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venerdì 21 febbraio 2020

L'epidemia di coronavirus ed il rischio biologico: la cenerentola degli incubi del XXI secolo.

L'epidemia causata dal nuovo virus Covid-19 che ha colpito in questi mesi la Cina "ingessandola" - fabbriche e scuole chiuse, limitazioni alla libertà di movimento dei cittadini, intere provincie tenute in quarantena con gravi ripercussioni sull'economia nazionale che, in virtù della globalizzazione, non tarderanno a coinvolgere i principali mercati mondiali - è l'argomento che riempie le pagine della stampa, i contenuti dei media e moltiplica i posts sui socials.
La confusione che ne deriva (ancora una volta la voce degli esperti è stata diluita e mescolata con le opinioni di chiunque urli più forte sui mezzi di informazione), ha portato come conseguenza gesti di razzismo immotivato nei confronti della numerosa comunità cinese residente in Italia, insieme ad un sospetto generalizzato verso tutti i prodotti in commercio provenienti dall'estremo oriente.

Tralasciando le ovvietà scientifiche (il virus si trasmette da persone infette a persone sane; può sopravvivere fuori dal corpo umano per un limitato periodo di tempo quantificabile in qualche giorno, del tutto insufficiente a causare preoccupazioni nei confronti di merce importata dalla Cina; è più rischioso il contatto con uno dei tanti italiani che per motivi di lavoro o di studio hanno di recente trascorso un periodo in Cina rispetto ad un qualsiasi tipo di rapporto con il cinese che vive e lavora in Italia) mi sono chiesto perché nell'immaginario collettivo l'attuale emergenza sanitaria sia percepita in modo diverso rispetto a quanto successo in precedenza, ogni volta che si è diffusa un'epidemia provocata da un nuovo virus contro il quale la nostra specie non aveva ancora sviluppato difese immunitarie.
Virus che, come vedremo tra un attimo, presentano un grado di pericolosità superiore al Covid-19 e nei periodi da me esaminati hanno causato più contagi e più decessi.

Nella mia analisi ho preso spunto dall'articolo "Mettiamo il coronavirus in prospettiva: ecco le peggiori epidemie della storia recente" di Simone Valesini, pubblicato il 15/2/2020 sulla versione on line di Wired, integrandolo in seguito con i dati aggiornati ad oggi 18 febbraio 2020 ed aggiungendo infine un ulteriore indicatore - a mio parere importante - trascurato nella pubblicazione citata.

Per giudicare la pericolosità dei 5 virus che per la prima volta hanno infettato individui della nostra specie negli ultimi 50 anni, vengono utilizzati due indicatori principali:
1) l'indice di letalità, cioè la percentuale di malati che muoiono per la patologia, ottenibile dividendo il numero di morti per il numero di contagi.
2) il tasso di riproduzione, cioè numero di persone a cui in media un paziente trasmette la patologia.
Ai precedenti propongo di aggiungere "il tempo di incubazione nel quale l'ospite è contagioso in assenza di sintomi specifici". 
Il motivo mi sembra ovvio; maggiore è la latenza (nel caso ad esempio dell'HIV si tratta di anni) più sono le possibilità che l'organismo ospite infetti un numero rilevante di individui con i quali viene a contatto.

Ecco l'elenco dei virus ordinato in base al periodo in cui si sono verificate le epidemie più rilevanti:

- Mers (Middle East Respiratory Syndrome) diffusasi in medio oriente a partire dal 2012; periodicamente ancora si rilevano sporadici contagi in paesi appartenenti alla penisola arabica.
Sono state fino ad oggi registrate 2.494 infezioni ed 858 decessi ad esse conseguenti: indice di letalità pari al 34%.
E' per fortuna una sindrome poco trasmissibile: il tasso di riproduzione risulta inferiore ad uno. 
Sembra dunque destinata a estinguersi da sola con il tempo.
Periodo di incubazione 5-6 giorni (può tuttavia in alcuni rari casi arrivare fino a 14 giorni)

- SARS-CoV (Severe Acute Respiratory Syndrome), è l'altra epidemia causata da un coronavirus.
Comparsa per a prima volta in Cina nel 2003, si è esaurita nel 2004.
Appena qualche settimana più tardi la fine dell'emergenza è arrivata la notizia dello sviluppo di un vaccino specifico, che è dunque rimasto inutilizzato; questo precedente scoraggia oggi gli investimenti nella ricerca di un vaccino per la nuova epidemia di coronavirus in quanto le case farmaceutiche temono che essa si risolva da sola invalidando i loro piani commerciali.
In poco più di un anno sono stati registrati 8.098 contagi e 774 decessi: l'indice di letalità risulta pari al 9,6%, meno di un terzo di quello della Mers.
Tuttavia il tasso di riproduzione stimato è risultato superiore a 2, un rischio di diffusione decisamente più alto che la rende più pericolosa della Mers e candidata come possibile origine di una pandemia.
Il periodo di incubazione va dai 2 ai 10 giorni.

- H1N1 (l'influenza suina, frutto del ricombinamento tra virus influenzali umani, aviari e suini) a partire dal Messico l'epidemia colpì nel 2009 USA e resto del mondo, esaurendosi da sola nel 2010.
Si stimano 7 milioni di contagi e 200.000 decessi: un indice di letalità pari quasi al 3% ed un tasso di riproduzione tra 2,2 e 3,1.
E' da notare come il tasso di letalità relativo ai virus influenzali che ogni anno colpiscono la popolazione mondiale sia in genere superiore: tuttavia, a differenza di questi ultimi, l'H1N1 tende a diffondersi e colpire seriamente anche persone giovani.
Una comparazione basata sull'indice di letalità calcolato per fasce di età rivela che, a differenza delle altre sindromi influenzali dove i decessi si registrano quasi esclusivamente tra gli individui più anziani, l'influenza suina è stata talora fatale anche nella popolazione di età compresa tra i 10 ed i 40 anni.
L'incubazione da 1 a 7 giorni.

- Ebola (una febbre emorragica causata da patogeno di origine animale) è stata per la prima volta diagnosticata nel 1976.
La più grave epidemia causata da questo virus ha interessato l’Africa occidentale tra il 2013 ed il 2016 (ancora oggi permangono focolai in Congo).
In quel frangente sono stati registrati 28.000 contagi insieme ad 11.000 decessi: un indice di letalità pari quasi al 39% si accompagna ad un tasso di riproduzione stimato tra 1,5 e 2.
L’incubazione del virus è di 21 giorni.

- Covid-19, il coronavirus la cui epidemia è attualmente in corso.
I dati ufficiali registrati ad oggi (18 febbraio 2020) restituiscono 73.335 contagi e 1.873 decessi: se ne dovrebbe perciò dedurre un indice di letalità pari al 2.6% - comunque inferiore a quello dell'H1N1 - ed un tasso di riproduzione stimato pari a 2.2, simile a quello della SARS.
Un lancio d'agenzia del pomeriggio raccoglie la dichiarazione del dottor Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia, relativa ad uno studio appena pubblicato in Cina sul nuovo coronavirus.
Il virologo ritiene che "... il tasso di mortalità per il Covid-19 debba essere ridotto dal 2.6% allo 0,1%, massimo 0,3%..." in ragione del fatto che questi sono i valori riscontrati ovunque al di fuori dalla provincia di Hubei.
Il motivo del triste primato della città di Wuhan, capoluogo della provincia, sarebbe da ricondursi alle difficoltà riscontrate nelle prime fasi dell'epidemia a fornire assistenza ospedaliera a tutti coloro che, spaventati dall'eventualità di aver contratto il coronavirus, si erano presentati in massa al pronto soccorso con sintomi influenzali generici.
Nell'impossibilità materiale di ricoverare chiunque avesse anche soltanto qualche linea di febbre, la maggioranza veniva rimandata a casa in attesa della messa a punto di un test per determinare se il coronavirus era stato contratto o di un aggravamento delle condizioni fisiche che imponessero l'ospedalizzazione.
Quindi privati i contagiati di una tempestiva assistenza, fornita successivamente solo in fase acuta, un aumento del numero di decessi era cosa scontata.
Messo a punto un test che identifica precocemente la presenza del virus nel sangue anche in fase di incubazione, aumentata la capacità di ricezione degli ospedali con il completamento di uno di essi già in costruzione (multipiano) e la realizzazione a tempo di record di un altro utilizzando moduli prefabbricati (a piano unico), è stato possibile selezionare i pazienti realmente colpiti dal Covid-19 ed isolarli in strutture assistite, più o meno complesse (dalle palestre "ricondizionate" ad ospedali attrezzati per gli infettivi) a seconda della gravità delle condizioni manifestate.
Queste misure da una parte hanno limitato le occasioni di contagio, riducendo così il tasso di riproduzione, dall'altra le cure fornite tempestivamente sotto controllo di personale specializzato hanno permesso una riduzione dell'indice di letalità.

Appurato ciò, perché ci spaventa di più l'epidemia di inizio 2020, sviluppatasi tra l'altro in un paese moderno e dotato di risorse sufficienti per affrontarla, rispetto ad un'altra recente emergenza sanitaria causata dal virus ebola (con un indice di letalità significativamente superiore ed un tasso di riproduzione sufficiente a dar luogo ad una pandemia) che ha colpito paesi poveri dell'Africa sub sahariana (Liberia, Sierra Leone e Guinea) assolutamente sprovvisti di competenze e risorse per farvi fronte?
L'Africa - ricordiamolo ancora - è "il ventre molle" della rete sanitaria internazionale che dovrebbe proteggerci dal rischio di nuove pandemie: povertà, città sovrappopolate, mancanza di personale qualificato, fondi insufficienti per la creazione ed il mantenimento di strutture sanitarie adeguate (che spesso sono fatiscenti edifici la cui costruzione risale talvolta al periodo coloniale) si sommano ad una frammentazione del potere politico in clan, alla presenza di una pluralità di piccoli stati, a guerre civili sempre in agguato.

Mettere in atto in un tale contesto misure di "contenimento" tipo quelle adottate oggi in Cina è utopia, e lo dimostra un evento passato sotto silenzio sui media occidentali.
Nel 2014 l'epidemia di ebola non si è trasformata in pandemia per un puro caso e soprattutto per l'eroismo, la lungimiranza e la determinazione di un medico nigeriano, la dottoressa Stella Ameyo Adadevoh.
Nel mese di luglio un passeggero in arrivo all'aeroporto di Lagos con un volo dalla Liberia, il signor Patrick Sawyer, sembrava presentare alcuni sintomi del virus, e pertanto è stato subito trasportato nell'ospedale dove esercitava la dottoressa. 
Nonostante la ferma volontà del paziente di esser subito dimesso, le pressioni esercitate in tal senso dall'ambasciatore liberiano che accusava i medici di sequestro di persona e dai funzionari nigeriani che temevano una crisi internazionale, Stella Adadevoh organizzò un reparto secondo gli standard di sicurezza dell'OMS per il trattamento dei malati contagiati da ebola dove confinò chi presentasse sintomi compatibili con l'infezione.
Sawyer morì di ebola dopo qualche giorno; qualche settimana dopo anche Stella fu uccisa dal virus, pagando così con la vita il suo rigore professionale.
La Nigeria è la seconda nazione africana per popolazione: a differenza dei paesi vicini dove imperversava l'epidemia, in quel frangente un isolamento internazionale non sarebbe stato realizzabile con la prontezza necessaria.
I flussi giornalieri di passeggeri che si spostano in aereo da Lagos o da Abuja verso le principali destinazioni mondiali sono enormi.
Un numero rilevante di cittadini nigeriani sono benestanti ed abituati a muoversi frequentemente tra USA, Europa, Asia Minore ed Estremo Oriente: l'epidemia, se fosse dilagata in Nigeria, attraverso i vettori aerei avrebbe potuto velocemente espandersi in tutto il mondo con conseguenze difficili da prevedere.

In quel periodo non ricordo ci sia stato un incremento dei casi di razzismo nei confronti dei neri, nè boicottaggi dei prodotti di provenienza africana.

Temo pertanto che dietro l'attuale ondata di paura ci siano considerazioni di tipo diverso, forse legate al rapporto che abbiamo con la Cina e la sua economia: molti ritengono questo paese responsabile della mancata realizzazione della promessa con la quale ci è stato presentato il progetto di globalizzazione dell'economia, un incremento di benessere per tutti quanti.
A vent'anni dalla fondazione del WTO, nonostante oggi nel mondo si siano sensibilmente ridotte le diseguaglianze e centinaia di milioni di esseri umani siano usciti dalla povertà estrema, nei paesi occidentali si è assistito a fenomeni di delocalizzazione con conseguente riduzione dell'occupazione nazionale, impoverimento della classe media, migrazioni dal sud del mondo che mettono in difficoltà i sistemi di welfare costruiti con impegno e sacrifici di generazioni.
Trump, la Brexit ed il successo dei sovranisti sono il termometro del grado di fallimento di tali promesse.

Nonostante la comunità cinese sia abbastanza "invisibile" (dal punto di vista mediatico) nella nostra società -  nessun reato ecclatante, nessuna recriminazione, gente che appare pacifica, dedita al lavoro ed allo studio - i suoi componenti vengono guardati con sospetto dall'italiano medio che si informa sui social: proprio la mancanza di motivazioni evidenti per una condanna di qualsiasi genere contribuisce a farli percepire come un pericolo subdolo.
Quale motivo migliore allora per aggredirli oggi come nuovi untori?


Termino qui lasciando al prossimo post l'analisi di un pericolo ben più serio e sottovalutato.
Gli enormi progressi della genetica hanno reso economico il sequenziamento del genoma di ogni essere vivente.
Come ci ricorda il fisico teorico Stephen Webb, i progressi degli ultimi 20 anni nell'ambito della genetica fanno impallidire la legge di Moore (quella relativa al raddoppio della potenza di calcolo di un processore ogni 18 mesi: 
https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Moore).Il DNA è stato descritto da Watson e Crick solo nel 1953.
All'inizio del 2000 si richiedeva ad uno studente medio di biologia di saper sequenziare il DNA in laboratorio; oggi si richiede allo stesso studente di saper sintetizzare un organismo artificiale a partire da zero.
Le sequenze del virus H1N1  - e del ben più pericoloso H5N1 (influenza aviaria) - dopo lunghe discussioni, sono state rese pubbliche; pertanto un novello "apprendista stregone" dotato di conoscenze medie in biologia e con in tasca circa 30.000 dollari da investire può confezionarsene "in casa" una propria variante.

A differenza delle armi atomiche (difficili e molto costose da produrre, rimarranno esclusiva degli Stati organizzati ancora per lungo tempo) e delle armi chimiche (i cui effetti sono prevalentemente locali), le cosiddette armi biologiche risultano economiche da realizzare e molto molto difficili da neutralizzare.
Al punto che potenzialmente potrebbero provocare l'estinzione della nostra specie.

In Africa la costruzione delle strutture necessarie al progetto cinese della "belt and road" comporta già oggi una grande mobilità di personale con la Cina: al momento non risultano casi ufficiali di contagio relativo al coronavirus, ma la cosa risulta poco verosimile.
E' infatti probabile che ci sia un ritardo nel rilevamento di questa infezione le cui cause ho già evidenziato circa ebola.


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