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venerdì 4 luglio 2025

Quali erano le dimensioni dell'universo al termine dell'inflazione?

Circa 3 anni fa assistevo ad una conferenza nella quale veniva presentato il saggio "Mirabilis" sulla cosmologia contemporanea e le meraviglie dell'universo scritto dall'astrofisica dell’ESA Ersilia Vaudo.



Nel corso del suo intervento mi colpì un'affermazione relativa all'inflazione cosmica, la fase di espansione parossistica che ha interessato l'universo appena uscito dal Big Bang:

"... la regione di partenza, grande in origine circa 10-²⁹ metri, raggiunse al termine della fase inflazionaria una dimensione paragonabile a quella di un piccolo granello di sabbia ..."

Ricordavo di aver letto quasi una decina di anni prima il saggio di Max Tegmark intitolato "L'universo matematico" che riportava un ordine di grandezza decisamente diverso:

"... l'universo smise di gonfiarsi quando raggiunse le dimensioni all'incirca di un'arancia ..."

Si tratta di un volume quasi 3 milioni di volte superiore rispetto a quello di un granello di sabbia.

Mi chiesi se mi fossi perso la scoperta, avvenuta nel frattempo, di qualcosa di importante che aveva modificato la nostra comprensione dell'universo primordiale.

Per prima cosa comprai il libro della Vaudo per controllare di aver capito bene e, trovandovi conferma a quanto da lei riportato in conferenza (1), le scrissi chiedendole se per caso facesse riferimento ad una diversa teoria dell'inflazione rispetto a quella citata da Tegmark.

Mi rispose con un messaggio vocale:

"... così mi è stato insegnato in università ... non conosco il libro di Tegmark per cui non saprei dirti ...".

Dovevo capire il motivo di questa "tensione".

Contattai Guido Tonelli - che sapevo aver insegnato nell'università frequentata dall'autrice di Mirabilis - chiedendogli una spiegazione circa l'enorme distanza tra le due stime.

"... le stime quantitative di dettaglio sulla dinamica dell'inflazione" - mi rispose - "dipendono dal modello inflazionario prescelto, quindi dalle dimensioni di partenza e dal tempo di raddoppiamento del volume ipotizzati: oggi si accetta l’idea che, alla fine della fase inflazionaria, l'universo osservabile avesse raggiunto dimensioni macroscopiche comprese tra quelle di un'arancia e di un pallone da calcio, a seconda appunto dei parametri selezionati ...".

Mi misi così il cuore in pace, convinto di una svista da parte dell'autrice.

Tuttavia nell'inverno 2024 l'amico Rudy Vercy, commentando un mio post, mi segnalò una frase tratta dal saggio Prima del Big Bang (scritto da Gian Francesco Giudice nel 2023) che ancora una volta sembrava sparigliare le carte:

"... durante l'inflazione ... regioni dello spazio non più grandi di un virus covid-19 si espandono fino a coprire un volume grande quanto l'universo intero ..."

Sconcertato, contattai Gian Giudice al CERN che mi rispose "... (nel testo) mi riferivo alla velocità di espansione e non alla grandezza dell'universo ..." confermando, in relazione a quest'ultima, quanto già aveva scritto Tonelli, e ripromettendosi di illustrare la questione più nei dettagli in occasione della successiva ristampa al fine di evitare possibili fraintendimenti.

Nonostante questa ulteriore rassicurazione, la sensazione che qualcosa di importante mi stesse sfuggendo non mi abbandonava: era giunta l'ora di approfondire la mia conoscenza circa la teoria dell'inflazione (2), e di occuparmi dei modelli su di essa basati che, a partire da quello originale, sono stati in seguito sviluppati.

Inflazione cosmica è il termine coniato da Alan Guth negli anni '80 del secolo scorso con cui si è soliti indicare una fase di rapidissima espansione - avvenuta a velocità superluminale (3) - che ha interessato l'universo primordiale subito dopo il Big Bang, l'esistenza della quale è stato necessario ipotizzare per risolvere alcuni paradossi che emergevano dal modello del Big Bang classico. (4)

Tradizionalmente si parla di una sola inflazione iniziata circa 10−³⁶ secondi dopo il Big Bang e terminata dopo un quadrilionesimo di miliardesimo di secondo (10−³² secondi dopo il Big Bang), un periodo brevissimo durante il quale l'universo si è espanso di un fattore enorme compreso tra 10²⁶ e 10³º, passando così da dimensioni subatomiche a dimensioni visibili ad occhio nudo (quali quelle di un’arancia).

In alcuni modelli la durata può risultare leggermente più lunga, ma affinchè l'inflazione risolva i problemi che emergono dalla teoria classica del Big Bang (vedi nota 4) è necessario ipotizzare siano avvenuti almeno 60 e-folds, cioè 60 “raddoppi” del fattore di scala. (5)


Vediamo ora quali sono i principali modelli di inflazione e le loro caratteristiche.

Il modello classico proposto da Guth nel 1981 è oggi indicato col nome di inflazione originale (old inflation).

Guth immaginò l'esistenza di un campo quantistico scalare, cui assegnò il nome di inflaton field (6), che ad un certo punto si trovò ad esser bloccato in uno stato di falso vuoto, una specie di “pianura energetica instabile”.

L’universo, temporaneamente bloccato in questa fase, si espande esponenzialmente fino a che il falso vuoto decade improvvisamente in un vero vuoto, e così tutta l’energia accumulata nel processo espansivo viene trasformata in energia termica (fase di reheating o termalizzazione) dando luogo al Big Bang caldo. (7)

Al termine dell’inflazione l’universo smette di espandersi a folle velocità (si entra nella fase di espansione ordinaria) riempiendosi di particelle e radiazione; inizia così la storia classica del Big Bang (nucleosintesi, formazione di stelle e galassie, ecc.).

Quindi, protagonista della fase inflazionaria è un unico campo scalare, l’inflatone, che la guida; tale fase è seguita da un “reheating” (termalizzazione) e dall’inizio dell’universo caldo ed in espansione ordinaria (in cui la radiazione domina la materia).

Alla base del modello di Guth ci sono due concetti, falso vuoto e transizione di fase del primo ordine, presi a prestito dalla fisica delle particelle e dalla termodinamica quantistica.

Una transizione di fase è il passaggio di un sistema da uno stato ad un altro dotato di proprietà fisiche differenti.

Un esempio di transizione di fase di primo ordine lo vediamo quando, al diminuire della temperatura, uno specchio d’acqua passa dallo stato liquido a quello solido (l'acqua ghiaccia); in modo analogo il raffreddamento, causato dall'espansione dello spazio successiva al Big Bang, ha provocato nell'universo primordiale un cambiamento di fase quantistica.

Nel caso dell’inflazione la “fase” è lo stato di energia del campo quantistico (campo inflatone), e la transizione avviene nel momento in cui questo campo cambia minimo energetico.

Il falso vuoto invece è un minimo locale del potenziale, uno stato metastabile del campo inflatone.

Tale stato sembra stabile ma non è il vero minimo, là dove invece il vero vuoto è il punto di minima energia assoluta (minimo globale, cioè uno stato a energia minima reale del potenziale).

Il campo inflatone può rimanere “bloccato” nel falso vuoto per un certo periodo, mantenendo energia potenziale elevata, il che guida l’espansione esponenziale (inflazione).

Una transizione di primo ordine si verifica per nucleazione quantistica: bolle del vero vuoto si formano per effetto tunnel quantistico dentro il falso vuoto, crescono e si scontrano, completando così la transizione.

Vedi la nota (8) per una spiegazione in termini più semplici di questo processo.

Ma qui nasce il problema del modello inflazionario originale: le bolle (regioni dove il campo ha già "saltato" nel vero vuoto) non risultano unirsi in modo omogeneo, contribuendo così a generare un universo irregolare non compatibile con le nostre osservazioni (è una transizione discontinua per effetto tunnel quantistico).

Nel modello old inflation il campo inflatone parte bloccato in un falso vuoto, l’universo si espande esponenzialmente e, ad un certo punto, si formano bolle di vero vuoto (bubble nucleation) che si espandono; tuttavia la transizione non avviene in modo coerente e ne consegue una fine catastrofica dell’inflazione. (9)


Per ovviare a questo inconveniente vennero sviluppati i modelli new inflation e slow-roll inflation, che evitano il falso vuoto e prevedono una discesa graduale senza salti improvvisi.

Nel 1982, un anno dopo la pubblicazione del modello di Guth, nel 1982 Andrei Linde, Andreas Albrecht e Paul Steinhardt proposero un nuovo modello - chiamato New Inflation (o “seconda inflazione”) - in grado di risolvere il problema "dell'universo groviera" e dell'arresto incontrollato dell'inflazione.

Nell'ambito di questo modello il campo inflatone scivola lentamente da un plateau del potenziale invece che saltare da un falso vuoto: di conseguenza non sono previste transizioni di fase esplosive, ma un declino liscio ed uniforme.

Il potenziale si presenta con una forma quasi piatta nella parte superiore, come un tavolo inclinato, e l'inflazione avviene mentre il campo rotola giù lentamente (slow-roll inflation o inflazione a rotolamento lento).

L'anno successivo Andrei Linde formalizza e generalizza la slow-roll inflation nel modello chaotic inflation, ancor oggi la forma più usata nei modelli inflazionari nonostante ci sia qualche tensione con i dati della CMB.

Il rotolamento lento è una condizione in cui l’energia potenziale del campo inflatone domina sull’energia cinetica, e dunque il campo scende lentamente lungo il potenziale senza accelerazioni brusche.

Il periodo inflazionario dura abbastanza a lungo, almeno 60 “e-folds” (raddoppiamenti di dimensione), e la sua fine risulta naturale: il campo acquista velocità e perde energia potenziale, dopodichè prende ad oscillare attorno al minimo (come una biglia che scivoli verso il fondo di una ciotola) e qui e riscalda l’universo.

Mentre New Inflation è una correzione morbida al primo modello di Guth, la Slow-roll Inflation è una formulazione più generale e versatile, che oggi include la maggior parte dei modelli sviluppati di recente, compresi quelli basati su stringhe, campi multipli, ecc.

La chaotic inflation elimina la necessità di condizioni iniziali speciali: il campo inizia in cima ad un potenziale ampio, vale anche in spazi caotici.

Sino ad oggi sono state proposte molte altre varianti della teoria inflazionaria nel tentativo di integrarla all'interno di teorie quali SUSY, supergravità, teorie delle stringhe e così via. (10)

Finora ho descritto modelli che ipotizzano essersi verificato un singolo fenomeno inflazionario, con un inizio ed una fine; tuttavia è opportuno ricordare che sono stati proposti anche modelli cosmologici ad inflazione multipla, e cioè modelli che prevedono più periodi inflazionari.

La maggior parte delle teorie canoniche assume sia esistita una sola inflazione, ma la fisica teorica (soprattutto nel contesto della teoria delle stringhe, della gravità quantistica e del multiverso) ammette scenari con più fasi inflazionarie, concatenate nel tempo o distribuite nello spazio.

L'inflazione eterna (eternal inflation): sua caratteristica è la continuità spaziale dell’inflazione.

Si tratta di un modello sviluppato nel 1986 da Andrej Linde ed Alex Vilenkin nel tentativo di spiegare come l'inflazione si possa arrestare.

L’inflazione, sostengono gli autori, non finirebbe ovunque nello stesso istante: alcune regioni continuerebbero ad inflazionare per sempre (o quasi), mentre altre “cadono” nel vuoto vero: lì l'inflazione si arresta creando un 'universo bolla' spinto lontano da altri universi bolla dalla crescita inflazionaria delle regioni che li separano. (11)

Ogni bolla può quindi esser stata dotata di una propria inflazione locale, e questa previsione porta al modello multiverso inflazionario: esisterebbe una sola inflazione globale che localmente può terminare, creando così un'infinità di universi bolla, ognuno con la propria storia cosmologica.

L'inflazione modulata (staggered inflation): alcuni modelli - tra i quali quello presentato nel 2009 da Ashoorioon e Brandenberger - considerano l'esistenza di più campi scalari (multi-field inflation), ciascuno dei quali può dominare l’inflazione in una certa epoca per poi decadere, producendo così fasi inflazionarie successive.

L'inflazione ciclica o periodica: in certi modelli ciclici o ekpirotici - quali ad esempio quelli di Steinhardt e Turok - l’universo attraversa cicli successivi di espansione e contrazione; alcuni di essi potrebbero contenere fasi inflazionarie.

Anche se non si tratta proprio di inflazione classica, in certi cicli può manifestarsi un'espansione accelerata molto simile all’inflazione.

L'inflazione intermittente (warm inflation): in alcuni scenari teorici - vedi quello di Berera - l’inflazione può interrompersi temporaneamente per poi riprendere, qualora ad esempio l’interazione tra il campo inflatone e la radiazione risulti complessa.

La presenza di una tale situazione potrebbe generare mini-fasi inflazionarie alternate a fasi di evoluzione più standard.



Dopo aver elencato ed analizzato i principali modelli di inflazione cosmologica, prendiamo in esame le loro predizioni circa la dimensione che avrebbe avuto l'universo al termine del processo inflazionario.

Ricordiamo prima di tutto il "caveat" contenuto nella risposta che Tonelli mi aveva dato: "... le dimensioni dell’universo - prima e dopo l’inflazione - dipendono dalla scelta di un modello inflazionario specifico, dalle dimensioni di partenza e dal tempo di raddoppiamento del volume ipotizzati ...".

Detto questo, esistono stime comuni basate sui requisiti minimi che l’inflazione deve soddisfare per risolvere i problemi del modello standard.

Perchè un modello possa risolvere i problemi che sorgono dal modello classico del Big Bang - di cui ho trattato in nota 4 - è necessario ipotizzare che l'inflazione debba aver causato un'espansione del fattore di scala pari ad almeno e⁶º (un valore simile a 1,14 x 10²⁶ approssimabile a 10²⁶): un numero enorme che racconta di un'espansione dello spazio quasi inimmaginabile avvenuta in un intervallo di tempo brevissimo.

Durante l’inflazione una lunghezza standard L(iniziale) viene stirata e^n volte ottenendo così L(finale), dove n corrisponde al numero di e-folds.

Ogni e-fold aumenta la scala di un fattore e ≈ 2,718

Nel suo articolo originale Guth stimò che l’universo, prima dell’inflazione, avesse una scala fisica molto piccola, ∼10-²⁸ metri, e che durante l’inflazione si fosse espanso di circa e⁶º volte (cioè 60 e-folds, una cifra ancora oggi considerata un valore minimo necessario) che in base 10 abbiamo visto si possa approssimare a 10²⁶ volte).

Quindi per Guth la dimensione finale dell'universo all'uscita dall'inflazione risultava pari a:

L(finale) = ∼10-²⁸ metri x 10²⁶ = 10-² metri = 1 centimetro

E' importante sottolineare che Guth non ipotizzava un universo iniziale di dimensioni comparabili alla scala Planck (∼10-³⁵ metri), ma leggermente più grande, coerente con una scala di energia inflazionaria tipica (∼10¹⁵ / 10¹⁶ GeV) che corrisponde ad un orizzonte causale iniziale più grande della scala di Planck ma ancora piccolissimo.

Negli anni successivi testi divulgativi (tra i quali libri di Stephen Hawking, Brian Greene ed Alan Lightman), alcuni documentari (PBS, BBC) ed articoli comparsi sui riviste divulgative (quali Scientific American) iniziarono a paragonare le dimensioni dell'universo uscito dall'inflazione con quelle di un'arancia, circa 10 volte più grande della stima di Guth.

Andrej Linde, proponendo il modello new inflaction, si trovò infatti a dover ipotizzare una durata leggermente più lunga di quella originale, e di conseguenza ad aumentare il numero di e-folds; sostituendo e⁶º con e⁷⁸ troviamo L(finale) pari a 10-¹ metri = 1 decimetro, più o meno le dimensioni di un'arancia.

Altri modelli aumentano ancora il numero di e-folds sino ad identificare L(finale) pari circa ad 1 metro, le dimensioni di un pallone da spiaggia. (12)


Aveva dunque torto Ersilia Vaudo?

L'universo osservabile oggi si estende solo fino al nostro orizzonte causale, cioè al cono di luce passato. (13)

Tuttavia, quando diciamo che l’universo osservabile all’uscita dall’inflazione aveva una scala tra un decimetro ed un metro stiamo usando una definizione diversa di "osservabile".

L'universo osservabile odierno (nel senso relativistico) è determinato dal cono di luce passato (tutto ciò che ha potuto causare effetti su di noi) e cioè alla regione del cosmo - con un raggio pari a circa 46 miliardi di anni luce (10²⁶ metri) - dalla quale la luce ha avuto il tempo di raggiungerci.

L'universo osservabile a fine inflazione (nel contesto dei modelli inflazionari) indica invece la regione che oggi ha dato origine all’universo osservabile, viene calcolata “all’indietro nel tempo” tenendo conto dell’espansione post-inflazionaria e non è delimitata dal cono di luce: è la porzione dello spazio inflazionato che ha generato causalmente la regione visibile oggi, dopo inflazione e Big Bang caldo.

Di solito ha una scala fisica piccola ma finita, un centimetro o un metro, a seconda di quanta inflazione si assume.

Affermare che "l'universo osservabile post-inflazione era grande un centimetro" (o un metro) significa affermare che l'universo al termine dell'inflazione aveva una regione espansa (in modo quasi uniforme) di almeno questa dimensione.

Quella regione, quella bolla causale, si è poi espansa con l’universo fino a diventare ciò che oggi chiamiamo “universo osservabile” (che ha un raggio pari a 10²⁶ metri).

Circa le dimensioni dell'universo osservabile a fine inflazione, in letteratura si trovano valori estremamente diversi: il motivo è da ricercarsi nel fatto che nessuno conosce esattamente quanti e-folds di inflazione ci siano stati: il minimo richiesto per risolvere i problemi della teoria classica del Big Bang è pari circa a 60 e-fold, ma non esiste un limite teorico superiore.

In base al valore assegnato ad N (il numero di e-folds) la scala fisica cambia esponenzialmente.

La scala iniziale (prima dell’inflazione) varia da lunghezza di Planck fino a dimensioni mesoscopiche, quali quelle di un granello di sabbia (credo la Vaudo si riferisse a questo).

Un approccio usato per calcolare le dimensioni dell'universo osservabile a fine inflazione è quello di partire dalle dimensioni odierne (10²⁶ metri) e poi calcolare all’indietro.

Se stimiamo il valore minimo di e-folds, pari a 60, otteniamo 10²⁶ metri / e⁶º = 1 metro

Aumentando il numero di e-folds a 70 otteniamo la dimensione di un capello; se poi lo portiamo ad 80 si arriva ad un nanometro.

Dunque stime diverse che si trovano in letteratura non sono in contraddizione tra di loro, ma rappresentano diverse ipotesi sul numero di e-folds: quanti più e-folds si ipotizzano, tanto più la scala finale risulterà più piccola e l'universo più “piatto” e omogeneo.

Per terminare un'ultima osservazione importante: le stime così ottenute riguardano non l’intero universo - che può essere infinito - ma la sola “patch” che si è espansa fino a diventare il nostro universo osservabile di oggi.

Gran parte dello spazio che costituiva l'universo uscito dall'inflazione era già allora fuori dal nostro orizzonte futuro: non tutto ciò che era “vicino” a noi a fine inflazione è ancora causalmente connesso con noi oggi.

L'espansione - soprattutto durante l'inflazione stessa - ha separato causalmente le regioni cosicché la nostra “sfera osservabile” odierna è solo una minuscola parte della regione uscita dall’inflazione. (14)

L’inflazione ha dunque espanso solo una piccola regione che è diventata il nostro universo osservabile, là dove l’universo "completo" potrebbe essere infinitamente grande, oppure contenere altre "bolle" in caso di inflazione eterna o multiverso.



Note:

(1) In Mirabilia si legge: "... la regione di partenza ... raggiunse alla fine dell'inflazione (la dimensione di) circa un millimetro di diametro ...".

(2) Quella dell'inflazione non è un'ipotesi o una congettura, ma una vera e propria teoria scientifica, nel senso pieno del termine; nata come proposta teorica formulata per spiegare osservazioni nell’ambito della cosmologia, è stata sottoposta a test empirici.

È prima di tutto una teoria scientifica nel senso epistemologico.

Secondo il criterio generalmente accettato in filosofia della scienza (vedi Popper, Lakatos, ecc.), una teoria scientifica deve essere coerente internamente (logica e matematica), empiricamente fondata (deve spiegare o prevedere osservazioni) e falsificabile (cioè in linea di principio refutabile con osservazioni).

L’inflazione cosmica soddisfa tutte quante queste condizioni: è infatti formulata matematicamente (ad esempio tramite la dinamica di un campo scalare come l’inflatone), spiega fenomeni osservabili come la piattezza dell’universo e l’orizzonte termico (cioè l’uniformità della radiazione cosmica di fondo, CMB) e la quasi uniformità con piccole fluttuazioni primordiali, e prevede uno spettro di perturbazioni gaussiane quasi invarianti di scala, in accordo con i dati del satellite Planck e altri.

È tuttavia una teoria ancora in fase di consolidamento: nonostante il successo nel descrivere le condizioni iniziali del Big Bang, l’inflazione non è una teoria completa o definitiva in quanto esistono molti modelli diversi di inflazione (caotica, new inflation, eternal inflation, ecc.) e non abbiamo ancora identificato direttamente l’inflatone o verificato aspetti cruciali quali la presenza di onde gravitazionali primordiali (parametro r), e le non-gaussianità nelle fluttuazioni della CMB.

Questo fatto è dovuto in parte agli attuali limiti della nostra tecnologia; la speranza è che nuovi strumenti tecnologici in fase di approntamento possano portare nuove conferme in un tempo non lontano (ad esempio con l’entrata in funzione di nuovi interferometri qualli LISA).



(3) L’espansione dell’universo durante la fase inflazionaria avvenne a velocità superluminale: in Relatività Generale non esiste infatti un limite alla velocità dell’espansione dello spazio stesso.

Esauritasi l’inflazione, l’espansione continuò rallentando progressivamente, ma la sua velocità rimase superluminale su grandi distanze.

Solo dopo qualche tempo divenne dominata dalla radiazione, e da lì in poi il tasso di espansione diminuì gradualmente fino a velocità subluminali su scale locali (tuttavia alcune regioni resteranno per sempre fuori dalla portata causale).

Parametro chiave è il fattore di scala a(t) ed il suo tasso di crescita:

  • Durante inflazione a(t) > c (velocità superluminale su grandi scale);

  • Appena esaurita l’inflazione il fattore di scala cala, ma resta comunque elevato: a(t) > c;

  • In epoca di radiazione: a(t) diventa proporzionale a t^(1/2); l’espansione rallenta;

  • In epoca di materia: a(t) diventa proporzionale a t^(2/3); l’espansione procede con una velocità ancora più lenta.

Per maggior chiarezza è opportuno specificare cosa significhi velocità di espansione dell'universo e come essa si misuri.

Come insegna la legge di Hubble, la velocità con cui due punti nell’universo si separano a causa dell’espansione dipende dalla loro distanza: non esiste un riferimento ad un tempo universale in cui la velocità di espansione scenda ovunque al di sotto di quella della luce.

Dunque la risposta alla domanda "quando la velocità di espansione dello spazio scese al di sotto di quella della luce" presuppone il riferimento ad una determinata distanza: anche oggi regioni molto lontane potrebbero allontanarsi da noi a velocità apparente superiore a quella della luce semplicemente perché lo spazio tra noi e loro si sta espandendo rapidamente.

Proviamo a fare alcune stime:

  • Al termine dell’inflazione (10−³² secondi dopo il Big Bang) solo regioni ultra microscopiche si separavano a velocità inferiori a quella della luce.

  • Perché l’orizzonte di Hubble - la regione di universo entro la quale la velocità di recessione di un punto qualunque rispetto all'osservatore risulti inferiore a quella della luce - raggiunga distanze macroscopiche (all'incirca 1 metro) devono trascorrere almeno 10⁻¹º secondi.

  • In un periodo compreso tra 10⁻⁵ e 10⁻³ secondi l’orizzonte di Hubble è già dell’ordine di chilometri (due punti separati da 1 km si separano a velocità ≲ a quella della luce).

In conclusione non esiste un momento esatto in cui l'espansione diventa subluminale in senso assoluto; dopo l’inflazione, entro frazioni di secondo (tra 10⁻⁵ e 10⁻³ secondi), l'espansione su distanze locali (ad esempio 1 km) è già subluminale, mentre se consideriamo grandi distanze essa potrebbe esser ancor oggi superluminale.

(4) Nella seconda metà del secolo scorso emerse un conflitto tra le previsioni del modello classico del Big Bang (privo cioè di inflazione) ricavato dalle equazioni della Relatività Generale e quanto si andava scoprendo circa le caratteristiche dell'universo attraverso osservazioni condotte sia con strumenti a terra che con satelliti dedicati.

In particolare si erano manifestate tre situazioni - i cosiddetti problemi dell’orizzonte, della piattezza e dell’assenza di monopoli magnetici - che, alla fine degli anni '80, spinsero Alan Guth ad ipotizzare l'esistenza dell'inflazione cosmica.

a) Problema dell’orizzonte: perché l’universo osservabile è così uniforme (isotropo ed omogeneo) se parti opposte della volta celeste - per la limitatezza della velocità della luce - non avrebbero mai potuto comunicare causalmente?

La scoperta del fatto che la radiazione cosmica di fondo (CMB) presenti ovunque la stessa temperatura (≈2,725 K) indipendentemente dalla direzione in cui venga misurata - ad eccezione di microscopiche fluttuazioni nell'ordine di 10-⁵ - aveva messo in crisi il modello classico del Big Bang: considerando l'espansione dello spazio causata da un solo evento, il Big Bang, regioni distanti più di ~1° nella volta celeste non potevano (ancora) esser venute in contatto causale al momento del disaccoppiamento (~380.000 anni dopo il Big Bang), quando si formò la CMB.

Come avrebbero dunque fatto queste regioni a “concordare” la propria temperatura le une con le altre?

La soluzione proposta dal modello di Guth prevedeva che l’inflazione avesse "stirato" enormemente una minuscola regione causale iniziale (termicamente equilibrata) in un intervallo di tempo brevissimo, cosicché al termine del periodo inflazionario tali regioni costituissero le porzioni di cielo oggi osservabili (utilizzando radiotelescopi) in ogni direzione.

b) Problema della piattezza (o flatness problem): perché l'attuale curvatura dell’universo, passati quasi 14 miliardi di anni dal Big Bang, risulta prossima a zero (universo piatto)?

Vediamo il significato di questa domanda.

L’equazione di Friedmann relativa al Big Bang classico implica che il parametro di densità totale Ω si evolva nel tempo tale che:

Ω − 1 ∝ k / (a H)²​

Questa equazione ci mostra che, nell'universo primordiale, sarebbe bastata una microscopica differenza del valore di Ω rispetto ad 1 perchè, col passare del tempo, si realizzi una divergenza progressivamente più marcata.

Le attuali misurazioni, confermate dai dati raccolti dal satellite Planck, ritornano per Ω un valore molto vicino a 1 (l’universo risulta piatto a meno dell’1%); per giustificare un tale valore bisogna ipotizzare un fine tuning iniziale estremo (pari a Ω = 1 ± 10−⁶º) al tempo di Planck.

il modello inflazionaria di Guth prevede invece un'espansione enorme di a al tempo "t" - a(t) - cosicché risulti:

k / (a H)²​ ​→ 0 e quindi ne consegua Ω − 1 = 0 da cui Ω = 1

Anche se l’universo preinflazionario fosse stato dotato di una curvatura, nel corso dell’inflazione sarebbe stata appiattita: un palloncino possiede una curvatura ma se lo potessimo gonfiare enormemente la sua superficie apparirebbe piatta.

c) Problema dei monopoli magnetici: le teorie GUT (Grand Unified Theories, o teorie della Grande Unificazione) sono modelli fisici che ambiscono ad unificare le tre forze fondamentali non gravitazionali della natura in un unico quadro teorico coerente, e predicono l'esistenza di particelle topologiche stabili con carica magnetica indicate col nome di monopoli magnetici (un analogo magnetico della carica elettrica, una specie di “polo nord” isolato).

Alcune di queste teorie, quali ad esempio la SU(5) e la SO(10), prevedono che l’universo primordiale avrebbe dovuto produrre enormi quantità di monopoli magnetici che dovrebbero poter rilevare ancor oggi.

Sinora nessun monopolo magnetico è stato osservato: se però l’inflazione fosse iniziata in un tempo successivo alla loro produzione, avrebbe potuto "diluirli" esponenzialmente nello spazio fino a renderli invisibili (così come accade ad un cucchiaino d'inchiostro versato nell'oceano).



(5) Max Tegmark nel suo saggio "L'universo matematico" prova a farci visualizzare l'incredibile espansione dello spazio avvenuta durante il processo inflazionario con un esempio: un cubo che raddoppia il proprio volume ogni 10-³⁸ secondi per 260 volte di seguito.


(6) Il campo inflatone è un campo scalare ipotetico introdotto ad hoc per spiegare il meccanismo dell’inflazione cosmica.

Analogamente al campo elettromagnetico (che ha il fotone come particella associata), il campo inflatone permea tutto lo spazio.

È responsabile della rapida espansione esponenziale dell’universo nei primi 10−³⁶ secondi dopo il Big Bang e possiede un’energia potenziale che domina il comportamento dell’universo durante l’inflazione (è la sorgente dell’energia che gonfia lo spazio, come l’aria in un pallone).

Quando questo campo "scivola" o "cade" verso un valore minimo del suo potenziale, finisce l’inflazione e l'energia viene convertita in particelle tramite la fase chiamata reheating.

La particella che porta lo stesso nome è il quanto di eccitazione del campo inflatone; come il fotone è il quanto del campo elettromagnetico, l’inflatone è la particella associata alle oscillazioni quantistiche del campo inflatone.

Sebbene in teoria potrebbe essere rilevabile, quanto meno in certi modelli, ad oggi non è ancora stato osservato (il bosone di Higgs, che ha caratteristiche del tutto simili all'inflatone, si ritiene non coincida con esso pur "essendone cugino stretto").

Al termine dell’inflazione, quando il campo inizia ad oscillare intorno al minimo del suo potenziale, l'inflatone decade in particelle standard riscaldando l’universo.

(7) Per comprendere il reheating o termalizzazione, immaginiamo di gonfiare un palloncino di gomma: la struttura elastica del pallone si stira, e se non fosse bilanciata dalla pressione interna dell'aria tenderebbe a ritornare nello stato iniziale.

Questa tensione rappresenta l'energia accumulata durante la fase inflazionaria che al suo termine viene rilasciata e si trasforma in energia termica.

Si stima che la massima temperatura raggiunta in questa fase sia compresa tra 10²⁷ e 10²⁹ K che espressa in unità di energia grazie alla relazione E=k(b)T risulta pari ad un valore tra 10¹⁴ e 10¹⁶ GeV; da quel momento in poi l’universo si comportò come un plasma termico in espansione.

In presenza di tali temperature, tutte le particelle del Modello Standard (e forse anche quelle previste dalle teorie GUT) risultano libere, non legate.

L’universo in questa fase risulta costituito da un plasma opaco, caotico e densissimo.

E' possibile che le forze fondamentali (elettrodebole e forte) potessero esser unificate (così come predetto dalle GUT).

La presenza di fluttuazioni quantistiche molto più tardi porterà alla formazione delle galassie.

Al termine del reheating l’universo si espande e si raffredda molto rapidamente.

In meno di un secondo la temperatura scende a 10¹º K (pari a circa 1 MeV) ed ha inizio la nucleosintesi primordiale (BBN, Big Bang Nucleosynthesis).

Si tratta di un processo che ha avuto luogo tra 10 secondi e 20 minuti dopo il Big Bang durante il quale vengono prodotti i primi nuclei atomici leggeri.

Protoni e neutroni, già presenti dai primi istanti dopo il Big Bang, cominciano ad unirsi ed a formare i primi nuclei atomici stabili, quali il deuterio (un protone con un neutrone), l’elio-4 (2 protoni e 2 neutroni) e piccole tracce di Elio-3, Trizio e Litio-7.

Trascorsi 20 minuti dal Big Bang l'espansione dello spazio fa sì che densità e temperatura siano oramai troppo basse e non resti sufficiente energia per fondere nuovi nuclei: la nucleosintesi si ferma.

Bisognerà aspettare altri 380.000 anni, l'epoca della ricombinazione, per assistere alla formazione di atomi neutri (composti cioè dal nucleo con caricaa positiva e dalla propria nuvola di elettroni con carica negativa).

(8) Di solito per render più comprensibile quanto qui indicato si utilizza l'esempio della pallina.

Immaginiamo una pallina che si trovi in un paesaggio formato da valli e colline; la pallina è sul fondo di una valle, e saremmo portati a credere essa si trovi in una posizione stabile nel punto più basso possibile.

Tuttavia nei pressi potrebbe esiste una valle posta ancora più in basso, magari separata dalla prima da una collina.

Il falso vuoto è rappresentato dalla pallina che è ferma in fondo alla valle, pur tuttavia non essendo quello il punto più profondo dell’intero paesaggio.

La sua posizione è stabile, ma la valle al di là della collina si trova ancora più in basso, e, nel nostro esempio, rappresenta il vero vuoto.

Nel mondo classico non ci sarebbe possibilità per la pallina di cambiare valle e raggiungere il punto più basso, tuttavia nella fisica quantistica è previsto l'effetto tunnel che, in certe condizioni, permette alla pallina di attraversare la collina che separa le due valli: una transizione di fase del primo ordine è il modo in cui la pallina cambia valle.

Per inciso, l'effetto tunnel è ciò che permette la fusione nucleare nelle stelle: i protoni, dotati di carica positiva, si respingono per via della forza elettrostatica (repulsione di Coulomb).

Per fondersi dovrebbero avvicinarsi fino a circa 10⁻¹⁵ metri, là dove agisce la forza nucleare forte; ma questi non sono dotati di sufficiente energia cinetica (a 15 milioni di gradi dispongono di 1 keV mentre necessiterebbero di 1 MeV per fondersi).

Il Sole brilla perché possiamo descrivere i protoni non solo come particelle, ma anche come onde di probabilità: anche se l’energia disponibile è insufficiente, esiste comunque una probabilità non nulla che un protone “tunnelli” (passi) attraverso la barriera e si fonda con un altro.

Essendo il numero di protoni presenti in una stella enorme, qualcuno passerà sempre e darà luogo alla fusione nucleare.


(9) Un altro esempio di transizione di fase del primo ordine è quello di una goccia d'acqua che si formi nel vapore quando l’aria si raffredda: all’inizio c’è solo vapore, poi, mano a mano che la temperatura diminuisce, si formano goccioline d’acqua (bolle) che se non diventano grandi e abbastanza numerose restano sparse.

Nel modello inflazionario originale il falso vuoto si comporta come il vapore mentre il vero vuoto è comparabile all’acqua liquida; le bolle (ogni “salto” crea una bolla del vero vuoto) sono come le goccioline che non si mescolano bene, cosicché l’universo risulterebbe “a pezzetti”, pieno di "vuoti" separati, cosa che non trova riscontro nelle nostre osservazioni del cosmo.

(10) Ne ricordiamo brevemente alcune:

Nel 1986/87 Katherine Freese, Joshua Frieman, Angela Olinto presentano il modello Natural Inflation (o Inflazione naturale); si pone come scopo quello di costruire un potenziale inflazionario piatto in modo naturale, cioè senza dover fare ipotesi artificiali o finemente calibrate (elimina il fine tuning, le condizioni speciali che abbiamo visto sono richieste dalla chaotic inflaction).

L’inflazione naturale sfrutta un campo pseudo-scalare (simile all’assione, una particella ipotetica legata alla QCD) con una simmetria di tipo shift che garantisce il potenziale del campo sia piatto, rendendo possibile una fase di slow-roll senza fine tuning.

Simmetrie di tipo assionico sono comuni in teorie delle stringhe ed in modelli di supergravità.

Nel 1991 prima (versione originale) e poi nel 1994 (versione supersimmetrica / D-term) Andrei Linde formalizza il modello Hybrid Inflation (o Inflazione ibrida).

Per dare una spiegazione al meccanismo che pose fine all’inflazione, Linde propone un modello in cui quest'ultima risulti guidata da un campo ϕ (il campo inflatone che controlla l’espansione) e termini bruscamente per effetto di un secondo campo ψ (un campo instabile che rimane fermo fino a un certo momento, poi collassa causando la fine dell'inflazione).

L'inflazione si verifica mentre ϕ scende lentamente, e si ferma bruscamente quando ϕ raggiunge una soglia critica dove ψ diventa instabile (un campo tachionico).

I vantaggi che apporta questo modello alla teoria standard dell'inflazione sono molteplici: questa risulta terminare con una transizione chiara ed automatica, arruola l'energia del vuoto come componente costante che facilita l’inflazione, è integrabile in modelli quali SUSY, supergravità e teorie delle stringhe, supporta variazioni quali F-term, D-term, modelli con brane, ecc.

Tra il 1999 e il 2001 autori quali Guth, Dvali, Tye, Kachru, Kallosh, Linde e Trived propongono modelli di inflazione su brane (Brane Inflation).

Si basano sulla teoria delle stringhe dove il nostro universo è una 3-brana (una membrana tridimensionale) immersa in uno spazio a più dimensioni (il bulk).

L’inflazione risulta generata dal movimento relativo di due brane nel bulk: una D3-brana ed una anti-D3-brana si attraggono gravitazionalmente e con forze di tipo stringa: il campo inflatone rappresenta la distanza tra le due brane.

Quando le brane si avvicinano si determina una reciproca attrazione che porta allo slow-roll ed infine all'inflazione.

La loro collisione ne provoca l'annichilazione con conseguente rilascio di energia (fenomeno alla base del reheating).

Tra il 1998 ed il 2000 vengono sviluppati, da Kachru, Kallosh, Linde e Trivedi, tre generi di modelli di inflazione: modulare, assionica e racetrack.

Rappresentano il tentativo di radicare l’inflazione in teorie fondamentali, specialmente la teoria delle stringhe, incorporando assioni (per la stabilità del potenziale),

moduli (per le dimensioni extra) e strutture supersimmetriche e non perturbative.

Hanno in comune il fatto di basarsi su moduli scalari (cioè campi associati a dimensioni extra o costanti di accoppiamento) e su assioni (particelle scalari pseudo-Goldstone).

I più recenti sviluppi della teoria sono forse i modelli α-attractors, che si devono a Renata Kallosh, Andrei Linde e Diederik Roest .

Si tratta di una classe elegante e sorprendentemente universale di modelli inflazionari proposti negli anni 2013–2015 che si sono rivelati estremamente robusti e compatibili con i dati cosmologici (specialmente con quelli del satellite Planck).

In questi modelli il potenziale dell’inflatone ha una forma piatta e universale a grandi distanze nel campo, indipendentemente dalla forma iniziale del potenziale; tale fatto li rende “attrattori”, diversi modelli producono le stesse previsioni osservabili.

Si basano su supergravità, geometria iperbolica e cinetica non canonica.

(11) Vedi il mio post "Uno o molti multiversi? La 'prudente scommessa' di Steven Weinberg sulla teoria del multiverso." pubblicato il 22 gennaio 2025.

(12) Modelli più moderni - come quelli di Linde, inflazione caotica, inflazione eterna, α-attractors) non fissano un limite superiore alla durata dell’inflazione.

Con 80 e-folds otteniamo una misura delle dimensioni dell'universo all'uscita dall'inflazione pari ad 1 metro; con 100 e-folds di 100.000 km.

Ogni 10 e-folds in più moltiplica la scala di uscita per un fattore e¹º ≈2.2×10⁴!

(13) Per approfondimenti sul significato di Universo Osservabile, Sfera di Hubble, Universo "totale" vedi il mio post "Ma quanto è grande l'universo in cui viviamo?" pubblicato il 4 febbraio 2025.

(14) Quanto minuscola non ci è dato saperlo: la dimensione dell'universo globale post-inflazione dipende dal numero di e-folds




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