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lunedì 3 maggio 2021

Non sempre le strategie che funzionano sono esportabili in altri contesti, seppur molto simili: il rischio di insuccesso nei processi di trasferimento della conoscenza.

Nello stato indiano del Tamil Nadu, ancora circa una ventina di anni fa, la mortalità riscontrabile nei primissimi anni di vita era decisamente sopra la media rispetto ad altre regioni dove l'incidenza della povertà non era dissimile.

Una ricerca condotta dalle organizzazioni umanitarie ne individuò la causa in una usanza diffusa tra quelle puerpere del luogo che appartenevano alle classi più umili: poiché l'assistenza sanitaria era praticamente inesistente ed il rischio di perire durante le fasi del parto, qualora il neonato fosse di grandi dimensioni, risultava assai elevato, quest'ultime all'avvicinarsi della scadenza smettevano del tutto di mangiare.
Tale pratica contribuiva sì a far diminuire i decessi tra le gestanti, tuttavia comprometteva la salute dei neonati che, nati sotto peso e malnutriti, soccombevano alle più lievi patologie contratte.

Un'opera di educazione capillare nei villaggi e la distribuzione di pacchi cibo per le donne meno abbienti, in pochi anni contribuì a far diminuire drasticamente l'incidenza della mortalità infantile.

Forti di questo successo, le stesse organizzazioni umanitarie decisero di replicare il programma in alcune aree di uno stato asiatico confinante, il Bangladesh, dove la mortalità infantile registrava valori elevati.
Uno studio pilota vi aveva rinvenuto una situazione simile a quella del Tamil Nadu: anche qui le donne in attesa riducevano le calorie della dieta in prossimità del parto.
Dunque il modello già utilizzato venne replicato.
Tuttavia, pur passando gli anni, la mortalità neonatale ed infantile non accennava a diminuire.

Un nuovo studio mirato condotto con interviste e studi antropologici ne indicò la causa nel fatto che in Bangladesh, a differenza che nella confinante India, il controllo dell'alimentazione della famiglia spetta, invece che alla moglie, alla suocera.  E' così probabile che parte delle razioni supplementari, offerte dal programma alimentare alle puerpere, venisse da quest'ultime dirottato verso il proprio figlio, invece di destinarlo alle nuore.

Un singolo dettaglio ha compromesso dunque l'efficacia di una campagna ben organizzata e pianificata con attenzione ai particolari: un dettaglio che a posteriori pare evidente, ma che in fase di pianificazione si confonde con altre decine di migliaia di variabili ignote, per le quali è impensabile si possa organizzare uno studio in grado di soppesarne gli effetti sull'obiettivo che vogliamo raggiungere.

Questa breve narrazione ci dovrebbe far riflettere come anche una conoscenza al 99% di un fenomeno possa provocare il completo fallimento di un progetto.

La filosofa della scienza Nancy Cartwright ("Evidence Based Policy: a pratical guide to do it better", Oxford 2012) parla di "principio dell'anello debole".

L'idea che "muovendo le stesse leve" in situazioni simili si possa ottenere un risultato identico (o quasi) - regolarità causale - è semplicemente errata.
La differenza di un singolo piccolo dettaglio rende inefficace la nostra conoscenza, per approfondita che sia.
La "farfalla del caos" è all'opera in quasi ogni contesto: piccolissime differenze nello stato iniziale di un fenomeno possono portare ad esiti di segno opposto.

L'illusione che un modello a qualsiasi livello di complessità possa riassumere la varietà che riscontriamo nel mondo reale, e dunque consenta di fare previsioni, è appunto una mera illusione: tuttavia è e rimane l'unico mezzo a nostra disposizione.

Non avendo alternative, è opportuno ricordarci semplicemente che una sua applicazione "potrebbe non funzionare in alcuni contesti": un grado di prudenza insieme all'organizzazione di puntuali verifiche sul grado di funzionalità ci permette di evitare di procedere ostinatamente verso una direzione errata. 











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