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martedì 25 febbraio 2020

Perchè siamo così spaventati dal coronavirus Covid-19: un problema di comunicazione.


Nel post della scorsa settimana  - "L'epidemia di coronavirus ed il rischio biologico: la cenerentola degli incubi del XXI secolo" -  avevo già trattato l'argomento cercando di trovare giustificazione ad un fenomeno prettamente italiano: un vero accanimento nei confronti di questa epidemia che ha generato diffidenza, talora sconfinata in odio, nei confronti della comunità cinese residente e dei prodotti provenienti dall'estremo oriente.
Una situazione anomala che, come facevo notare, non si è verificata in occasione di recenti epidemie ben più pericolose di quella in corso, quali ad esempio la diffusione tra il 2013 ed il 2016 del virus "ebola" in alcuni paesi dell'Africa sub sahariana.

Negli ultimi giorni, con la comparsa dei primi casi di Covid-19 in città del Nord Italia, è esplosa l'isteria popolare: paure irrazionali, in un certo senso giustificabili, hanno assalito i residenti che si sono affrettati ad imitare comportamenti e prassi adottate nei secoli passati in presenza di epidemie (ma in assenza delle attuali conoscenze scientifiche circa le loro cause e modalità di contagio).


Il vergognoso teatrino politico, trovata una nuova arena di scontro, non ha fatto che aumentare il senso di incertezza che attanaglia l'italiano medio; il suo frastuono ha messo la sordina ai messaggi rassicuranti provenienti dalle autorità del campo medico (le uniche a poter parlare con cognizione di causa), le quali con ammirevole costanza, pur senza apparente successo, si sforzano di fornirci un'informazione completa sull'andamento dell'epidemia mettendo le cose nella giusta prospettiva, cercando di farci capire come questo coronavirus non sia un flagello comparabile ad una pandemia.


Pur senza autorità e competenze specifiche, utilizzando solo la logica ed elementari nozioni di matematica e statistica, proverò anch'io a costruire un semplice modello, utile a rispondere - quanto meno in maniera approssimativa - alla domanda che sento rivolgere in continuazione dalla gente intorno a me:

"... e adesso cosa succede?..."

Partiamo dalla raccolta e dall'osservazione di dati oggettivi e vediamo quali conclusioni si possano trarre attraverso l'utilizzo della logica.


Questa mattina ho chiesto ad una amica cinese di procurarmi, aggiornati ad oggi 25 febbraio 2020, i dati analitici ufficiali forniti dalle autorità in tempo reale circa la diffusione dell'epidemia in Cina, così da poterne ricavare uno spaccato per città, provincia e nazione.

L'intento è quello di costruire un modello elementare da usarsi "in modalità predittiva" per formulare ipotesi su quale potrà essere l'evoluzione dell'epidemia qui in Italia.
Dobbiamo davvero aspettarci una pandemia con connesso stillicidio di vittime?

Ecco la tabella 1.1 che ho ricavato dai dati cinesi


Una prima evidenza emerge dai dati indicati in tabella 1.1: nonostante colpevoli ritardi nella messa a punto degli interventi di contenimento suggeriti come prassi dall'OMS, nella città di Wuhan (si pronuncia U-han) - focolaio dell'epidemia - sono stati finora conteggiati circa 47.000 contagi su una popolazione di quasi 12.000.000 di individui: appena lo 0,39% (definirò a seguire questo rapporto come"tasso di contagio").

(*) vedi nota 1.

Wuhan è una città densamente popolata dove il nuovo virus ha trovato, almeno nel periodo iniziale dell'epidemia, un ambiente ottimale per la propria diffusione: l'inerzia da parte delle autorità in fatto di adozione di misure di sicurezza specifiche ha determinato nelle prime settimane valori elevati dei tassi di contagio e di letalità, destinati a ridursi in un secondo tempo, in linea con i dati rilevati nelle altre zone in cui Covid-19 si è successivamente diffuso.

In città non soltanto rileviamo un tasso di contagio pari a 0.39%, oltre 3 volte il valore relativo ai dati della provincia di Hubei (0,11%) di cui Wuhan è capoluogo: anche la percentuale dei decessi sui contagi risulta elevata (4,34%) mentre nel resto della Cina si aggira sul 3,43%.

(**) vedi nota 2.

La causa ancora una volta è da ricercarsi nei ritardi accumulati nell'adozione di misure di contenimento: non potendo distinguere i sintomi di una classica influenza da quelli del coronavirus, i pronto soccorso degli ospedali cittadini sono stati presi d'assalto, e spesso, senza saperlo, persone contagiate - senza polmoniti in corso o patologie evidenti - venivano rimandate a casa in attesa di verificare l'evoluzione della malattia, mettendo così a rischio tutti coloro che ne venivano a contatto.

Proviamo ora a fare una prima estrapolazione: a Wuhan sono state registrate 2043 morti su una popolazione di quasi 12 milioni di abitanti, cioè meno di due persone ogni diecimila abitanti.

Se la sua dimensione fosse quella di una città come Milano (1.373.000 abitanti) a parità di condizioni i decessi sinora registrati sarebbero stati 233.
Tuttavia Milano non è Wuhan: se il focolaio fosse sorto nella città del nord Italia, la rapidità di risposta all'emergenza da parte del nostro sistema sanitario avrebbe sicuramente ridotto il numero dei contagi sul totale della popolazione, così come pure la minor densità abitativa avrebbe giocato a favore.
Il tasso di contagio nel caso di una epidemia "meneghina" - fotografata allo stesso stadio di quella cinese - potrebbe risultare simile a quello registrato nella provincia di Hubei (la cui densità abitativa non è diversa da quella della città di Milano presa insieme al suo hinterland): cioè all'incirca lo 0,10%, quindi 1373 cittadini milanesi contagiati.

Ed il relativo tasso di mortalità?

Nel precedente post avevo riportato la dichiarazione del virologo Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia, che in base ad un recentissimo studio cinese sosteneva il tasso di letalità del Covid-19 debba considerarsi pari ad un valore tra lo 0,1 e lo 0,3%: dunque nel nostro "esercizio" i decessi attesi all'interno della città di Milano non dovrebbero superare le 4 unità.

(***) vedi nota 3.


Potremmo ora chiederci cosa dovremmo aspettarci per il Nord Italia, dove l'epidemia "nazionale" ha avuto inizio e sembra dilagare in queste ore.

Consideriamo pertanto i date della tabella 1.2.
La popolazione totale delle 8 regioni del nord è pari a 27,75 milioni di abitanti, circa 2,3 volte il valore della popolazione residente nella provincia di Hubei, pur presentando una densità abitativa inferiore a questa.
Usiamo ancora una volta per le nostre stime un tasso di contagio simile a quello rilevato per la provincia cinese, lo 0,11%: il numero dei contagi attesi - in una fase identica a quella che oggi sta attraversando l'epidemia cinese - viene calcolato in circa 30.000 unità.

(****) vedi nota 4.

Da questo dato ricaviamo una stima del numero di decessi - qualora l'ipotesi di Maga sia corretta - che risulta compreso in una forbice tra le 30 e le 90 unità.
Nel caso invece sia corretto il tasso "cinese" del 2.6%, i decessi registrati sino a quel punto dell'evoluzione dell'epidemia salirebbero a circa 800 unità.

Tabella 1.2 popolazione delle regioni del Nord e delle loro città più popolose


Sembrano questi numeri consistenti, tali da provocare serie preoccupazioni per il futuro?

Proviamo a rintracciare le statistiche che registrano il numero totale di contagi e decessi relativi alle periodiche epidemie di virus influenzali, quelle che ogni anno colpiscono la penisola (le fonti dei dati utilizzati sono specificate in fondo a questo post).

In Italia l'influenza nell'ultimo decennio ha causato mediamente 8.000 decessi all'anno, confermandosi come la terza causa di morte per malattie infettive dopo tubercolosi e AIDS.

Dall'inizio dell'epidemia di coronavirus, il numero dei decessi dovuti a questa patologia IN TUTTO IL MONDO non raggiunge neppure la metà degli esiti letali dell'influenza comune nella sola Italia.
L'influenza 2018/2019 (non causata da Covid-19) ha contagiato ben 4.780.000 italiani, l'1,7% della popolazione: un "tasso di contagio" 10 volte maggiore di quello riscontrato sino ad oggi nella provincia di Hubei relativamente al coronavirus, pari allo 0,11% (abbiamo indicato in nota 1 come sia probabile che al termine dell'epidemia questo valore non raggiunga l'1%).
Risulta dunque molto più difficile contrarre il coronavirus rispetto all'influenza di stagione, persino in Cina nella provincia dove è esplosa l'epidemia e si è riscontrato il numero più elevato di contagi!

Ed il tasso di mortalità?

Abbiamo visto come l'influenza stagionale causi circa 8.000 decessi all'anno; per il periodo 2018/2019, dove sono stati rilevati 4.780.000 contagi, il tasso di mortalità è risultato pari allo 0.17%, un valore all'interno della forbice stimata dal dottor Maga relativamente al coronavirus.

In conclusione la nuova sindrome ha un tasso di mortalità non troppo diverso dalle epidemie che ogni anno sono causate dai virus influenzali, tuttavia dai dati sulla diffusione in Cina nella provincia dove si è sviluppato il primo focolaio sembra risulti più difficile da contrarre.


Allora perché l'improvvisa comparsa di questa isteria collettiva che ha contagiato gli italiani in massa, i nostri media ed i nostri politici, e di riflesso ha contagiato paesi stranieri nei quali gli italiani sono soliti viaggiare e che oggi si apprestano a prendere decisioni atte a limitare la mobilità dei nostri cittadini residenti in particolari regioni?

Ha davvero un significato bloccare un abitante di Ovada e lasciare in libera circolazione un abitante di Masone, due comuni che distano una manciata di chilometri pur appartenendo a regioni diverse, quando sappiamo benissimo che i virus non conoscono confini geografici?

La ragione che ritengo ne stia all'origine ancora una volta è legata all'incertezza ed all'incapacità da parte degli organi competenti di comunicare in modo corretto e comprensibile con i cittadini e con i media (loro naturale cassa di risonanza): un problema cioè di comunicazione.


L'evoluzione ha plasmato il nostro cervello affinché, di fronte a situazioni inedite per le quali non abbiamo precedente esperienza, si attivi in modalità "allerta, pronti ad agire": cosa che significa scappare qualora la novità si concretizzi in un pericolo per la nostra esistenza (l'apparire di un predatore, ad esempio), oppure attaccare ed uccidere qualora essa prenda le sembianze di una possibile preda.

Il virus, che viene percepito come un predatore subdolo, scatena una reazione del primo tipo: infatti negli ultimi giorni abitanti delle zone indicate come possibili aree colpite dall'epidemia si sono trasferiti con sollecitudine nella seconda casa al mare o in montagna. 
Se risulteranno infetti, contribuiranno così alla diffusione del virus in nuove aree, pur essendo stato il loro scopo soltanto il tentativo di sfuggire al contagio (ricordiamo il Decameron del Boccaccio: anche nel 1300 si cercava di sfuggire alla peste ritirandosi in piccole comunità in campagna).


Come disse Aristotele, l'uomo è un "animale sociale": così come il grido di una sola scimmia allerta il branco che si appresta a fuggire in gran fretta anche senza aver verificato l'effettiva presenza di un pericolo, le notizie veicolate da media e socials contribuiscono ad amplificare le reazioni irrazionali degli individui.


Cosa avrebbero dovuto fare (e non hanno fatto) i responsabili, o coloro che sono ritenuti tali dai noi cittadini italiani?

Sorprendentemente non c'è grande differenza nei risultati tra il comportamento - censurabile - dei notabili cinesi della provincia di Hubei (hanno cercato di nascondere le informazioni sulla reale dimensione dell'epidemia) e la cacofonia italiana prodotta da pareri discordanti di politici e media.
In entrambi i casi i cittadini si sono trovati di fronte a qualcosa di nuovo percepito come una minaccia reale alla propria vita, e la mancanza di chiarezza ed uniformità nella trasmissione delle informazioni ha fatto sorgere tra di loro il sospetto che "qualcosa sia stato taciuto", che l'informazione proveniente "dall'alto" fosse falsamente rassicurante.

Già ho accennato al vergognoso teatrino politico italiano: nei momenti di necessità, fa scuola il caso Moro, è indispensabile l'unità d'azione e d'intento della classe politica, che deve presentarsi con una volontà monolitica nei confronti del cittadino, così da rassicurarlo.

A tale incresciosa situazione si è aggiunto il caos nella comunicazione delle notizie da parte dei media: trovare sulla stessa pagina articoli con interviste a specialisti (virologi o funzionari di istituzioni preposte, con ampie competenze nel campo), mere opinioni di personaggi dello spettacolo, riflessioni di esperti in materie diverse dalla medicina, squallide dichiarazioni di capi partito, vigorose esortazioni ad attuare "i rimedi tradizionali" da parte della classica "casalinga di Voghera", il tutto con lo stesso grado di visibilità, non può che confondere le idee a chi ha comprato il giornale in una spasmodica ricerca di un'informazione attendibile.

Il lettore medio non ha capacità autonoma di procurarsi e comprendere correttamente le informazioni provenienti dalle fonti qualificate: per questo esistono i media, la cui funzione principale dovrebbe essere quella di porsi come garanti di una corretta informazione spiegata in un linguaggio semplice ed intellegibile da chiunque, indipendentemente dal livello di cultura posseduto.

Sembra purtroppo che da tempo i media tradizionali abbiano perso questa capacità: la crisi della carta stampata ne è la dimostrazione più evidente.

Poiché la domanda di informazione da parte dei cittadini è sempre presente, ecco che l'individuo si informa altrove, "là dove cantano le sirene con il tono e le parole a lui più comprensibili": cioè sui socials!


Compito dei media e delle persone di buona volontà credo consista oggi nel far sì che la qualità dell'informazione presente sui socials raggiunga almeno uno standard minimo: solo così saremo infatti in grado di combattere l'isteria, soprattutto quando e se si verificherà una vera emergenza - tipo la temuta mutazione nel virus H5N1 di cui ho già parlato nel post precedente - che non potrà esser affrontata e superata senza un grande senso di responsabilità da parte di tutta la nazione (e più in generale di tutte le comunità umane oggi legate più che mai le une alle altre).


Note:
(*) Nota 1
E' corretto sottolineare come il valore percentuale da me definito "tasso di contagio" (cioè "numero contagi / totale popolazione") sia destinato a crescere sino al termine dell'epidemia: ogni nuovo contagio infatti si aggiunge ai precedenti, mentre il valore "popolazione" resti nel frattempo costante.

Tuttavia il grafico inoltratomi dall'amica cinese (nel testo sotto la tabella 1.1) mostra come il numero giornaliero dei nuovi contagi sia in calo già dalla settimana precedente (avvenuto superamento del picco di contagi).
Possiamo pertanto lecitamente ipotizzare che il totale di coloro che saranno contagiati da oggi alla fine dell'epidemia risulterà inferiore al numero di contagiati fino ad oggi: lo 0.39% si gonfierà progressivamente senza mai arrivare a superare l'1% della popolazione.

(**) Nota 2Il tasso di letalità (cioè "numero di decessi / numero di contagi") a differenza del tasso di contagio non è destinato a crescere mano a mano che nuovi contagi vengono registrati.

(***) Nota 3
Il dottor Maga ha dichiarato "ritengo... il tasso di mortalità debba essere ridotto dal 2.6% ...". 

I dati ricavati dalle statistiche aggiornate ad oggi dalla fonte cinese relative alla città di Wuhan - 2043 morti su 10348 contagi in città - restituiscono una percentuale diversa, pari al 4,34%. 
Cause di questa differenza potrebbero esser cercate nel fatto che ho considerato i dati relativi all'intero periodo dalla comparsa del virus invece che di uno specifico intervallo temporale, oppure è probabile che i dati di Maga si riferiscano ad un'area geografica, sempre con centro l'agglomerato urbanistico di Wuhan, ma di ampiezza diversa.

(****) Nota 4: quando parlo di numero di contagi stimati per Milano o Nord Italia, mi riferisco allo stesso grado di diffusione dell'epidemia rilevato oggi 25 febbraio in Cina, cioè appena superato il numero massimo di contagi giornalieri.

Fig 1.0 Screenshots dei dati relativi all'epidemia di coronavirus 2019 ricavati da un portale cinese che viene aggiornato in tempo reale






Figura 1.1 Posizione città di Wuhan sulla mappa della Cina e della provincia di Hubei






Fonti consultate:

https://www.epicentro.iss.it/influenza/bilancio-2018_2019
https://lacnews24.it/salute/Influenza-decessi-da-malanno-stagionale-coronavirus_111201/

https://it.wikipedia.org/wiki/Hubei

https://it.wikipedia.org/wiki/Wuhan
https://it.wikipedia.org/wiki/Italia_settentrionale

https://davidemolinapersonale.blogspot.com/2020/02/lepidemia-di-coronavirus-ed-il-rischio.html


http://www3.weforum.org/docs/WEF_Global_Risk_Report_2020.pdf



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