contatore visite

martedì 19 settembre 2023

Dove indirizzare la ricerca di vita al di fuori del sistema solare? Non solo esopianeti ma anche stelle nane brune e “verdi” potrebbero avere acqua liquida in superficie.

Ho già trattato in diversi post questo argomento, in genere sposando tesi che si allontanano dall’ortodossia “stella simile al nostro sole - pianeta roccioso dove possa trovarsi acqua allo stato liquido quale solvente universale” (1).

Vediamo qui invece il ragionamento che sta alla base della “ricerca ortodossa”, quella indicata nella risposta che Michel Mayor ha fornito alla mia domanda postagli in occasione dello scorso festival della scienza a Genova (link al video dove Mayor risponde alla mia domanda è rintracciabile nel mio post del 21 gennaio, vedi nota 1).

Non abbiamo ancora una risposta definitiva sull’abiogenesi terrestre, anche se abbiamo un’idea di come i precursori delle molecole biologiche (proteine e carboidrati) furono sintetizzati ed assemblati partendo da un punto comune.

Non sappiamo se una eventuale vita aliena si fondi sugli stessi mattoni costitutivi, tuttavia sappiamo che la vita terrestre dipende dal nostro Sole in maniera diretta o indiretta.

Ciò che sarebbe di estrema importanza conoscere è se il fenomeno “vita” sia deterministico (la vita appare ogni volta che in un ambiente sono presenti determinate caratteristiche) oppure se sia conseguenza di eventi casuali ed improbabili.

Ora attenzione ai due casi seguenti:

- se il Sole appartenesse ad un tipo di stelle comuni e la presenza di vita nei suoi dintorni fosse eccezionalmente rara, allora è assai probabile che l’esistenza di vita sul nostro pianeta sia risultato di pura casualità (vita come fenomeno rarissimo nell’universo).

- se invece il Sole risultasse una stella “atipica”, potrebbero esser le caratteristiche che lo rendono tale a rappresentare una condizione necessaria al sorgere della vita; dunque quest’ultima costituirebbe un fenomeno “meno casuale” e “meno unico” dell’opzione precedente.

Ne consegue in tal caso che la ricerca della vita aliena potrebbe basarsi non su scelte arbitrarie ma concentrando la ricerca su obiettivi quali stelle e pianeti dotati delle stesse caratteristiche del nostro Sole e del nostro pianeta.

Ebbene, il Sole è dotato di una massa superiore a quella del 95% delle stelle conosciute, dunque rappresenta un caso non comune.

La sua massa inoltre è pari a 330.000 volte quella della nostra Terra, un piccolo pianeta roccioso sulla cui superficie è presente acqua allo stato liquido, un “solvente universale” adatto a trasportare energia nelle cellule ed asportarne gli scarti, della quale nessun essere vivente sinora individuato può fare a meno.

Ecco dunque gli indizi principali su dove poter iniziare a cercare forme di vita nei dintorni del nostro pianeta, dato che le risorse destinate alla ricerca sono limitate.

È l’interno del cerchio di luce proiettato dal lampione, riferendoci alla famosa storiella del lampione dell’ubriaco e delle chiavi smarrite (che è anche il titolo di una recente pubblicazione del nostro Nobel Giorgio Parisi).

Nel 1952 Otto Struve aveva - inascoltato - suggerito un metodo per la ricerca di pianeti intorno ad altre stelle: osservando come le stelle binarie orbitano intorno al comune centro di massa (oscillazione) ne dedusse che eventuali giganti gassosi le cui orbite si sviluppino molto vicino alla propria stella (compiendo una rivoluzione in qualche giorno) producessero simili effetti, oltre a causarne una diminuzione di luminosità in occasione del loro transito davanti ad essa.

Il suo articolo una volta pubblicato non riscosse successo, ancora una volta a causa dei pregiudizi che non risparmiano neppure chi si occupi di scienza: poiché i giganti gassosi NEL NOSTRO SISTEMA SOLARE sono lontani dalla propria stella - pensavano gli astronomi del tempo - anche altrove sarebbe stato così.

Dopo 40 anni Michel Mayor e Didier Queloz individuarono, con una tecnica simile a quella proposta da Struve, il primo esopianeta di tipo gioviano (battezzato 51 Pegasi b) in orbita molto vicino alla propria stella, smentendo così l’opinione “ortodossa” che aveva causato un ritardo significativo nel progresso scientifico.

Non appena ci si accinse a guardare “fuori del cerchio di luce del lampione” le scoperte non tardarono, e investimenti quali il telescopio Kepler dedicato alla ricerca di esopianeti ci hanno portato a stimare che circa il 25% di tutte le stelle possa esser accompagnato da pianeti rocciosi con presenza di acqua liquida sulla propria superficie.

Stiamo di nuovo cadendo vittima di un pregiudizio, cercando intorno al lampione?

La mia personale opinione, per quanto possa valere, è che le cose stiano proprio in questi termini: ed oggi sono in molti a pensarla in questo modo, come ho già riportato nei post scritti in precedenza.

Proviamo tuttavia a prender per buona l’ipotesi ortodossa, la necessità di acqua allo stato liquido per lo sviluppo della vita.

Sono i pianeti rocciosi nella “fascia abitabile” della propria stella i migliori candidati ad ospitare forme di vita aliena basata su una chimica simile a quella terrestre?

Sorprendentemente la risposta (che troviamo in uno studio del 2019) è NO, ed il motivo è puramente statistico.

Avi Loeb e Manasvi Lingam (2) propongono come corpi celesti candidati ad ospitare la vita una tipologia di stelle: le nane brune.

“… nell’universo, la maggior parte dei luoghi in cui potrebbe esser presente la chimica della vita così come la conosciamo sono le atmosfere delle stelle nane brune.  

Ad oggi non abbiamo molte informazioni sulla loro composizione, tuttavia potrebbe esistere acqua liquida sulla superficie di minuscole particelle solide all’interno delle nuvole che vi si formano.

… le nane brune sono piccole stelle con massa inferiore al 7% di quella del nostro sole (tuttavia pari a 70 volte quella del pianeta Giove), insufficiente a sostenere le reazioni nucleari che “accendono” le altre stelle …”

“… non essendo in grado di bruciare il combustibile nucleare, perdono costantemente il calore accumulato in fase di formazione, e raffreddandosi raggiungono temperature simili a quelle dei pianeti in fascia abitabile …”

Lo stesso studio evidenzia come le nane brune del tipo più comune abbiano mantenuto temperature superficiali simile a quelle terrestri per un periodo di tempo molto più lungo di quello che è stato necessario alla vita per svilupparsi sul nostro pianeta, dopo che questo si è raffreddato. 

Tra l’altro, vi si sostiene ancora, “… il processo di emersione della vita potrebbe esser accelerato qualora l'atmosfera di una nana bruna venisse illuminata dalla luce ultravioletta di una stella compagna …”

Quale metodo allora utilizzare per identificare tra le numerosissime nane brune quelle che potrebbero ospitare la vita?

Gli autori suggeriscono di cercare le "nane verdi".

Si tratta di identificare cioè superfici verdi di oggetti la cui temperatura superficiale li classificherebbe come "marroni" se non fosse per l'esistenza della vita.

Caratteristica spettrale della vegetazione sulla Terra è un tipico "bordo rosso" che appare nella luce riflessa: spieghiamo di cosa si tratta.

Le piante usano la fotosintesi per elaborare i nutrienti; la loro chimica interna utilizza luce visibile e ultravioletta per rompere i legami chimici e così “digerire” le molecole essenziali, respingendo i fotoni infrarossi che non sono abbastanza energetici da essere utili in questo processo. 

Di conseguenza, la superficie della Terra ricoperta di vegetazione mostra un netto bordo spettrale nella luce riflessa in funzione della lunghezza d'onda: riflette la luce infrarossa, come se fosse uno scarto, ed assorbe la luce a lunghezze d'onda più corte.

L'atmosfera di una nana verde che ospiti la vita potrebbe rivelare all’osservatore questa caratteristica spettrale.

Una ricerca di segnali della presenza di vita aliena altrove nell’universo potrebbe dunque procedere partendo dalla ricerca di sistemi binari formati da una stella simile al nostro sole legata ad una nana bruna che vi orbiti intorno nella “zona abitabile”.

Dalle osservazioni sin qui condotte sappiamo che circa la metà di tutte le stelle conosciute possiede una compagna, e circa un decimo di queste compagne sono nane brune all’interno della zona abitabile della compagna maggiore.

Solo nella nostra galassia si stima ci siano miliardi di sistemi binari che soddisfino tale condizione.

Bisognerebbe dunque concentrare le ricerche su queste coppie di stelle cercando un bordo rosso nello spettro della compagna più piccola: operazione che non dovrebbe presentare grandi difficoltà in quanto le nane brune sono molto 

più grandi dei pianeti rocciosi e riflettono mille volte di più la luce della propria stella.

Loeb e Lingam concludono lo studio evidenziando che, qualora si riescano ad identificare tracce che facciano pensare alla presenza di forme di vita in ambienti diversi dalle superfici dei pianeti rocciosi simili alla Terra, potremmo comprendere se esista o meno un solo percorso chimico che conduce alla vita.

La scoperta dell’esistenza di una chimica diversa alla base della vita aliena motiverebbe coloro che già oggi sono impegnati nelle ricerche di xenobiologia a produrre ulteriori varianti di vita sintetica in laboratorio, con potenziali benefici importanti per la medicina. 

AGGIORNAMENTO.

Dopo aver pubblicato questo post mi è stato chiesto se fossero già state individuate stelle nane verdi.

E' opportuno sottolineare ancora una volta che con "nane verdi" si intendono non astri che ci appaiono di questo colore, ma nane brune dotate di particolari caratteristiche.

Al fine di fornire informazioni aggiornate ho scritto una email ad Avi Loeb, uno dei due ricercatori che hanno ipotizzato la loro esistenza, chiedendogli se fossero già disponibili dati preliminari che possano far pensare alla presenza di nane verdi, o se siano in corso campagne di osservazione per identificarle.

Dopo qualche minuto ho ricevuto la sua risposta per email: 

“ad oggi nessuna nana verde è stata ancora identificata”

accompagnata dal pdf relativo all’articolo "Brown Dwarf Atmospheres as the Potentially Most Detectable and Abundant Sites for Life" pubblicato su "The Astrophysical Journal" il primo di ottobre 2019.

Al momento, mi informa Loeb, non esiste un programma di ricerca specifico mirato su un tale obiettivo; tuttavia i dati raccolti dalla nuova generazione di telescopi (quali JWST) nelle frequenze interessanti vengono setacciati dai teams che collaborano con gli autori alla ricerca di indizi.

Qualora in futuro emerga un indizio significativo della loro esistenza la comunità scientifica ha dato disponibilità a ricalibrare le priorità nell’uso dei propri strumenti.





Note:

(1) vedi i precedenti post qui pubblicati:

23/9/22 Parrocchiale ed Universale: dove potrebbe nascondersi alle nostre ricerche una vita aliena e perché siamo ancora troppo condizionati dal pregiudizio antropico negli attuali progetti in atto.

21/1/23 La vita al di fuori della Terra: cosa cercare e dove? I limiti della definizione di "fascia abitabile" e l'ipotesi "superterre e tettonica a zolle".

27/5/23 LAWDKI, la ricerca di forme di vita aliena condotta adottando un nuovo paradigma: il finanziamento da parte della NASA all'iniziativa LAB.

(2) Gli studi di Loeb e Lingam sono rintracciabili sulla piattaforma ArXiv ed una loro sintesi è consultabile nell’articolo “In search of green dwarfs, a new idea in the quest to find life beyond Earth” di Abraham Loeb, 3 giugno 2019, Scientific American.









Nessun commento:

Posta un commento

Elenco posts

 Elenco dei miei posts scritti nel periodo dal 28/3/18 all'11/04/24:                                                    ( su FB ) - vide...