contatore visite

mercoledì 28 marzo 2018

La verità? Facebook non ruba i dati, anzi: ne inventa di nuovi. E con il nostro consenso.

Condivido con voi questo interessante articolo che ho appena letto sul blog "Lidi matematici": è tutt'altro che banale e scontato.

Siamo stati tutti derubati ed ingannati da Facebook, Google, Microsoft?
E' giusta una condanna totale nei loro confronti?
Sicuramente è mancata trasparenza, non siamo stati correttamente informati di ciò che veniva fatto con i nostri dati che carichiamo ogni giorno sulle piattaforme e sui social

Ma si è trattato di una semplice "rapina" o Facebook & c. hanno utilizzato dati grezzi per ricavare nuova informazione? 
Hanno cioè rubato e rivenduto "mattoni" oppure li hanno usati per "costruire edifici"?
Questi "edifici" realizzati con "materiale rubato" non è che torneranno utili a chi possedeva solo "mattoni" senza la possibilità di valorizzarli in costruzioni?

I "big data" che abbiamo contribuito a creare senza contropartita economica, integrati con le IA di ultima generazione ci aiutano in mille campi (dal navigatore alla diagnostica di tumori che oggi una IA quale Watson esegue meglio di qualsiasi medico).

Che valore diamo a tutti i servizi "gratuiti" che ricaviamo dal Web e dai social? Ed ai nostri dati che abbiamo regalato?

Non è certo semplice rispondere al quesito.

La "Sharing economy" che oggi si stà diffondendo e che è antitetica rispetto al concetto del capitalismo classico, che peso avrà tra qualche anno? Avrà ancora senso il concetto di proprietà?
Dovremo imparare a vedere le cose sotto un'altra ottica (e impegnarci molto)!



Dal blog "LidiMatematici":

La verità? Facebook non ruba i dati, anzi: ne inventa di nuovi. E con il nostro consenso.

Ad una settimana dal clamore del presunto “furto di dati” da parte di Facebook, vale la pena soffermarsi con attenzione su quanto accaduto. I fatti li conoscete già: la società Cambridge Analytica, fondata dal miliardario Robert Mercer, con forti agganci con la destra ultraconservatrice americana a supporto di Donald Trump, ha realizzato una App che, connettendosi con il profilo Facebook, ha registrato i dati personali contenuti nella piattaforma social. E poi li ha usati per azioni di marketing politico mirato.
E’ una storia esemplare per certo un numero di motivi: le diverse sfaccettature che presenta, ed i punti di vista da cui può essere analizzata, meritano riflessione.
La prima cosa che colpisce è l’importanza e la pervasività dei social network. Dall’avvento dei social in generale e di Facebook in particolare, siamo tutti interconnessi. Ricordate la storia dei sei gradi di separazione, ovvero che bastano sei collegamenti successivi per connettere una qualsiasi cosa, persona o concetto ad un altra? Ecco, per le persone connesse mediante Facebook, secondo uno studio autonomo del 2011 ad opera di un gruppo di studenti dell’Università di Milano, il grado di profondità medio è sceso a 4,7. Per la precisione, con soli quattro collegamenti si può raggiungere il 92% degli utenti di Facebook, a partire da uno qualsiasi di loro.
La vicenda Cambridge Analytica è emblematica: da circa 257 mila download di applicazione a 50 milioni di nominativi e dati personali, ottenuti connettendo gli “amici degil amici”.
Il secondo aspetto è normativo: chiaramente le persone che hanno installato l’App di Cambridge Analytica, un quiz apparentemente innocuo, non avevano consapevolezza dell’importanza dei dati personali per chi li stava acquisendo e di quale utilizzo potessero in realtà avere. La vicenda sfrutta una falla normativa, appunto, che fino al 2014 consentiva la raccolta di dati personali, rete di amicizie compresa, e la loro comunicazione a terzi, a fini diversi da quelli strettamente connessi con l’erogazione del servizio. Non è quindi vero che i dati siano stati rubati, al contrario sono stati raccolti in modo del tutto lecito e, ancor peggio, con il beneplacito di chi li ha forniti, ovvero dell’utente finale.
C’è un’altro lato della medaglia normativa che merita attenzione: la raccolta di dati è stata possibile grazie al fatto che Facebook si è posto come garante dell’identità dell’utente. Quante volte, per semplicità, scegliamo l’opzione “autenticati con Facebook”, al posto di creare un nuovo user name. Così facendo Facebook si pone tra noi e il fornitore del servizio come garante della nostra identità. Una facoltà che, fino a pochi anni fa, era esclusivo appannaggio degli stati sovrani, gli unici autorizzati a rilasciare i documenti di identità.
E qui veniamo al terzo aspetto: quello culturale. Che ci piaccia o no, la partita dell’era dell’informazione è estremamente complessa e si gioca tra tre grandi capisaldi: quello della competenza, della conoscenza e della consapevolezza.
Noi tutti siamo talmente avvezzi alla tecnologia da essere convinti che la nostra capacità di usarla, il nostro grado di competenza, sia sufficiente a garantirci di saperla usare bene. Eppure pochi di noi sanno cosa c’è “sotto al cofano” veramente, cioè hanno conoscenza anche solo superficiale della tecnologia dell’informazione. Quanti di noi sanno come funzionano le reti di computer? E il Cloud? E “the Internet of Things”? Quanti di noi sanno cosa è un Firewall? O la teoria matematica dietro alla correzione di errore? O in che formato vengono registrati i dati?
Ancora: quanti di noi sono consapevoli dell’impatto sociale che hanno le nuove tecnologie? Si potrebbe continuare per ore a far domande. E’ stato uno shock apprendere che, in alcuni casi, le tecnologie danno dipendenza, o che si può soffrire di bullismo da internet. Il caso di Martina dell’Ombra/Federica Cacciola è stato emblematico: è possibile fabbricare una identità digitale e costruirci sopra un caso di successo, fidando proprio sui meccanismi esterni agli stati sovrani, in grado di sancire l’esistenza della identità digitale che abbiamo inventato.
E’ innegabile che se avessimo avuto conoscenza e consapevolezza, oltre che competenza, lo scandalo Facebook dei “dati rubati” (che rubati non sono) non sarebbe mai accaduto. Così, mentre da un lato abbiamo gli uomini, convinti che il proprio “essere utenti” nell’era dell’informazione li renda liberi di essere e di esprimersi, dall’altro abbiamo il quarto fattore: quello delle macchine, e delle intelligenze artificiali.
Eh sì, perché mentre da un lato internet rende gli umani dipendenti dall’informazione, e spesso anche ottusi da questa, dall’altro le macchine sono in grado di produrre conoscenza proprio dalla stessa informazione. Basta un giro in metropolitana per rendersi conto dell’effetto perverso della disponibilità del dato sulla psiche umana: eserciti di “scorritori di bacheche” professionisti, che anziché usare il web per arricchire il proprio bagaglio culturale, se ne drogano – letteralmente – restando così per ore a spulciare tra profili con messaggi insulsi e improbabili giochini in cui bisogna inanellare perline, parole o caramelle che siano.
Ed è in questa piega che il nuovo soggetto pensante del terzo millennio sta prendendo forma: la macchina. Con gli algoritmi di Machine Learning, Predictive Analytics, Cognitive Computing le macchine sono in grado di costruire informazione dall’informazione. Proprio in questo recesso Cambridge Analytica ha costruito il proprio successo: sul dato creato dal dato stesso e sulla informazione che rappresenta.
Da esperto del settore, devo dire che quanto accaduto è veramente preoccupante. Cosa farei io con i dati di 50 milioni di utenti? Solo come antipasto: con una Cluster Analysis troverei omogeneità comportamentali, di orientamento politico e commerciale. Con la Sentiment Analysis caratterizzerei il linguaggio delle persone, per intercettarne l’umore e indirizzare i messaggi politici e commerciali proprio verso la popolazione più debole.
Ed è proprio questo che è successo con l’”affaire Facebook”: informazione desunta (gli esperti dicono inferita) da informazione, comunicazione mirata (sempre gli esperti la chiamano micromarketing). Siamo alle soglie di un futuro dove Internet giocherà un ruolo fondamentale, con una grande massa di umani sempre più ottusi, tranne una ristretta oligarchia sempre più intelligente e, viceversa, tante macchine sempre più intelligenti e poche ridotte a piccoli servizi accessori.
Ma la chiave per uscirne è sempre la stessa: consapevolezza, conoscenza, coscienza. In un solo termine: cultura. Intanto, per sicurezza, meglio farsi un giretto tra le impostazioni della privacy di Facebook.

Ecco il link al post di Lidi matematici:


Nessun commento:

Posta un commento

Elenco posts

 Elenco dei miei posts scritti nel periodo dal 28/3/18 all'11/04/24:                                                    ( su FB ) - vide...