Interstellar il disco di accrescimento risulta modellato come molto sottile e vicino all'orizzonte. (16)

Si estende da un margine interno - che dista dall'orizzonte dai 2 ai 5 milioni di km (17) - sino a centinaia di volte il raggio di Schwarzschild.

Il pianeta di Miller, trovandosi ad una distanza pari a ~11,8 milioni km, è fuori dal disco di accrescimento, ma vicino abbastanza da essere intensamente illuminato dal suo bordo interno (il disco si estende molto più lontano, ma la parte più calda e luminosa è quella interna).

Quindi:

  • il pianeta si trova dentro l'estensione radiale del disco, ma fuori dalla sua parte più densa e luminosa;

  • il disco è sottile, come un “piatto”, ed il pianeta orbita quasi sul suo piano, ma non immerso al suo interno;

  • il disco può emergere visivamente sopra e sotto il pianeta grazie alla lente gravitazionale;

  • Il bordo interno del disco (a ~2–5 milioni km dall'orizzonte) è la parte che illumina il pianeta, come se fosse una sorgente di luce intensa e diffusa;

  • Il pianeta, più lontano dall'orizzonte rispetto all'ISCO, si trova in una regione dove il disco è già rarefatto, ma è abbastanza vicino da riceverne luce.

In definitiva non è dentro il disco (là dove è più denso), ma è “circondato” dalla sua lucesoprattutto grazie alla curvatura dello spazio circostante.

Ne consegue che entrambe le facce del pianeta risultino perennemente illuminate.

Sebbene un buco nero in sé non emetta luce, Gargantua è circondato da un disco di accrescimento estremamente brillante, formato da gas e polveri che, cadendo verso l'orizzonte a velocità relativistiche, emettono una radiazione elettromagnetica intensa (in particolare luce visibile, infrarossa ed ultravioletta) che illumina la superficie del pianeta, rendendo verosimile quanto vediamo nel film.

La curvatura dello spazio-tempo attorno a Gargantua agisce come una lente gravitazionale, piegando i raggi di luce provenienti dal disco di accrescimento e "spalmando" così la luminosità su aree più vaste del cielo; questo effetto fa sì che il cielo appaia pieno di luce anche se la sua sorgente (il disco di accrescimento) si trovi parzialmente "dietro" al buco nero dal punto di vista del pianeta. (18)

Mentre la superficie del pianeta è tutta quanta illuminata, il cielo appare scuro, privo di stelle; il pianeta si trova infatti così vicino a Gargantua che il redshift gravitazionale risulta estremo, e la luce proveniente da stelle lontane viene spostata verso lunghezze d'onda invisibili.


Conclusione:

Stavo per concludere qui questo post già piuttosto "tosto" quando Luca Nardi mi ha passato una dritta interessante.

La Cosmic Microwave Background (19) è una radiazione elettromagnetica che ha subito l'effetto redshift (dovuto all'espansione dell'universo) cosicché oggi è rilevabile solo nello spettro delle microonde.

Presente ovunque nell'universo, è plausibile che i suoi fotoni, precipitando nel pozzo gravitazionale di un buco nero rotante di grossa taglia, aumentino la loro energia dando luogo all'effetto opposto, un blueshift gravitazionale, fino a raggiungere la lunghezza d'onda della luce visibile (per un osservatore fermo vicino all’orizzonte).

Thorne avanza questa ipotesi nel capitolo 6 del già citato “The Science of Interstellar”, suggerendo che anche questo processo potrebbe fornire illuminazione diffusa al pianeta di Miller.

Luca ha pubblicato sul suo canale YouTube un video dal titolo "Un PIANETA ABITABILE attorno a un BUCO NERO come in Interstellar?" che tratta un interessante argomento correlato a quanto sin qui scritto.

Lascio la sua trattazione ad un prossimo post o alla visione del citato video.



Note:

(1)
 Il nome assegnato al buco nero del film è tratto da una serie di 5 romanzi scritti da Francois Rabelais all'inizio del XVI^ secolo intitolata "La vie de Gargantua et Pantagruel", nei quali si raccontano le vicende del gigante Gargantua e di suo figlio Pantagruel.

(2) Si tratta di un saggio scritto da Kip Thorne dove analizza tutte le situazioni rappresentate nel film, anche le più "improbabili", fornendo loro una spiegazione scientifica.
E' possibile scaricare un PDF con la versione inglese del libro a questo link:
L'edizione italiana ha invece come titolo "La scienza di Interstellar, viaggiare nello spazio tempo", una lettura che consiglio vivamente.

(3) Ho già trattato la natura di questi due contributi in un post del 14 maggio 2021 intitolato "L'incredibile viaggio nel tempo dell'Apollo 8 ed il paradosso dei gemelli che paradosso non è" dove confrontavo gli effetti sulla dilatazione del tempo dovuti alla velocità orbitale (per l'equipaggio della Gemini 7 la durata della missione - in tutto 14 giorni - è stata di 400 microsecondi inferiore rispetto al tempo misurato al suolo) con quelli di segno opposto dovuti all'allontanamento dalla massa del nostro pianeta (la missione Apollo 8, la prima a lasciare la Terra ed a circumnavigare la Luna, durò per gli astronauti 300 microsecondi in più rispetto al tempo misurato sulla Terra).

(4) Identificare lo spin di un buco nero con la sua rotazione può creare confusione.
Quando si parla di "rotazione" di un buco nero bisogna infatti fare una precisazione: un buco nero è costituito soprattutto dal vuoto (tranne la singolarità centrale) e dunque non ha senso parlare di "rotazione del vuoto".
A ruotare vorticosamente è lo spaziotempo che si trovi attorno all'orizzonte degli eventi.

Il parametro di spin di un buco nero è una misura della rotazione dello spaziotempo attorno al buco nero stesso; tecnicamente è un parametro adimensionale che rappresenta quanto momento angolare possiede il buco nero rispetto al massimo possibile per la sua massa definito come:

a = J c / GM²

dove:

  • J è il momento angolare del buco nero;
  • M è la sua massa;
  • c la velocità della luce;
  • G la costante gravitazionale

Il valore di può variare da 0 (nessuna rotazione, buco nero di Schwarzschild) a ≈ 1 (rotazione massima, buco nero di Kerr estremo).

Nei buchi neri non ha senso parlare di velocità lineare o angolare come nei corpi rigidi normali, tuttavia lo spin:

  • determina quanto rapidamente lo spaziotempo viene trascinato attorno al buco nero (fenomeno noto come frame-dragging);

  • influisce sulle dimensioni dell’ergosfera (la regione fuori dall’orizzonte dove nulla può restare fermo);

  • aumenta la velocità dell’orbita interna più stabile (ISCO), influenzando anche i dischi di accrescimento e l’emissione di radiazione.


(5) Ci occuperemo qui di soli buchi neri descritti dalla Relatività Generale: niente Meccanica Quantistica, come specificato da Thorne nel suo saggio.

(6) Per definire la forma dell'orizzonte degli eventi di un buco nero è indispensabile spiegare cosa si intenda per raggio di Schwarzschild e capire come lo si possa ricavare.

Con raggio di Schwarzschild (Rs) ci si riferisce alla distanza dell'orizzonte degli eventi da quello che viene considerato il centro del buco nero.

Per convenzione si ricava infatti il raggio di un buco nero dividendo per 2π la misura della sua circonferenza, anche se in realtà la sua massa incurva lo spaziotempo circostante allontanando l'orizzonte dalla singolarità ad una distanza che tende potenzialmente ad infinito.

Vediamo come si calcola il raggio di Schwarzschild nei due casi, quello di un buco nero statico e quello di uno rotante:

  • In un buco nero di Schwarzschild l'orizzonte degli eventi risulta una sfera con raggio Rs = 2 GM/c² dove G è la costante gravitazionale (circa 6,667 x 10-¹¹ m³/kg*s²), M è la sua massa e la velocità della luce.

  • Invece in un buco nero di Kerr l'orizzonte degli eventi - che viene indicato col nome di "radice esterna" - risulta tanto più schiacciato nei pressi dell'equatore quanto più elevata è la sua velocità di rotazione; ecco come si ottiene:

Rs = GM/c² + sqr ((GM/c²)² - (a/c)²)

dove a = J/M è il parametro di spin (momento angolare per unità di massa), e è il momento angolare del buco nero.

E' da notare come la formula relativa al raggio di Schwarzschild di un buco nero statico si ricavi da quella relativa ad un buco nero in rotazione ponendo a=0

Infatti Rs = GM/c² + sqr ((GM/c²)² - (a/c)²) vede sparire il secondo termine sotto radice (a/c)² e rimane perciò Rs = GM/c² + sqr ((GM/c²)² che diventa Rs = GM/c²+GM/c² e cioè Rs = 2 GM/c²

A parità di massa, un buco nero rotante (dove possiede un valore >0 e <1 ) vede il proprio orizzonte nei pressi dell'equatore restringersi rispetto ad un buco nero statico, facendogli assumere la forma ovoidale con un diametro equatoriale inferiore al diametro misurato lungo l'asse di rotazione.

Quando a si avvicina al suo valore massimo (≈ 1), il raggio equatoriale risulta dimezzato rispetto a quello di un buco nero statico.


(7) La scelta di rappresentare Gargantua come un buco nero rotante nasce dalla volontà di Kip Thorne di attenersi a scenari fisicamente plausibili.
Sebbene la Relatività Generale consenta l’esistenza di buchi neri non rotanti (ossia con spin nullo), è estremamente improbabile che se ne trovino in natura: questo perché, in assenza di forze dissipative estreme, il momento angolare si conserva.

Tutte le stelle infatti ruotano su sé stesse con velocità differenti, conseguenza dell’impulso iniziale impresso dalla rotazione del gas primordiale successivo al Big Bang.

Questa rotazione si trasmette ai dischi protoplanetari ed infine ai corpi celesti che ne derivano, inclusi i nuclei stellari.
Quando una stella collassa per formare una stella di neutroni o un buco nero, il suo momento angolare viene conservato.

Poiché il raggio del corpo collassato si riduce drasticamente, la velocità di rotazione aumenta enormemente, come accade per un pattinatore che chiuda le braccia durante una piroetta.

Di conseguenza, è realistico aspettarsi che la stragrande maggioranza dei buchi neri sia in rotazione, spesso a velocità prossime al limite teorico imposto dalla relatività.

Ci si può chiedere se in qualche modo sia possibile che un buco nero rallenti - o persino fermi - la propria rotazione.

La risposta è "teoricamente sì": è infatti possibile estrarre energia da un buco nero rotante, riducendone progressivamente lo spin.
Uno dei meccanismi più noti fu proposto da Roger Penrose, che descrisse come, grazie all’ergosfera, una particella potesse entrare in orbita intorno al buco nero, dividersi, e restituire parte della propria energia al di fuori dell’orizzonte (ne ho parlato nel mio post "La dote cosmica dell'umanità", del 17 febbraio 2022.)

Tuttavia, anche se un buco nero dovesse essere “frenato” artificialmente, sarebbe sufficiente la caduta oltre l'orizzonte di una semplice nube di gas dotata di momento angolare per rimettere in rotazione l’intero sistema.

Questo fatto rende l’esistenza di un buco nero di Schwarzschild estremamente improbabile, ed è quindi ragionevole considerare tale stato come una rarità cosmica, se non una condizione puramente ideale.


(8) Non ho menzionato il valore della massa del pianeta in quanto trascurabile in confronto a quella del buco nero.

Pur non essendo mai esplicitata da Thorne la grandezza del pianeta di Miller, possiamo tentarne una stima tenendo conto del contesto orbitale, gravitazionale e degli effetti mareali estremi (come la celebre onda):

  • nel film lo si vede orbitare vicinissimo all’orizzonte degli eventi di Gargantua;

  • da come si muovono gli attori, sembra caratterizzato da una gravità superficiale del tutto simile a quella che sperimentiamo noi ogni giorno; è pertanto plausibile che la sua massa e la sua densità risultino simili a quella del nostro pianeta, e di conseguenza le sue dimensioni siano vicine a quelle della Terra.

  • Un tale corpo deve esser soggetto ad intensi effetti mareali (gli unici in grado di produrre le onde alte chilometri che vediamo nel film) e, data la sua prossimità al buco nero, caratterizzato da una rotazione sincrona. Come la Luna nei confronti della Terra, il pianeta di Miller rivolge infatti sempre la stessa faccia verso Gargantua (se si escludono piccole oscillazioni - previste dal modello di Thorne - che provocherebbero il moto ondoso sulla sua superficie).

  • L'estrema dilatazione temporale che lo interessa è conseguenza di un altissimo potenziale gravitazionale; per restare su un'orbita gravitazionalmente stabile senza venire distrutto dalle forze mareali, le condizioni richieste per il pianeta sono quelle di trovarsi al di fuori del limite di Roche e di avere una struttura compatta e densa, simile o superiore a quella della Terra.
.
(9) Sappiamo che quanto più piccolo è un buco nero, tanto maggiori saranno gli effetti mareali da questi indotti su un corpo vicino.

L’orbita stabile più vicina attorno ad un buco nero rotante è determinata calcolando il raggio dell'orbita circolare marginalmente stabile, noto come raggio ISCO (Innermost Stable Circular Orbit), che rappresenta il limite interno oltre il quale un'orbita circolare stabile non è più possibile, e qualsiasi oggetto che lo superi spiraleggerà inevitabilmente verso il buco nero:

  • nel caso di un buco nero statico, l’ISCO è pari a 3 raggi di Schwarzschild

  • nel caso invece di un buco nero rotante, la misura del raggio ISCO dipende sia dal parametro di spin del buco nero che dalla direzione in cui si muove il corpo considerato rispetto al verso di rotazione del buco nero (rotazione prograda, nella stessa direzione dello spin del buco nero; retrograda, in direzione opposta). Qualora il parametro di spin assuma il valore massimo (a=1) e la rotazione sia prograda, la misura del raggio ISCO risulta pari alla metà de raggio di Schwarzschild di un buco nero statico (coincide con il raggio dell'orizzonte del buco nero rotante); se invece la rotazione è retrogada esso sarà pari a 4,5 volte il raggio di Schwarzschild di un buco nero statico (quindi più ampio rispetto al caso di un buco nero statico).

Il limite massimo per il parametro di spin "a" è strettamente legato alla preservazione dell'orizzonte degli eventi: oltre questo limite l'orizzonte scompare e si ha una singolarità nuda, cosa che viola la censura cosmica (una congettura di Roger Penrose).

Il raggio di Schwarzschild per un buco nero di Kerr abbiamo visto esser pari a:

 Rs = GM/c² + sqr ((GM/c²)² - (a/c)²)

Affinché Rs > 0 (cioè esista un raggio di Schwarzschild e quindi un orizzonte degli eventi), la differenza dei termini sotto radice quadra (GM/c²)² - (a/c)² deve per forza risultare ≥ 0.

Pertanto:

(GM/c²)² - (a/c)² ≥ 0

e risolvendo per il massimo valore possibile di a, (a=1) che chiameremo a(max), otteniamo:

a(max) = GM/c

un valore che rappresenta il parametro di spin massimo fisicamente possibile.

Sostituendo GM/c al posto di a nella formula per trovare il raggio di Schwarzschild di un buco nero rotante a velocità massima otteniamo:

Rs = GM/c² + sqr ((GM/c²)² - (GM/c²)²) = GM/c²

un valore che corrisponde esattamente alla metà del raggio di Schwarzschild per un buco nero statico di pari massa.

Esistono buchi neri che ruotano a velocità massima?

Thorne nel 1974 aveva calcolato il limite di Thorne, dimostrando come meccanismi astrofisici - quali interazioni con il disco di accrescimento, emissione di getti, radiazione ed instabilità magnetiche - limitino lo spin reale di un buco nero ad un valore pari a circa il 99,8% di a(max).


(10) Per far sì che il pianeta di Miller possa esistere fisicamente così vicino ad un buco nero senza essere disintegrato - le forze mareali di Gargantua esercitano una forza stirante perpendicolare alla superficie dell'orizzonte - Thorne ha dovuto assicurarsi che l’accelerazione di gravità al suolo del pianeta ("ciò che tiene tutto insieme") fosse maggiore delle forze di marea (che cercano di smembrarlo).

La gravità locale (gp) sul pianeta - ricavabile dalla legge di Newton e che possiamo scrivere come 
 gp = G Mp / Rp²  dove G è la costante gravitazionaleMp la massa del pianeta e Rp il suo raggio - deve risultare inferiore all'accelerazione mareale (gm) esercitata da Gargantua, data da gm = 2 G Mbh Rp / ro³ dove Mbh è la massa del buco nero ed ro è il raggio dell'orbita del pianeta, quasi identico al raggio dell'orizzonte.

Da cui segue:

 2 G Mbh Rp / ro³ < ≈ G Mp / Rp² 

e, semplificando per G, ricaviamo:

Mbh < ≈ Mp ro³ / 2 Rp³ 

ottenendo così la massa massima per Gargantua compatibile con l'esistenza del pianeta.

Thorne sceglie una densità del pianeta pari a 10.000 kg/m³ (circa quella della roccia compressa) ed ottiene di conseguenza una massa del buco nero di poco inferiore a 3,4 x 10¹⁸ kg, un valore che corrisponde a circa 200 milioni di masse solari (vedi la sezione "some technical notes" del suo saggio); sceglie poi di ridurre arbitrariamente questo valore fissando la massa di gargantua a 100 milioni di masse solari, il valore minimo tale da permettere l'esistenza del pianeta.

L'intensità delle forze mareali (stiramento e schiacciamento) è infatti inversamente proporzionale al quadrato della massa del buco nero: all'aumentare della massa cresce la misura della sua circonferenza, e di conseguenza tanto più simili saranno le forze gravitazionali esercitate su diversi punti del pianeta.

Poiché la forza mareale​ esercitata si può approssimare come Fm ∝ (GM / ro​³) Δr dove G è la costante di gravitazione universaleM è la massa del buco neroro è la distanza dal centro del buco nero al centro del pianeta e Δr è la dimensione del pianeta lungo la direzione radiale (cioè il suo diametro misurato lungo la linea che punta in direzione del centro del buco nero), ne consegue che a parità di raggio orbitale (d), un buco nero più massiccio possieda un orizzonte degli eventi più grande, e perciò, a parità di "vicinanza relativa" (egual distanza dall’orizzonte degli eventi), l’oggetto sia in realtà più lontano dal centro del buco nero.


(11) La corrispondenza è 1 AU (unità astronomica) = 1,496 × 10¹¹ m

(12) Nel caso di un buco nero di Kerr l'orizzonte degli eventi corrisponde alla cosiddetta radice esterna dell’equazione che definisce i punti in cui la metrica di Kerr diverge, cioè i confini oltre i quali nulla può uscire.
Nella metrica di Kerr compaiono due orizzonti, che corrispondono alle radici dell'equazione

Δ = r² − (GM/c²) r + (J² / M²c²) = 0

Le soluzioni sono dunque due:

r = GM/c² [1 ± sqr(1-a²)]

r+ è la radice esterna, ovvero l’orizzonte degli eventi, mentre r- è la radice interna, il cosiddetto orizzonte interno.

L’orizzonte degli eventi in un buco nero di Kerr è la radice esterna di quella equazione.

La radice esterna rappresenta quindi la superficie dell'orizzonte degli eventi del buco nero; nulla può sfuggire dal suo interno e qualsiasi cosa la attraversi inevitabilmente cade verso la singolarità. È l’analogo rotante del raggio di Schwarzschild, ma più piccolo in proporzione (come abbiamo già visto) al valore di a.

La radice interna invece è l’orizzonte interno del buco nero di Kerr, una superficie matematica che emerge a causa della rotazione del buco nero.

Al suo interno la geometria dello spaziotempo cambia drasticamente, e rappresenta il confine interno della cosiddetta "regione II" nello spazio-tempo di Kerr.

La regione tra r+ ed r- è molto particolare.

Non si tratta di una regione statica: lo spaziotempo è così deformato che coordinate spaziali e temporali si scambiano ruolo (cosa che succede anche nei buchi neri di Schwarzschild), ma qui è tutto più complicato: alcune soluzioni predicono che un oggetto possa transitare oltre r−​ e raggiungere altre "regioni" dello spaziotempo (altri universi o un wormhole), ma tutto questo è molto speculativo.

Qualsiasi disturbo, anche minuscolo, tende a distruggere questa regione interna ed a formare una singolarità nuda o caotica.

Se lo spin è massimo (a → 1) le due soluzioni coincidono; il buco nero è chiamato estremale di Kerr e presenta proprietà molto speciali, quali una temperatura zero ed una superficie dell’orizzonte nulla.


(13) Per dare un'idea, tale distanza (11,8 milioni di km) risulta pari a ≈ il 20% di quella tra Mercurio ed il bordo del Sole (57,2 milioni di km); poco più di 8 volte quanto dista il James Webb Space Telescope (nel punto L2) rispetto alla Terra.

Adesso attenzione!

Abbiamo visto in nota 9 come il raggio ISCO per un buco nero di Kerr con spin massimale coincida con la distanza equatoriale dell'orizzonte rispetto al centro del buco nero (non appesantirò il post spiegando come ci si arriva): il suo valore in tali condizioni è pari a:

 r(ISCO)​ = GM / c² ≈ 1.48×10¹¹ m  148 milioni di km.

Il pianeta di Miller è invece posizionato da Thorne poco sopra l'ISCO in ragione della scelta di non usare il parametro massimo di spin per Gargantua (≈ 0,999999 invece di 1) cosicché l’ISCO si trovi appena sopra l’orizzonte, e la distanza fisica tra raggio ISCO​ e raggio dell'orbita del pianeta sia piccola ma finita:

r(Miller) ≈ 1.0001 r(ISCO) cioè meno di 0,02% oltre l’ISCO.

Ricaviamo la distanza radiale coordinate Miller - ISCO:

148,015 × 10⁶ km - 148 × 10⁶ km ≈ 15.000 km (pari circa al diametro terrestre).

Ciò significa che il pianeta di Miller si trova praticamente appoggiato all'ISCO, a pochissima distanza dal punto in cui le orbite circolari stabili diventano instabili.

Questo valore (15.000 km) sembra incompatibile con la distanza fisica del pianeta dall'orizzonte (pari a 11,8 milioni di km) ricavata dalla misura dell'orbita fornita da Thorne nel suo testo "Interstellar"!

In realtà non c'é contraddizione, e la ragione è da ricercarsi nell’unità di misura e nel sistema di coordinate: la misura 15.000 km è infatti una distanza radiale “coordinate”e non una distanza fisica.

Nel sistema di coordinate di Boyer-Lindquist (usate per buchi neri di Kerr), la distanza radiale (rnon misura una distanza fisica vera e propria: è una coordinata che non coincide con la lunghezza "reale" nello spazio misurabile localmente.

La distanza propria (fisica) si calcola integrando la metrica di Kerr nel sistema radiale, tenendo conto della curvatura dello spazio-tempo, e così in prossimità dell’orizzonte se un termine tende ad ∞, piccole differenze in r possono corrispondere a grandi distanze proprie.

In pratica r(ISCO) ​≈ 15.000 km non significa che la distanza fisica tra il pianeta e l’orizzonte sia di 15.000 km.

Possiamo spiegare questo fatto con un esempio verificato: i messaggi inviati dalle sonde in orbita intorno a Marte impiegano un certo tempo a raggiungere la Terra che è funzione della distanza percorsa.

A parità di distanza, quando la posizione apparente di Marte nel nostro cielo si trova molto vicino a quella del Sole succede che il tempo impiegato dalle trasmissioni aumenta, come se dovessero percorrere una cinquantina di chilometri in più: uno spazio aggiuntivo dovuto alla curvatura impressa dalla massa del Sole allo spaziotempo che lo circonda.

Nel caso di Gargantua la distanza radiale pianeta-orizzonte (che non tiene conto della curvatura dello spaziotempo) risulta pari a 15.000 km, ma se una astronave dovesse percorrerla si troverebbe a dover completare un viaggio lungo 11,8 milioni di km pari allo spazio "nascosto" nella curvatura dello spaziotempo scavata dal buco nero.


(14) Poiché v = d/t ne consegue che 10⁹ km / 1.7 × 3600 secondi sia paria a 10⁹ km / 6120 secondi, e cioè ≈ 163.399 km/s
In termini percentuali rapportati alla velocità della luce: 
    63.399 / 299.792 km/s → ≈ 54,5 % di "c"

(15) Nel film, quando Cooper si avvicina col suo mezzo al pianeta, le dimensioni di Gargantua e della sua ombra sono state ridotte considerevolmente per esigenze sceniche.

(16) Vedi le simulazioni realizzate con DNGR, il software della Double Negative Gravitational Renderer, decritte nell’articolo "Gravitational Lensing by Spinning Black Holes in Astrophysics, and in the Movie Interstellar" firmato da Oliver James, Eugenie von Tunzelmann, Paul Franklin e Kip S. Thorne

(17) Quindi da appena oltre l’ISCO, che per un buco nero con le caratteristiche di Gargantua è posizionato a circa due milioni di km dall'orizzonte In coordinate radiali (vedi in merito quanto spiegato in nota 13).

(18) Il lato del pianeta di Miller che guarda verso Gargantua riceve luce diretta dal disco di accrescimento; questo disco è molto luminoso e si estende sopra e sotto il piano equatoriale del buco nero a causa della sua forma toroidale, quindi anche qualora il buco nero copra parte del cielo, la luce del disco illumina comunque la superficie del pianeta in modo efficace.

Sul lato opposto del pianeta invece entrano in gioco due effetti chiave:

  • lente gravitazionale: la curvatura dello spazio-tempo attorno al buco nero fa sì che la luce del disco venga piegata ed "avvolga" parzialmente Gargantua. Parte della luce che normalmente non raggiungerebbe il lato opposto viene deviata e vi arriva comunque.

  • (ipotetica) diffusione atmosferica: se il pianeta fosse dotato di un'atmosfera, la luce diffusa potrebbe contribuire ad illuminarne il lato opposto, anche se in modo molto più debole.

Dunque anche se il lato opposto a Gargantua non riceve luce diretta esso non può esser completamente oscuro in quanto la lente gravitazionale e la curvatura dei raggi luminosi fanno sì che tutta la superficie del pianeta riceva un certo grado di illuminazione.


(19) la radiazione cosmica del fondo a microonde, costituita da fotoni emessi circa 380.000 anni dopo il Big Bang - epoca della ricombinazione - quando la luce ha cominciato a viaggiare libera attraverso lo spazio

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