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venerdì 3 luglio 2020

"Gli astronomi sono tutti bastardi sferici": Zwicky, il precursore della materia oscura.

Nella galleria degli astronomi che si sono avvicendati all'osservatorio di Mount Wilson gestito dal Caltech, tra ritratti con pose serie o solenni - come si addice a uomini di scienza - spicca la smorfia di Fritz Zwicky, uno scienziato di origine svizzera ed "eroe incompreso" della materia oscura.



Zwicky, un soggetto difficile, decise si farsi ritrarre nella classica posa con cui accoglieva le matricole al Caltech di Pasadena, dove lavorò dal 1925 sino al 1974, l'anno della sua morte:

   "e tu chi diavolo sei?" era il suo benvenuto al povero malcapitato.

Pare ammettesse al proprio corso di fisica soltanto chi si mostrasse "sufficientemente devoto alle sue idee".

Non meno famoso era il suo detto: "gli astronomi sono tutti bastardi sferici; sferici perché da qualunque parte li si guardi rimangono sempre dei bastardi".
I quali ricambiavano definendolo un "irritante buffone", "genio autoproclamato", e così via.

Rileggendo le sue pubblicazioni non è raro trovarvi violenti attacchi verbali contro colleghi rei di aver espresso idee contrarie alle sue.

Negli anni '30 del '900 coniò il termine "stella di neutroni" ad indicare il possibile destino degli astri con massa superiore ad una determinata soglia, un valore che al termine del ciclo vitale impediva loro di collassare in nane bianche (visibili al telescopio ottico).
Aveva inventato questo concetto per spiegare i fenomeni ad altissima energia osservati dagli astronomi, le supernovae ed i raggi cosmici, ma lo riteneva utile anche a superare il "paradosso dei buchi neri" che infastidiva astrofisici ed astronomi del tempo: l'ipotesi, in seguito ad un collasso di corpi stellari con massa elevata, della formazione spontanea di oggetti astronomici con densità sufficientemente elevata tale da esprimere una forza gravitazionale in grado di impedire persino alla luce di sfuggirvi.

"Stelle di neutroni come cadaveri stellari" fu un'altra delle sue espressioni colorite.

Obiettivamente portava poche prove a sostegno della propria tesi, decisamente insufficienti a convincere buona parte dei suoi colleghi.
Con una mossa non convenzionale oggi in voga - soprattutto tra i virologi in tempo di Covid - si propose come primo "scienziato mediatico": non trovando sponda nel mondo scientifico decise di partecipare ad un programma radiofonico per pubblicizzare le proprie idee tra i non specialisti.
Dopo di lui, presentare al pubblico proprie tesi rifiutate dalla comunità scientifica è diventato un comportamento che accomuna molti uomini di scienza che sperano così di sfruttare l'effetto "ipse dixit" nei confronti di chi manca di conoscenze base per confutarle.

Nel corso degli anni '30 ed i primi anni '40 costituì con Walter Baade (astronomo arrivato dalla Germania) un affiatato duetto: condividevano lo stesso retroterra culturale, lingua e cultura tedesca, e mostravano massimo reciproco rispetto l'uno per l'intelligenza dell'altro.  
Questo tuttavia non impedì a Zwicky, durante la seconda guerra mondiale, di accusare pubblicamente Baade di essere un nazista (non lo era!): conoscendo bene il caratteraccio del primo, Baade per un certo periodo temette addirittura di venir ucciso dal collega.

Lavorarono alla definizione delle supernovae, termine da loro coniato di comune accordo, per indicare intensi lampi di luce osservati dai telescopi: a quei tempi - erroneamente - si credeva fossero esplosioni stellari avvenute all'interno della nostra galassia, ma negli anni '50 lo stesso Baade contribuì a rivelare fossero relative ad oggetti di altre galassie, con una potenza estrema (10^10 la luminosità del nostro sole).  

Zwicky e Baade intuirono un valore abbastanza corretto della potenza emessa, ma sbagliarono affermando che questa venisse trasportata da raggi ultravioletti e raggi X (oggi sappiamo che quasi tutta l'energia emessa viene trasportata dai neutrini).

Secondo Zwicky l'origine dell'enorme energia delle supernovae doveva esser ricercata nelle stelle di neutroni: l'implosione di una stella massiccia avrebbe comportato la contrazione del nucleo e la trasformazione della materia in gas di neutroni.
Oltre alla circonferenza si sarebbe così ridotta anche la massa di un valore pari al 10% rispetto a quello iniziale: questo differenziale si sarebbe trasformato in energia esplosiva contribuendo a riscaldare enormemente anche gli strati esterni della stella fino a farli esplodere e scagliarli nello spazio.  L'esplosione sarebbe coincisa con uno di quei lampi di luce che erano stati osservati e che lui e Baade chiamarono "supernovae".

Ma veniamo all'argomento di questo post: la materia oscura.

L'astronomia - se escludiamo le recentissime tecniche di cattura dei neutrini e delle onde gravitazionali - si è sempre basata sulla raccolta e l'analisi della radiazione elettromagnetica: raggi gamma, raggi X, ultravioletti, luce visibile, infrarossa ed onde radio.
Già dai tempi di Galileo si sapeva tuttavia che "non tutto riluce": corpi freddi possono emettere pochissima radiazione, e di conseguenza - soprattutto se molto lontani - diventa impossibile rilevarne l'esistenza.
Quando Joseph Fraunhofer all'inizio dell'800 inventa lo spettrografo, improvvisamente un limite che pareva intrinseco alla natura umana - "non sapremo mai di cosa sia fatta una stella" - viene superato d'impeto.

L'analisi spettrografica, in certi casi, permette di confermare come la mancanza di luce possa significare la presenza di "materia oscura", quali polveri e gas che eclissano la visione di zone densamente popolate da stelle (spesso rilevabili come red shift relativi allo spettro degli astri retrostanti od dalla striatura dello stesso).

Verso la metà del secolo XIX Le Verrier ed Adams (indipendentemente l'uno dall'altro) intuirono il fatto che le masse perturbano i moti degli astri: fu così che venne identificato Nettuno, analizzando l'orbita di Urano.

Il termine "materia oscura" ha molti padri: dalla metà dell'800 in poi indicò un qualcosa dotato di massa sufficiente a perturbare i moti di astri e pianeti; fino a tempi relativamente recenti si pensò trattarsi di polveri, gas, pianeti oppure stelle in formazione.

Nel 1933, ed in seguito nel 1937, Zwicky pubblicò due articoli che segnano "il calcio di inizio" della partita relativa alla materia oscura, della quale ancora oggi si dibatte quale possa esserne la consistenza.
Analizzando i moti delle galassie notò come queste tendano a raccogliersi in ammassi, imprigionate dalla loro stessa gravità.
Ne concluse che le galassie, come i pianeti in orbita intorno ad una stella, si trovino a dover mantenere una determinata velocità per evitare sia di collassare tra di loro che di disperdersi nello spazio esterno.

Zwicky definì "teorema viriale" l'equilibrio tra massa e velocità che consente agli ammassi di rimanere stabili: stimando - con i mezzi ottici disponibili a quel tempo - quale fosse l'entità della massa relativa all'ammasso "Chioma di Berenice", concluse che il valore necessario a tenerlo insieme dovesse essere pari a 150 volte la massa degli oggetti visibili.

Anche questa volta molti "bastardi sferici" non lo presero sul serio.

Una delle critiche (corrette) sollevate in proposito alla sua ipotesi riguarda la presunta situazione di equilibrio in cui gli ammassi dovrebbero trovarsi, e della quale non c'è evidenza.

Per ottenere riscontri sarà necessario aspettare l'avvento dei radiotelescopi e l'individuazione della famosa "riga 21 cm".
Si tratta di una caratteristica dell'onda radio emessa da un atomo di idrogeno ogni volta che il suo elettrone inverte lo spin; situazione che capita una volta ogni dieci milioni di anni, ma dato il numero degli atomi di idrogeno in una galassia è un fenomeno frequente.
Le onde radio, a differenza della luce visibile, non vengono fermate da polveri o gas interstellari: in pochi anni vennero disegnate intere mappe celesti basate "sui 21 cm".

Analizzando i dati relativi ad altre galassie si scoprì in seguito che quelle a spirale - come la nostra via lattea - ruotano molto più velocemente di quanto previsto dalla legge di Keplero, dunque devono esser composte da una massa molto maggiore di quella visibile.

A questo punto Zwicky avrebbe potuto cantar vittoria ma ... guardate la sua foto: vi pare il tipo da accontentarsi?
Da vero bastian contrario qual'era sostenne - contro le sue stesse ipotesi - che una tal prova non era per nulla sufficiente a giustificare l'esistenza della materia oscura.

Solo nel corso degli anni '70 - quindi dopo la sua morte - Vera Rubin e Kent Ford effettuarono misure precise della velocità di rotazione della galassia "Andromeda" in punti a diversa distanza dal centro ("bulge") usando la tecnica del red shift.
Intuirono così che nelle galassie a spirale, in base alla rotazione osservata, per giustificarne la velocità fosse necessario stimare la presenza di una massa fino a 10 volte quella ricavabile dall'osservazione della radiazione elettromagnetica (nelle diverse lunghezze d'onda): tale massa doveva necessariamente esser distribuita su tutto il disco galattico, avvolgendolo in una probabile forma sferica.

Ancora una volta Zwicky aveva avuto un'intuizione corretta, anche se incapace di fornirne un adeguato supporto di prove empiriche.

"Mente sicuramente straordinaria, era tuttavia un poco ignorante in alcuni campi che invadeva d'impeto; privo di autocontrollo, talvolta si mostrava tozzo ed arrogante": è questa la sintesi della sua carriera che ne hanno fatto alcuni suoi allievi, diventati a loro volta astrofisici di razza.

Possiamo concludere affermando correttamente che Zwicky non conoscesse abbastanza bene le leggi della fisica per esser in grado di dimostrare la fondatezza delle proprie idee.

Oggi appare sorprendente che non si fosse accorto della connessione tra stelle di neutroni e buchi neri, cosa che avrebbe potuto intuire già nel 1933.


https://www.mtwilson.edu/mount-wilson-astronomers-2/

https://en.wikipedia.org/wiki/Fritz_Zwicky

Fonti:
Luca Amendola: l'altra faccia dell'universo (il mulino 2018)

Kip Thorne: buchi neri e salti temporali (castelvecchi 2013)

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