contatore visite

mercoledì 6 marzo 2019

Libero arbitrio e libera volontà: i limiti fisiologici alla libertà individuale.

La libertà è il punto forte delle nostre democrazie liberali: noi tutti cittadini di paesi democratici occidentali ci sentiamo tutelati dalle leggi e dagli ordinamenti dei nostri Stati per quanto concerne i diritti fondamentali della persona, ed in particolare la libertà di perseguire la nostra felicità.
Libertà di parola, di opinione, di voto, di scelta politica o religiosa.
Persino la dottrina cattolica, quando si parla di libero arbitrio (siamo liberi di decidere se compiere o meno un'azione), ci riconosce una libertà fondamentale che si accompagna alla responsabilità personale delle nostre azioni.
Ma siamo davvero liberi (e dunque responsabili) quando agiamo?

Yuval Noah Harari sostiene che con “libera volontà” si debba intendere la "libertà di fare ciò che desideriamo", non la "libertà di scegliere ciò che desideriamo": quest’ultima infatti dipenderebbe esclusivamente dal risultato degli scambi di segnali biochimici tra i neuroni del nostro cervello.
Nel capitolo conclusivo del suo ultimo libro "21 lezioni per il XXI secolo" Harari afferma che le scelte dell’uomo risultano dettate da algoritmi biochimici spietati.
L'esempio che richiama è quello di una persona omosessuale, attratta cioè da persone del suo stesso sesso: può esser libera di realizzare le proprie fantasie ma non è libera di provare attrazione per persone di sesso diverso.
Quindi ne deduce che noi "sapiens" non siamo  - quanto meno per ora  - in grado di controllare il processo di formazione dei nostri desideri, dunque non completamente liberi in senso lato.
I sensi di colpa provocati dal condizionamento sociale o l’adozione di codici etici possono contribuire ad inibire l’azione che procede da un desiderio, ma non possono cancellarlo dal nostro cervello.

Negli anni ‘60 Benjamin Libet ha condotto ricerche sulla coscienza che hanno prodotto risultati ancor oggi controversi, e che parrebbero smentire l’esistenza del cosiddetto libero arbitrio per gli esseri umani.
Nel misurare il tempo intercorrente tra l'esecuzione d'un atto ed il rendersi conto di farlo, Libet ha scoperto che le aree del cervello preposte al movimento si attivano 0,5 secondi prima che l’ordine cosciente sia impartito.
Questo significa che nel nostro cervello avviene un processo ancora sconosciuto che comporta due conseguenze:
1) la percezione conscia del nostro credere di ordinare un’azione: quasi una giustificazione alla stessa che costruiremmo ex post.
2) l'esecuzione inconscia dell’azione stessa: niente "autorizzazione preventiva" da parte della nostra coscienza come invece siamo convinti accada.

Successivi studi ed esperimenti hanno quantificato la parte cosciente del nostro sistema nervoso: uno su cento miliardi!
Noi tutti dunque sopravvalutiamo l’importanza della nostra coscienza semplicemente perché non percepiamo tutto ciò che facciamo inconsciamente.
In realtà la nostra coscienza sembrerebbe intervenire solo per “effettuare piccole correzioni”, quando davvero indispensabili, all’attività inconscia che guida il nostro comportamento.
Erwin Schrödinger nel suo testo “Mente e materia” (del 1958) sosteneva che l’esistenza della coscienza è prova indiretta del fatto che l’evoluzione umana non è terminata: non ci siamo ancora del tutto adattati alla vita che dovremmo fare.
Noi uomini, diceva, abbiamo bisogno di queste piccole correzioni, mentre animali e vegetali sanno come comportarsi, quindi a loro la coscienza non serve (basta l'istinto)

Piergiorgio Odifreddi, con una sua tipica “freddura” nei confronti delle varie religioni, nota che in generale nelle diverse tradizioni i “comandamenti” raccolgono in prevalenza precetti negativi più che positivi, espressioni come “non fare”, “non desiderare”.
Sembrano cioè voler frenare un’azione che consegue ad un desiderio, ad una pulsione, piuttosto che prevenirla.

Le scoperte scientifiche dei prossimi anni potrebbero condurci a decifrare gli algoritmi biochimici che stanno alle origini dei nostri desideri, permettendoci così di intervenire sul processo di formazione degli stessi e controllarne così i risultati: in una parola di hackerare il nostro cervello.
Tornando all'esempio di Yuval Harari, potrebbero darci la libertà di scegliere ciò che desideriamo.
Una narrazione, un’ideologia, un condizionamento agiscono su leve che reprimono un desiderio:
"vorrei aiutare il mio vicino ebreo ma il trionfo dello stato nazista è più importante";
"vorrei accogliere un migrante ma farei un torto ai lavoratori italiani che si troverebbero un concorrente con poche pretese sul mercato del lavoro";
"vorrei mantenere gli stessi atteggiamenti fraterni con un amico che mi ha sorpreso facendo outing omosessuale, ma così facendo metto a rischio i rapporti con gli altri amici che mi guarderebbero con sospetto".

Un know-how che permetta invece di modificare un algoritmo biochimico potrebbe agire stimolando desideri ad hoc.
In attesa di un progresso scientifico che permetta di raggiungere un tale traguardo, possiamo notare che già oggi il neuromarketing cerca di mettere a disposizione strumenti per generare bisogni artificiali o comunque di veicolare scelte in maniera inconscia.

Resta ancora un importante argomento da affrontare.
Se pure non siamo in grado di controllare il processo di formazione dei nostri desideri, e se l’attività cosciente dell’essere umano si limita a “piccoli aggiustamenti” del nostro agire inconscio, questo non vuol dire che la società debba rinunciare a scrivere regole per controllare pulsioni violente o contrarie al “senso comune” da parte dell’individuo.
Una libertà assoluta per l'individuo di agire "perseguendo i propri desideri" può minare la stabilità della società stessa, e quindi costituire un pericolo per i suoi componenti.
Cosa dire delle aspirazioni di un pedofilo, di un serial killer, di un cleptomane, di un violentatore: la "libertà di fare ciò che desideriamo" trova un limite nei desideri che, con gli occhiali del nostro tempo e luogo, giudichiamo "illeciti" alla luce delle regole che la nostra società si è imposta.

E' bene notare che tali regole variano nel tempo e non hanno assolutamente carattere universale.
L’omosessualità è oggi “sdoganata”, ma solo in occidente  e da pochi decenni fa: vale forse la pena di ricordare il calvario di Alan Turing e degli omosessuali inglesi che sino agli anni '60 del secolo scorso erano costretti dai tribunali a farsi "curare".
Nell'età classica non era invece considerata un comportamento deviante: un capofamiglia poteva abusare dei suoi schiavi, di qualunque sesso essi fossero, senza destare scandalo.
La pedofilia, oggi argomento di attualità con l'emergere dei casi di abuso da parte del clero cattolico - un fenomeno che pare essersi manifestato ad ogni latitudine  -, era accettata e praticata nell’antica Grecia.
L’omicidio è ovunque condannato, a meno che non sia autorizzato da uno Stato sottoforma di pena capitale o come sottoprodotto dell’uso della violenza da parte delle forze dell’ordine, od infine praticato da soldati in teatri di guerra.
L’uso di psicofarmaci e sostanze psicotrope è consentito, addirittura favorito, solo quando rafforzano stabilità politica, ordine sociale e crescita economica.
Un esempio è l'incredibile aumento negli ultimi anni delle prescrizioni di Ritalin, un medicinale in origine somministrato ai bambini iperattivi, oggi normalmente usato per migliorare le prestazioni scolastiche.
Narcotici ed antidepressivi sono distribuiti ai nostri soldati impegnati in teatri bellici.
In particolare farmaci come il Prozac sono sempre più utilizzati come rimedio all’ansia da prestazioni che colpisce gran parte dei componenti delle società più evolute e competitive.

Con questi presupposti non è difficile immaginare che una futura tecnologia in grado di originare o modificare i nostri desideri sarà prima o poi utilizzata anche da società evolute come la nostra, costituendo di fatto una forzatura a quella che crediamo essere la libertà che ci spetta in quanto esseri umani.
Finiremo pertanto a desiderare solo ciò che qualcun altro stabilirà sia lecito desiderare: è questo il futuro dell'evoluzione dell'homo sapiens cui pensava Schrödinger?

Vedi anche :
libero arbitrio: cosa dicono le neuroscienze




3 commenti:

  1. I suppose that we still have to decide the destiny of the cat.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. The cat is dead: after almost a century since the Shroeder “cat in a box” experiment no feline survived ��

      Elimina
  2. adesso il gatto è diventato IBM:
    https://www.lastampa.it/2019/03/06/scienza/ibm-il-computer-quantistico-pi-potente-di-sempre-CpR48VZKHBzac4FPLULEpI/premium.html

    RispondiElimina

Elenco posts

 Elenco dei miei posts scritti nel periodo dal 28/3/18 all'11/04/24:                                                    ( su FB ) - vide...