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lunedì 29 maggio 2023

LAWDKI, la ricerca di forme di vita aliena condotta adottando un nuovo paradigma: il finanziamento da parte della NASA all'iniziativa LAB.


"The Search for Extraterrestrial Life as We Don’t Know It" è un interessante articolo presente sul numero di febbraio di "Scientific American"; tradotto in italiano è apparso su "Le Scienze" del mese di aprile 2023.
Le informazioni ivi contenute completano quanto avevo scritto nel post di gennaio "La vita al di fuori della Terra: cosa cercare e dove?...", laddove indicavo l'urgente necessità di ampliare la definizione di "vita", utilizzando ad esempio quella proposta da Max Tegmark e ripresa da Stephen Webb:

"vita come fenomeno complesso"

Ma cosa significa "fenomeno complesso"?
Come fare ad accorgersi qualora ci si trovi di fronte ad un fenomeno complesso nel corso dell'esplorazione spaziale di un pianeta, di una luna o di un corpo minore?
E' possibile ricavare "indicatori di complessità" che possano tornar utili al fine che ci siamo preposti?

L'unico tipo di vita che conosciamo è quello presente sul nostro pianeta, e tutte le ricerche di forme di vita aliena finora condotte (tramite sonde automatiche o osservazioni della composizione delle atmosfere degli esopianeti) sono state organizzate in base all'ipotesi che la vita, ovunque essa si sia sviluppata, debba assomigliare nelle caratteristiche principali a quella terrestre.

Da qualche anno tuttavia ci si è resi conto che le cose potrebbero non stare in questi termini, e che si sia reso necessario un completo ripensamento delle strategie utilizzate nella ricerca.

Il titolo inglese dell'articolo richiama un acronimo creato di recente e parecchio utilizzato tra gli addetti ai lavori: LAWDKI, che sta per "Life As We Don’t Know It", è il refrain con il quale una parte crescente degli astrobiologi vorrebbe convincere la comunità scientifica che la ricerca di forme di vita aliena basata sull'identificazione di marcatori "tarati" su quella terrestre comporterebbe un grave errore.

Di recente la NASA ha infatti finanziato un'iniziativa denominata "LAB", "Laboratory for Agnostic Biosignatures", che, seguendo strade diverse, è alla ricerca nuovi marcatori in grado di superare il problema evidenziato.

L'idea comune a tutti i gruppi d'indagine che ne fanno parte è quella di (temporaneamente) accantonare i dati raccolti tramite le ricerche sinora condotte con metodi tradizionali (1), ed invece mirare ad individuare biosignatures più "fondamentali", quali ad esempio tracce di complessità (molecole disposte in modi complicati che quasi sicuramente potrebbero esser conseguenza di un intervento "biologico"), oppure tracce di squilibri (concentrazioni inaspettate di molecole rispetto all'ambiente in cui sono state rinvenute).

La definizione classica di vita adottata dalla NASA è "sistema chimico autosostentante capace di evoluzione darwiniana", e sottinteso di tale definizione è che qualsiasi forma di vita necessiti di un mezzo per tramandare le istruzioni biologiche, le cui variazioni casuali contribuiscono a creare nuove forme che meglio si adattino all'ambiente (evoluzione delle specie nel tempo).

Nel mio post citato in precedenza avevo accennato alla possibile esistenza di forme alternative (e più "performanti") rispetto al DNA - RNA, che sono in fondo nastri "piatti" la cui capacità di contenere informazioni è inferiore rispetto a strutture 3D quali ad esempio gli SNA, acidi nucleici sferici (2).
Avevo pure indicato che strutture simili al DNA possano esser assemblate a partire da basi diverse od in numero maggiore (3)

Nel 2020 Stuart J. Bartlett - ricercatore del Caltech, Division of Geological and Planetary Sciences - propose l'utilizzo del termine "lyfe" in alternativa a "life".
Con LYFE verrebbe definito "un qualsiasi sistema che soddisfi tutti e quattro i processi dello stato vivente", e cioè:

- dissipare energia,
- sfruttare reazioni chimiche autosufficienti per far di sé copie a ritmo esponenziale,
- mantenere le condizioni interne al mutare di quelle esterne
- acquisire in qualche modo informazioni sull'ambiente esterno, poi utilizzate per sopravvivere.



La vita (life) non sarebbe per Bartlett che una istanza specifica per il nostro pianeta della "lyfe".

Vediamo ora le diverse strade che vengono seguite dai gruppi di ricercatori del LAB per individuare nuove proprietà in grado di svelarci la presenza di "vita" su altri pianeti.


Strada n. 1. La ricerca di strutture ordinate la cui formazione non sia spiegabile con gli attuali modelli geochimici.

Nel 2016 Sarah Stewart Johnson, insieme ad alcuni colleghi, propose alla NASA un progetto per lo sviluppo di uno strumento, da utilizzare in ambienti alieni, finalizzato a trovare e misurare molecole le cui forme si incastrino fisicamente, una tipica caratteristica delle cellule viventi.
Da tale proposta - rifiutata - è scaturito un indirizzo di ricerca che mira a scoprire fattori quali la complessità di una superficie, le concentrazioni anomale di elementi ed il trasferimento di energia (ad esempio il movimento degli elettroni tra gli atomi).

Suo progetto di prossima realizzazione - che si muove in tale direzione - consta nell'accedere ad un ambiente residuo di un periodo remoto del nostro pianeta.
Una miniera canadese molto profonda attraversa una zona dove 2.7 miliardi di anni fa esisteva un fondo oceanico sul quale un'intensa attività vulcanica ha causato la produzione di minerali a base di solfuri.

I modelli geochimici che la nostra scienza padroneggia dovrebbero esser in grado di prevedere i tipi di cristallo (strutture ordinate di atomi) che possono essersi formati in quell'ambiente.
Prendendo in esame tutte le strutture ordinate trovate durante l'esplorazione della miniera, e scartando quelle previste dai modelli, dovremmo poter affermare con ragionevole probabilità di non sbagliarci che le rimanenti siano indizi di "un qualcosa di vivo" formatosi secondo forze e regole diverse da quelle considerate.

Tale metodo potrebbe esser ottimale per l'esplorazione di ambienti alieni in quanto permette la selezione dei soli campioni più interessanti.


Strada n.2 
Presenza di vita rivelata dal numero di punti su una superficie in cui possano unirsi altre molecole.

Altra proposta è quella di studiare il numero dei punti sulla superficie di una cellula in cui possano attaccarsi le molecole: l'ipotesi soggiacente è che, su qualcosa di complicato come una cellula, siano presenti più siti di legame rispetto a quelli che troveremmo su particelle inanimate.

Il gruppo della Johnson procede generando gruppi casuali di frammenti di DNA ed inviandoli verso una cellula.
Tale operazione viene ripetuta utilizzando i frammenti che non si sono subito attaccati alla cellula bersaglio:
Iterando la procedura parecchie volte, alla fine si misura la percentuale dei frammenti rimasti liberi rispetto al numero iniziale: si procede poi al confronto con il risultato ottenuto seguendo la stessa procedura ma con bersaglio una particella di polvere.



Strada n.3 Il confronto con l'ambiente.

Peter Girguis afferma che "le forme di vita utilizzino energia per tenersi separate dal proprio ambiente, definendo così i nostri confini".
Quando una forma di vita "muore", perde questo confine e raggiunge un equilibrio con l'ambiente.
Lo squilibrio della vita si manifesterebbe come "una differenza chimica tra l'organismo e l'ambiente che lo circonda".



Strada n.4 Il frazionamento chimico.

Christopher House parte invece dal presupposto che la vita usi di preferenza alcuni isotopi e ne ignori altri (frazionamento chimico).
Usando i dati resi disponibili dagli strumenti che rilevano la composizione dei corpi celesti, qualora arrivassimo a comprendere le regole fondamentali dell'inclusione o esclusione di elementi ed isotopi, potremmo immaginare nuovi ecosistemi che seguono regole simili pur con utilizzo di elementi o isotopi diversi.
Un punto di partenza, offerto a chi studia la mancanza di equilibrio, per identificare tipi di strutture su cui concentrarsi quando producono mappe punteggiate.
Analizzando i sedimenti lasciati da antichi organismi i ricercatori del gruppo di House sono alla ricerca di strutture che mostrino su quali elementi o isotopi si concentravano le prime forme di viita terrestre, così da poter poi generalizzare.


Strada n.5 Le leggi di scala

Chris Kempes affronta i problemi legati alla generalizzazione concentrandosi sulle "leggi di scala": la considerazione che i fenomeni chimici all'interno di una cellula variano in modo prevedibile in funzione delle sue dimensioni, e la proporzione di cellule di dimensioni diverse segue un andamento specifico.
Applicando ai batteri queste leggi di scala, Kempes trova che riordinando un campione di materiale biologico in base alle dimensioni dei componenti emergono differenze quali ad esempio il fatto che più le cellule sono piccole, più assomigliano al loro ambiente (e viceversa quelle più grandi se ne differenziano).

La numerosità in un campione delle cellule di diversa dimensione decresce rapidamente al crescere delle dimensioni (legge di potenza).
L'ipotesi proposta da Kempes è che trovandoci di fronte ad un campione di materiale alieno, qualora rinvenissimo le stesse proporzioni matematiche (moltissime "cose" piccole che assomigliano all'ambiente circostante ed una rapida diminuzione del numero di cose più grandi che gli assomigliano sempre meno), questo potrebbe esser un indizio dell'esistenza di un sistema biologico, pur senza sapere che aspetto hanno dal punto di vista chimico sia l'ambiente che la biologia.



Strada n.6
 La teoria dell'assemblaggio.

Cronin invece si rifa a Sutherland ("la vita deriva dalla complessificazione della materia") e, partendo dall'ipotesi che più una molecola sia complessa più è facile che derivi da un processo vivente, ha elaborato la "teoria dell'assemblaggio": un modo per identificare se qualcosa sia complesso senza saper nulla della sua origine.

Tale teoria consente di quantificare la complessità di una molecola in base al "numero di assemblaggio molecolare", un numero intero che indica quanti elementi costitutivi è necessario si leghino insieme ed in quali quantità per formare una molecola: ad un numero maggiore corrisponde una molecola più complicata su uno spettrometro di massa.

Utilizzando lo spettrometro di massa una molecola complessa mostrerebbe picchi di energia più distinti (anche perché composta da molti legami), e tali picchi rappresentano un identificatore approssimativo del suo numero di assemblaggio.

Quindi pur senza sapere di che molecola si tratti, se l'indicatore supera una certa soglia è probabile che essa abbia un'origine biologica.

L'esame di parecchi campioni forniti dalla NASA e sottoposti all'analisi in doppio cieco ha dato risultati molto promettenti.




Scopo che si è dato il LAB è lo sviluppo di strumenti che aiutino i veicoli spaziali ad individuare forme di vita "bizzarre" all'interno del sistema solare, l'unico settore dello spazio dove l'attuale tecnologia ci consente di inviare sonde automatiche.
Da quanto fin qui esposto risulta chiaro che i dati raccolti da un solo strumento, qualora trovino qualcosa di "interessante", non ci permettono di affermare con sicurezza di aver individuato la presenza di vita aliena; quindi l'obiettivo comune a tutti i gruppi è progettare un apparato che permetta di integrare i diversi dispositivi che verranno messi a punto ed assicurare che possano lavorare congiuntamente.

Ad esempio un apparato in grado di identificare molecole con elevato numero di assemblaggio, concentrate in aree delimitate e dotate di aspetto diverso rispetto all'ambiente in cui si trovano.

Per finire è opportuno sottolineare ancora una volta che i risultati infine forniti avranno comunque un carattere probabilistico: nonostante il nuovo approccio non disponiamo ancora di sufficienti conoscenze scientifiche che ci permettano di progettare un biomarcatore in grado di darci una risposta definitiva.





Note:

(1) Basate cioè sull'ipotesi che una vita aliena debba aver seguito per forza un processo evolutivo simile a quello occorso sul nostro pianeta, dunque esser dotata di meccanismi simili al DNA-RNA in modo che le cellule ricevano le istruzioni per replicarsi.

(2) Gli SNA sono nanostrutture costituite da una disposizione densamente compatta ed altamente orientata di acidi nucleici lineari in una geometria sferica tridimensionale.
Questa nuova architettura tridimensionale è responsabile di molte delle nuove proprietà chimiche, biologiche e fisiche dell'SNA che lo rendono utile nella biomedicina e nella sintesi dei materiali.
Gli SNA sono stati introdotti per la prima volta nel 1996 dal gruppo di Chad Mirkin alla Northwestern University .

(3) Trattando di XNA e di vita sintetica.

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