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venerdì 20 gennaio 2023

La vita al di fuori della Terra: cosa cercare e dove? I limiti della definizione di "fascia abitabile" e l'ipotesi "superterre e tettonica a zolle".

Qualche settimana fa ho scoperto di possedere anch'io un "hater": pare oggi tu non sia nessuno senza che ci sia qualcuno ad insultarti per un qualcosa che hai pubblicato sui social.

Il mio hater personale - che si fregia di possedere un dottorato in biologia conseguito in una prestigiosa università canadese nonostante la sua pagina FB sia colma di post incitanti all'odio verso no vax e filorussi - mi accusa di fare affermazioni "azzardate" senza possedere titoli atti ad attestare una sufficiente competenza nelle materie che tratto su queste pagine e sul mio blog.
La scintilla è stata un commento in cui rimarcavo l'attuale incapacità da parte della scienza di fornire una definizione universalmente condivisa di cosa si intenda per vita, con il rischio connesso di non riconoscere come esseri viventi eventuali forme complesse che potremmo un giorno incontrare su altri pianeti o satelliti (1).

     Al di là di una prima sensazione di fastidio per i toni usati nei miei confronti riconosco al mio hater un merito: l'aver suscitato in me il desiderio di informarmi, approfondire e sviluppare gli argomenti già trattati lo scorso 22 settembre nel post "Parrocchiale ed Universale: dove potrebbe nascondersi alle nostre ricerche una vita aliena e perché siamo ancora troppo condizionati dal pregiudizio antropico negli attuali progetti in atto" (2).


     Ad evitare inconvenienti, cito subito le fonti di quanto è riportato in questo post:

- "La matematica della vita" di Ian Steward (prima edizione del 2011 rivista ed ampliata nel 2020)

- "Alieni: c'è qualcuno là fuori?" di Jim Al Kahlili

- la conferenza "Pianeti extrasolari, universo oscuro e buchi neri" tenutasi in occasione del Festival della Scienza 2022 a Genova, nel corso della quale ho avuto l'opportunità di porre domande sull'argomento al premio nobel Michel Mayor (3),

     Punto di partenza, forse quello che più ha infastidito il mio hater, è la definizione stessa di "biologia" quale "studio della vita in tutte le sue forme".

Diamo infatti per scontato che tale definizione si riferisca alle sole forme di vita presenti sul nostro pianeta, che tra l'altro non è detto siano oggi tutte quante note, ma non è difficile rendersi conto che ciò costituisca un limite privo di logica.

Certo, potrebbe essere che le uniche forme di vita presenti nell'universo siano quelle che troviamo in abbondanza qui sulla Terra, basate sul carbonio e controllate da RNA e DNA, per le quali la presenza di acqua allo stato liquido sia imprescindibile.

Tuttavia dovremmo forse evitare di domandarci se - anche solo a livello teorico - possano esistere alternative, e cioè esseri dotati di un certo grado di complessità, in grado di riprodursi ed organizzarsi, costituiti da atomi di un tipo diverso e strutturati in modo differente da quanto abbiamo esperienza?
Una risposta affermativa comporterebbe l'accettare una lacuna nel nostro sapere che rimarrebbe tale anche se nel resto dell'universo non esistessero altre forme di vita.

E qualora esistano invece forme di vita al di fuori della Terra, dovrebbero per forza assomigliare a quelle che troviamo qui?

Senza ipotizzare l'esistenza di alieni, i biologi oggi non concordano neppure sul considerare o meno i virus terrestri organismi viventi.
E' dunque necessario partire dalla definizione di cosa si intenda per "vita", e come il significato di questo termine si sia evoluto nel tempo.

     Negli ultimi 50 anni il concetto di vita è stato progressivamente ampliato, mano a mano che venivano rinvenuti nuovi abitanti del nostro pianeta in ambienti che fino a poco prima erano ritenuti inospitali per qualsiasi genere di essere vivente: si tratta dei cosiddetti "estremofili", in grado di sopravvivere a temperature proibitive, pressioni enormi, mancanza di luce ed ossigeno.

Ian Stewart riporta una divertente analogia con l'attuale dibattito scientifico su "cosa sia la vita" per evidenziarne i limiti:
"un gruppo di cavernicoli, discutendo la definizione di strumento, convengono sul fatto che uno strumento debba esser fatto di selce e stare in una mano, altrimenti non ci sarebbe modo di utilizzarlo: chissà cosa penserebbero all'apparire di un trattore portato indietro nel tempo!".

Per superare l'empasse della moltitudine di definizioni rivali di "vita", ognuna delle quali mai del tutto soddisfacente, alcuni biologi invece di darne una definizione in base alla composizione (qui sulla Terra la chimica del carbonio ed il DNA) suggeriscono di considerare l'enorme varietà di forme presenti sul nostro pianeta - tutte tra di loro strettamente correlate - come esempio di quello che dovrebbe essere un processo molto più generale. 
Cercano cioè una "definizione operativa" di vita.

Che cosa fa la vita?

- deve dotarsi di una struttura organizzata;
- regolare il comportamento interno in risposta a cambiamenti a breve termine dell'ambiente;
- estrarre energia dall'ambiente;
- reagire a stimoli esterni (presentare movimenti verso la fonte di cibo/energia);
- non solo accumulare materia, ma utilizzarla per "crescere";
- esser in grado di riprodursi;
- adattarsi ai cambiamenti a lungo termine dell'ambiente.

Si potrebbe pensare che qualora un qualunque sistema osservabile presenti più di un punto tra quelli indicati, allora dovremmo definirlo "forma di vita": ma la cosa non è così semplice.

Ad esempio le fiamme presentano una struttura organizzata, modificano la loro dinamica in risposta a ciò che le circonda, estraggono energia dall'ambiente e si riproducono: tuttavia in miliardi di anni la loro chimica non è mai mutata, non si sono adattate a cambiamenti a lungo termine dell'ambiente, "non si sono evolute", e pertanto non possiamo assegnar loro l'etichetta di essere vivente.

     Uno dei punti su cui tutti i biologi concordano è la caratteristica capacità di riprodursi, cosa ben diversa dalla replicazione.
Replicare significa fare copie identiche (o quasi identiche) all'originale, mentre riprodurre implica un certo grado di variabilità, una condizione che è base dell'evoluzione.

Stuart Kauffman propone di definire un organismo vivente quale sistema complesso.
"Un sistema complesso" - afferma - "è composto da un gran numero di agenti o entità semplici, che interagiscono sulla base di regole relativamente semplici".
La matematica dei sistemi complessi dimostra che, nonostante la semplicità dei componenti, il sistema risultante dalla loro combinazione presenta "comportamenti emergenti" assai complicati, che non si possono desumere dalle singole entità o regole.
Partendo da questa constatazione Kauffman definisce la vita "un sistema complesso in grado di riprodursi e portar a termine almeno un ciclo di lavoro termodinamico" (4), e ritiene tutte le altre proprietà della vita mera conseguenza di tale caratteristica fondamentale.

Sappiamo poi che il DNA codifica l'informazione, tuttavia ritenere il DNA la risposta alla domanda "cos'è la vita?" è egualmente riduttivo: qual è il contributo che esso apporta? Potrebbe esistere un qualcosa di simile al DNA che possa svolgere la sua stessa funzione?
I dettagli della biochimica terrestre - sostiene - non possono essere la vera spiegazione della vita: deve esistere un processo astratto che quella particolare biochimica mette in pratica.

Sappiamo ad esempio che il tRNA potrebbe tradurre un codice diverso rispetto a quello che trasforma triplette di DNA in proteine.
Si potrebbe addirittura sintetizzare un tRNA non naturale, ed utilizzandolo verificare che il sistema funzioni lo stesso.
Ne consegue che - almeno come teoria operativa - il sistema utilizzato dalla vita sul nostro pianeta sia solo uno tra i molti possibili, dove molecole simili al DNA si troverebbero a svolgere un ruolo analogo.

Esperimenti di laboratorio hanno prodotto "basi sintetiche esotiche" successivamente inserite nella doppia elica del DNA.
Il codice è stato esteso alla lettura di 4 basi per volta, pertanto gli amminoacidi codificati potrebbero risultare nell'ordine delle centinaia.
Pare perciò assai poco probabile che il DNA sia l'unica molecola lineare in grado di "contenere informazioni": possiamo addirittura immaginare la possibilità di creare molecole non lineari, con strutture ad albero o stringhe di polimeri a due o tre dimensioni.

     Il silicio è un candidato quale alternativa al carbonio nella formazione di grandi molecole: occasionali atomi di metallo contribuirebbero alla loro stabilizzazione.

Addirittura è possibile ipotizzare la presenza di esseri viventi in ambienti del tutto diversi da pianeti o lune: il tipo di complessità organizzata necessaria a produrre un essere vivente potrebbe forse presentarsi nei vortici magnetodinamici della fotosfera di una stella, nei monostrati cristallini sulla superficie di una stella di neutroni, nei pacchetti di onde delle radiazioni che attraversano lo spazio interstellare come nelle funzioni d'onda quantistiche. O infine in creature immateriali che dimorano universi-tasca dotati di una fisica diversa dalla nostra.

     Non si tratta di credere all'esistenza di tali forme di vita, quanto piuttosto di dimostrare l'esistenza di una definizione significativa di "vita" che sia valida in un campo molto più generale rispetto a quella di "un sistema chimicamente organizzato che si riproduce per mezzo del DNA".
Una definizione di tal sorta implica la capacità di tali creature ad auto organizzarsi e divenire più complesse sotto l'azione dell'evoluzione.


Vita artificiale.

     Von Newmann nel secolo scorso dimostrò come l'abilità di replicarsi sia una conseguenza della struttura del sistema preso in esame attraverso l'esperimento mentale dell' "automa cellulare" (5), in anticipo sulla scoperta del DNA avvenuta nel 1955 da parte di Crick e Watson.
Anni dopo John Horton Conway sviluppò un automa cellulare con una dinamica molto flessibile ed imprevedibile che fu battezzato "the game of life" e che lo rese famoso al grande pubblico (6): si tratta di un gioco basato su quattro semplici regole che si svolge su una griglia quadrata, dove il futuro di ogni configurazione iniziale scelta è completamente determinato (riavviando il gioco e partendo dallo stesso schema gli sviluppi si ripetono identici).
Tuttavia non c'è modo di sapere cosa succederà in seguito se non giocando, a dimostrazione che "deterministico" è cosa diversa da "prevedibile".


     Nel 1982 Chris Langton simulò al computer le caratteristiche degli esseri viventi, ed insieme a Burks sviluppò una nuova sottocategoria della scienza: la vita artificiale - o "alife" (7) - che si propone, tramite sistemi non biologici, di emulare caratteristiche chiave degli esseri viventi quali la replicazione.
Abbiamo già detto che la replicazione non è che uno degli aspetti degli esseri viventi, e che deve semmai esser presa in considerazione la riproduzione, la quale spiana la via all'evoluzione inserendo errori casuali nel meccanismo di replicazione determinando così un meccanismo selettivo (e cioè quali mutazioni conservare e quali scartare in base all'ambiente).

Gli studi su un numero elevatissimo di software di tipo "alife" sviluppati negli ultimi anni (8) hanno chiarito tre concetti fondamentali:

  1. quasi ogni sistema basato su regole, e dotato di comportamenti più complessi dei semplici stati stazionari e cicli periodici, produce comportamenti molto complessi;

  2. non c'è rapporto tra la complessità (o la semplicità) delle regole e la complessità (o la semplicità) dei comportamenti risultanti: non si verifica cioè una "conservazione della complessità" tra regole e comportamenti;

  3.
l'evoluzione è un mezzo potente per produrre strutture e processi complessi senza dover progettare in modo esplicito le caratteristiche desiderate nelle entità in evoluzione.

Ne risultano pertanto due linee filosofiche:

- "weak alife" (vita artificiale debole) secondo la quale l'unica possibilità di creare processi viventi sia attraverso la chimica;

- "strong alife" (vita artificiale forte), che si può far risalire a Von Neumann, secondo la quale esiste una "forma generale di processo" che non dipende dal mezzo usato per metterla in atto.
 Conta cioè cosa la vita può fare e non cosa la compone (9).


Vita sintetica.

     Si tratta di organismi basati sulla biochimica convenzionale che sono tuttavia sintetizzati in laboratorio partendo da ingredienti inorganici.

     Nel 2010 un gruppo di ricerca del J. Craig Venter Institute di Rockville annunciò la creazione di "Synthia", descrivendolo come "il primo organismo sintetico".
Venne realizzata con tecniche puramente chimiche - senza cioè coinvolgere alcun organismo vivente - una copia del genoma del batterio "Mycoplasma mycoides"; in seguito questo "genoma sintetico" è stato sostituito al DNA di un batterio gemello, che risultò in grado di replicarsi e "funzionare" come l'originale "biologico".

Il team aveva cioè riprodotto sinteticamente una copia di DNA (pur se identico a quello originale) sostituendolo a quello di un batterio della stessa specie: niente di davvero straordinario - se funzionava quello originale anche la copia servile non poteva che funzionare - se non il fatto di aver ottenuto il DNA partendo da sostanze inorganiche.



     E' stato questo un primo passo verso il "minimal genome project" (10) cui obiettivo dichiarato era la realizzazione di un batterio sintetico "con la minima quantità di genoma che gli permetta di replicarsi".
Il termine "minimal" si riferisce alla caratteristica specifica di cui deve esser dotato tale batterio: togliendo altro DNA, il suo genoma deve smettere di funzionare.
L'obiettivo è stato raggiunto solo nel 2016, quando è stato realizzato il "Mycoplasma laboratorium" chiamato JCVI-syn 3.0, o più semplicemente Synthia 3.0: un DNA completamente sintetico costituito da 473 geni venne sostituito al DNA del batterio "Mycoplasma capricolum" ottenendo così un organismo in grado di crescere e riprodursi (11).

Proviamo a fare un paragone per comprender meglio il significato del risultato sinora raggiunto: è come aver creato un nuovo sistema operativo caricato su un computer già esistente, certo non la stessa cosa dell'aver creato un nuovo computer dal nulla!

Questo esempio ci da l'idea di quale sia l'attuale distanza dalla creazione di una vera vita sintetica.


Vita aliena.

     Sgombriamo il campo da illusioni o errate interpretazioni delle notizie che circolano: sino a questo momento non abbiamo prove valide dell'esistenza di vita aliena.
Come sosteneva correttamente Carl Sagan "affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie", e noi non disponiamo che di labili indizi.

Nel 1986 la NASA annunciò con grande scalpore su tutti i mezzi di comunicazione la scoperta di batteri fossili microscopici ritrovati analizzando un meteorite raccolto in Antartide; tale corpo è ritenuto provenire da Marte in quanto la roccia che lo compone intrappola al suo interno microbolle la cui analisi del contenuto corrisponde al profilo dell'atmosfera di quel pianeta (12).


     Non si tratta quindi del ritrovamento di materiale biologico, ma è indispensabile stabilire una volta per tutte se tali "presunti fossili" fossero stati un tempo esseri viventi (quindi testimonianza che la vita è esistita in passato sul pianeta d'origine).
Successivi studi dimostrarono che tali conformazioni avrebbero potuto presentarsi anche come risultato di processi non biologici, non riuscendo comunque ad escludere la seppur minuscola probabilità che si tratti effettivamente di fossili.
Pertanto ad oggi la presenza di vita in un passato remoto su Marte rimane in discussione.

     Circa l'esistenza della vita su altri pianeti la comunità scientifica, in mancanza di qualsiasi prova, si divide su 3 posizioni:

   1. la vita esiste solo sulla Terra perché il caso che ne ha determinato lo sviluppo e la sopravvivenza per un periodo così lungo tale da consentire all'evoluzione di operare in modo ottimale è rarissimo;

   2. la vita aliena esiste ma deve esser molto simile a quella terrestre;

   3. la vita aliena esiste ed è completamente diversa da quella terrestre.

     La prima posizione - sostenuta da ricercatori quali Donald Brownlee e Peter Ward in "Rare Earth" e da Stephen Webb in "Se l'universo brulica di alieni.. dove sono tutti quanti" - è quella al momento più difendibile in quanto conosciamo solo la vita sul nostro pianeta.

Tuttavia, proprio per il fatto che negli ultimi anni abbiamo scoperto che il nostro pianeta non ha proprio nulla di speciale, la logica ci suggerisce prudenza nello sposare una tale posizione che non tiene conto di un universo popolato da 200 miliardi di galassie ciascuna con circa 400 miliardi di stelle delle quali la stragrande maggioranza è circondata da sistemi planetari (13).




     La seconda posizione parte invece dal principio che la vita, così come la conosciamo, si sia già sviluppata su almeno un pianeta (il nostro) il quale, non avendo nulla di speciale rispetto alla moltitudine che via via stiamo scoprendo in giro per la galassia, ci da modo di pensare essa possa essersi sviluppata in modo simile "naturalmente" (in modo "artificiale" è un discorso diverso) su altri pianeti.
Le ricerche condotte sinora da astrobiologi ed esobiologi si sono concentrate sulla possibilità di trovare vita con caratteristiche simili a quelle degli organismi terrestri, tuttavia con il progressivo aumentare del grado di conoscenza delle origini della vita sulla Terra tali condizioni si fanno ogni giorno più stringenti e diminuisce la probabilità di scoprire altrove le stesse forme di vita che troviamo qui da noi.

     La terza posizione si avvia a diventare quella più condivisa.
Caratteristica dei sistemi viventi che osserviamo è l'adattamento all'ambiente; pertanto eventuali organismi alieni - che vengano a trovarsi in ambienti necessariamente diversi da quello terrestre - seguiranno percorsi evolutivi del tutto differenti.
L'astrobiologia, pur ammettendo che pianeti con la stessa storia di stabilità e condizioni favorevoli come il nostro siano una rarità, ritiene la vita possa essersi sviluppata in mondi completamente diversi adattandosi al loro ambiente grazie all'evoluzione.
Oggi si indica con il termine xenobiologia (o xenoscienza) la ricerca che parte da tale presupposto.

     Il biologo Jack Cohen sin dagli anni '60 si è chiesto quali caratteristiche della vita sul nostro pianeta potrebbero ritrovarsi in forme di vita aliene, qualora esse esistano, e quali invece dovremmo aspettarci di trovare solo qui sulla Terra in quanto derivate da semplici casualità dell'evoluzione "in loco".
Ho già trattato in un mio precedente post la distinzione tra "parrocchiale" ("parrochial" che nel testo "la matematica della vita" viene tradotto con il termine "provinciale") e "universale" (14)

Ad esempio le cinque dita di una mano sono un carattere "provinciale" mentre appendici per manipolare oggetti possono essere un universale; così le ali coperte di piume rispetto alla capacità di librarsi in un'atmosfera, il fiore rispetto alla fotosintesi per ricavare energia utilizzabile da una stella.

Universali sono caratteristiche che potrebbero evolversi in mondi "compatibili" con il nostro - cosa che non significa debbano ivi ritrovarsi necessariamente - mentre altre caratteristiche potrebbero esser specifiche del nostro mondo, pur esistendone altri con caratteristiche simili alla Terra ed ospitanti di forme di vita.

Cohen suggerisce un metodo per individuare i caratteri universali: osservare se un tratto riscontrato nelle specie terrestri si sia evoluto una sola volta o più volte in modo indipendente. 
Qualora ci si trovi di fronte alla presenza di casi diversi che non abbiano in comune la stessa storia evolutiva ci troveremmo di fronte ad un universale.

     Questo criterio è però soggetto ad un limite: basarsi sul numero di evoluzioni indipendenti che riscontriamo sulla Terra per definire un universale significa affidarsi alla specifica storia evolutiva del nostro pianeta.

Ad esempio, l'intelligenza appare un universale in quanto la si riscontra sviluppata in animali dalla storia evolutiva completamente diversa, dal polpo ai mammiferi.

Tuttavia l'intelligenza specifica del genere "homo" - che Stewart e Cohen indicano con il termine "estelligenza", definita come "abilità di accumulare competenze e capitale culturale all'esterno dell'individuo ed in forma accessibile ad altri individui della stessa specie" - si è evoluta una sola volta sulla Terra.

Utilizzando il criterio indicato prima ne conseguirebbe che l'intelligenza sia un carattere universale al contrario dell'estelligenza che si presenta come un carattere provinciale in quanto non supera il test di universalità.

E' invece ragionevole immaginare che quest'ultima sia comunque un universale poiché - a differenza del cervello - costituisce un "trucco generale" che offre chiari vantaggi evolutivi, non certo un incidente specifico di origine ereditaria.

Di conseguenza, la proposta avanzata da Stewart e Cohen è di considerare un universale "ogni caratteristica generale che potrebbe concretizzarsi in modi diversi ma che offra un evidente vantaggio evolutivo, cosicché se l'evoluzione ripartisse da zero la reincontreremmo con ogni probabilità".

Naturalmente la validità di questo criterio potrà esser dimostrata solo se e quando troveremo forme di vita extraterrestri.

     Il nobel Michel Mayor - al quale in occasione dell'ultimo festival della scienza a Genova ho rivolto una domanda circa l'opportunità di modificare i criteri in base ai quali vengono individuati esopianeti potenzialmente in grado di ospitare vita aliena includendo ambienti anche molto diversi da quelli presenti sul nostro pianeta (15) - ritiene altamente improbabile questa possa essersi sviluppata in un ambiente troppo diverso dal nostro.

Caratteristica di tutti gli organismi viventi, riflette Mayor, è la capacità di trasferire tutte le informazioni necessarie a replicarsi da una cellula madre alle generazioni future; un compito che sulla Terra viene svolto dal DNA, una lunghissima catena di molecole ed atomi in grado di memorizzare informazioni complesse che solo gli atomi di carbonio permettono di costruire ed a cui offrono una sufficiente stabilità.

L'attenzione della ricerca attualmente condotta si concentra infatti su esopianeti che possano presentare caratteristiche quali acqua liquida, temperature non troppo alte e non troppo basse (oltre i 120° il DNA si spezza mentre se si scende troppo sotto lo 0° le reazioni rallentano eccessivamente), presenza di ossigeno, bassi livelli di radiazioni grazie ad un'atmosfera che faccia da scudo, relativa vicinanza alla propria stella che fornisce energia utilizzabile ed infine un ambiente abbastanza stabile.

     Nonostante l'opinione qualificata di Mayor, tali condizioni oggi sembrano non essere più così vincolanti, almeno secondo numerosi altri ricercatori.

Abbiamo appena visto, parlando di vita sintetica, come quasi ogni elemento principale della biochimica terrestre possa esser modificato e continuare comunque a funzionare.
Cambiare la struttura del DNA, usare un codice genetico diverso per trasformare le sequenze in basi di amminoacidi, mutare il numero di basi che codificano un amminoacido, utilizzare un elenco di amminoacidi diversi o altre proteine per funzioni specifiche.
La vita potrebbe fare a meno dell'ossigeno, della luce del sole e addirittura dell'acqua.

     Gunther Wachtershauser nel '92  ha avanzato l'ipotesi che la vita sulla Terra sia sorta in condotti idrotermali sul fondo oceanico sfruttando la chimica dei composti di zolfo e del ferro, insieme a catalizzatori quali nichel e cobalto (16)

     Ad occidente dell'isola di Creta è stato scoperto , a circa 3500 metri di profondità, un "lago" di acqua intensamente salata presente sul fondale del Mediterraneo le cui acque sono sostanzialmente prive di ossigeno disciolto ma ricche di acido solfidrico.
Inaspettatamente, vi sono stati rinvenuti non soltanto batteri anaerobici, ma una varietà di animali complessi dotati di un metabolismo a idrogeno-zolfo.

     Bill Martin, biologo evolutivo, ritiene che questa scoperta modifichi radicalmente le nostre idee sull'origine degli eucarioti: invece di costituire il prodotto di una presenza massiccia di ossigeno, essi potrebbero esserlo della presenza di idrogeno e zolfo.
L'aver rinvenuto animali che si trovano a proprio agio nel lago salato del Mediterraneo dimostrerebbe questa tesi (17)
Qualora tale tesi si rivelasse corretta, la vita su altri pianeti potrebbe far anche a meno dell'ossigeno.

     I "batteri estremofili" sono in grado di sopravvivere a condizioni estreme quali temperature dell'acqua in ebollizione o al di sotto del punto di congelamento.
Nel 2010 una perforazione a 1400 metri dal fondo dell'oceano Atlantico ha rinvenuto batteri che prosperavano alla temperatura di 102°.
Più di recente sono stati trovati batteri che dimoravano a 3000 metri nel sottosuolo, altri nella stratosfera, alcuni dei quali in grado di sopravvivere ad altissimi livelli di radiazioni.
Scienziati della NASA sostengono di aver individuato In un lago della California batteri che utilizzano l'arsenico al posto del fosforo.

     La scoperta di alcune migliaia di esopianeti ha rivelato che la maggior parte dei sistemi planetari sono costituiti da mondi alquanto diversi dal nostro (18).
Nel 2008 Mark Swain, ricercatore al JPL, ha identificato la prima molecola organica - il metano - su un esopianeta, una specie di "Giove caldo" posto a 63 anni luce di distanza dalla Terra.
Da allora sono state individuate numerose altre presenze nelle atmosfere degli esopianeti - vapor acqueo, ossigeno, ecc. - un elenco che va di giorno in giorno arrichendosi grazie alla disponibilità di nuove tecnologie e strumenti su di esse basati.

     Le argomentazioni alla base della convinzione che la vita sia un fenomeno assai raro nell'universo, espresse in modo esaustivo da Ward e Brownlee nel saggio "Rare earth", gradatamente si stanno sgretolando.

Esaminiamo le 3 principali a favore e poi vediamo come sia possibile confutarle.

   1. Solo sistemi solari ove siano presenti giganti gassosi della massa di Giove in posizione esterna rispetto ai pianeti rocciosi forniscono adeguata protezione contro pericolosi bomardamenti di comete.
A riprova di quanto affermato un evento recente: nel 1994 la cometa Shoemaker-Levy è stata deviata dalla sua orbita e spezzata dalla gravità di Giove: un solo frammento di tale cometa, qualora avesse intercettato la Terra, avrebbe potuto provocare l'estinzione delle forme di vita più complesse.
E' stato calcolato che, senza la presenza di Giove, una cometa ogni 20 anni avrebbe potuto colpire la Terra con conseguenze disastrose.

   2. Solo la presenza di un satellite gigante - quale la nostra Luna - in orbita attorno ad un pianeta roccioso consentirebbe stabilità al suo asse di rotazione evitandone spostamenti caotici.
Una leggera inclinazione dell'asse di rotazione del pianeta consente il costante alternarsi di stagioni, e di conseguenza la presenza di un clima favorevole alla vita.
Si ritiene che la Luna sia il prodotto di uno scontro tra la Terra e Theia, un corpo delle dimensioni di Marte, avvenuto nei primissimi stadi della formazione del sistema solare: sicuramente un evento molto raro.

   3. La Terra ha avuto la fortuna di trovarsi ad orbitare intorno al Sole nella zona definita "abitabile", un guscio vuoto di spazio all'interno del quale l'acqua può trovarsi allo stato liquido sulla superficie di un pianeta.

     Alla prima argomentazione si potrebbe ribattere che Giove, dotato di una massa enorme, è in grado si attirare una cometa potrebbe egualmente deviarne l'orbita indirizzandola verso la Terra.
Molti Nearth-Earth-Object - asteroidi la cui orbita intercetta sporadicamente quella del nostro pianeta e per tanto potenzialmente pericolosi - sono corpi rocciosi che originariamente facevano parte della fascia tra Marte e Giove, e che gli influssi gravitazionali di quest'ultimo hanno spostato verso orbite più interne.
Simulazioni al computer hanno provato che talvolta le orbite degli asteroidi della fascia principale vengono, per effetto della sua presenza, allungate sino ad incrociare quella di Marte, e quest'ultimo, con la propria influenza, potrebbe a sua volta lanciarli verso la nostra.



     
Circa l'influsso della Luna sull'asse terrestre: in sua mancanza gli effetti sui cambiamenti climatici sarebbero sì impressionanti - aree temperate potrebbero trasformarsi in deserti o in lande ghiacciate -, ma tali mutamenti richiederebbero comunque tempi che si misurano in decine di milioni di anni, quando l'evoluzione ha protetto la vita durante le ere glaciali che si alternano in intervalli di tempo decisamente più brevi (10 / 20.000 anni).
Inoltre per le creature marine - che a differenza di quelle terrestri sono libere di spostarsi tra gli oceani - le variazioni dell'asse terrestre non avrebbero alcun effetto perché semplicemente migrerebbero verso mari più accoglienti: e la vita è nata nell'acqua, non sulla superficie solida!

     Infine anche la definizione di "zona abitabile" è discutibile: basti pensare che se la Terra fosse priva di atmosfera - o dotata di un'atmosfera molto tenue - l'escursione termica a livello del suolo sarebbe terribile, qualcosa di simile a quanto accade sul nostro satellite.

Anche considerando un pianeta con le identiche caratteristiche del nostro, non è detto che presenterebbe la stessa evoluzione: una superficie un poco più bianca ed un'atmosfera composta da una percentuale di CO2 leggermente inferiore, 700 milioni di anni fa avrebbero potuto trasformare la Terra in una palla ghiacciata.
Se invece la percentuale in atmosfera di CO2 fosse stata un poco superiore oggi ci ritroveremmo in un inferno tipo il clima del pianeta Venere.

In passato Marte - che oggi in alcuni giorni estivi registra nelle zone più esposte una temperatura di 27° - pare disponesse di un'atmosfera in grado di garantire la presenza di acqua allo stato liquido anche al di sopra del suolo.
E così deve esser stato anche per Venere, prima che l'effetto serra la trasformasse in una fornace.


La "matematica delle fasce abitabili".

     Ian Stewart nel saggio "La matematica della vita" prende in esame il modello matematico che definisce lo spazio intorno ad una stella all'interno del quale si ritiene possibile un pianeta possa ospitare forme di vita, in pratica il luogo dove possano sussistere le condizioni indicate da Michel Mayor nella sua risposta al mio quesito.



Le stime partono dal concetto di corpo nero: un oggetto astratto che non emette alcuna lunghezza d'onda nell'intervallo della luce visibile, e che dunque non riflette alcuna radiazione elettromagnetica.
La riflessione tuttavia non è l'unico modo in cui un oggetto possa emettere radiazioni: allo 0 Kelvin non c'è alcuna emissione da parte di un corpo nero, ma scaldandolo esso può diventare incandescente e quindi luminoso.
L'intensità della radiazione emessa dipende quindi dalla sua temperatura e dalla lunghezza d'onda.

Utilizzando la legge di Plank possiamo perciò ricavare una formula che ci restituisca la temperatura di un pianeta in orbita attorno alla propria stella, e di conseguenza, rivsolvendo l'equazione per le temperature limite entro le quali l'acqua si mantiene allo stato liquido, ricavare i confini interno ed esterno della fascia abitabile che si stende intorno ad essa.

     Ci sono tuttavia due modi di procedere, ognuno dei quali fornisce risultati diversi a seconda del grado di semplificazione adottato:

1. trattare un pianeta come fosse un corpo nero significa ipotizzare che tutta la radiazione proveniente dalla sua stella venga completamente assorbita senza esser riflessa: in tal caso i limiti della zona abitabile dipenderebbero esclusivamente dalle caratteristiche dell'astro;

2. prendere in considerazione anche l'albedo, cioè quella frazione della radiazione ricevuta dalla stella che il pianeta riflette verso lo spazio esterno: i limiti della zona abitabile risultano in tal caso dipendere non solo dalla temperatura superficiale della stella e dalla distanza del pianeta, ma anche dall'albedo di quest'ultimo.

In nota (19) ho riportato una versione semplificata della formula utilizzata per ricavare la temperatura media di un pianeta, utile per stabilire se si trovi all'interno della fascia abitabile (cioè se la temperatura risultante sia compresa tra il punto di congelamento e quello di ebollizione dell'acqua).

Provando ad applicare le due modalità di calcolo appena descritte al nostro pianeta otteniamo risultati paradossali:

- applicando il primo metodo, che non tiene conto dell'albedo, la temperatura media della Terra risulterebbe pari a 6° (279 Kelvin).

- applicando invece il secondo metodo (ponendo l'albedo pari a 0.3) la temperatura media risulta esser pari a -19° (254 Kelvin), e cioè ben al di sotto del punto di congelamento dell'acqua.
Introducendo il termine relativo all'albedo la Terra risulta dunque trovarsi al di fuori della fascia abitabile del Sistema Solare.

Il confine esterno di una zona abitabile si ottiene risolvendo l'equazione riportata in nota 19 per Tp (la temperatura del pianeta) pari a 273 Kelvin, il punto di congelamento dell'acqua; quello interno ponendo invece Tp pari a 373 Kelvin, il punto di ebollizione dell'acqua.

Utilizzando il primo metodo, la zona abitabile risulta compresa tra 83 e 156 milioni di Km di distanza dal nostro Sole, mentre se si usa il secondo tra 69 e 130 milioni di Km).
La Terra, la cui distanza dal sole è pari a 150 milioni di Km, rientra quindi nella fascia abitabile soltanto se trascuriamo il valore del suo albedo.

Usando il secondo metodo soltanto Venere (che dista 108 milioni di km dal Sole) risulta all'interno della fascia abitabile.

     Il motivo per cui il nostro pianeta ospita invece la vita è da ricercarsi nella composizione della propria atmosfera che annovera gas serra quali vapore acqueo e CO2: si tratta di una caratteristica di cui non si tiene conto nel calcolo standard dei limiti della fascia abitabile.

Escludere le proprietà dei pianeti risulta una semplificazione troppo azzardata.

     E non è solo l'effetto serra ad influire sulla temperatura di un pianeta (o di una luna): la presenza di nubi e ghiacci aumenta l'albedo raffreddando la superficie bilanciando un effetto riscaldamento dovuto alla presenza di gas serra.

Questi fattori presi tutti insieme determinano interazioni reciproche e forniscono caratteristiche caotiche al clima del nostro pianeta.
La Terra infatti ha infatti oscillato più volte tra le condizioni limite "palla di neve" e "pianeta serra rovente" senza raggiungere nessuno di questi due equilibri stabili sostenzialmente grazie al vulcanesimo ed alla tettonica a zolle (riciclo della CO2 di cui tratterò qui di seguito).


Altre condizioni che potrebbero rendere un pianeta (o un satellite) adatto alla vita pur se esterno alla zona abitabile.

     Se un esopianeta che presenti condizioni simili a quelle di Mercurio risultasse bloccato in una risonanza orbitale-rotazionale - come succede ad esempio alla Luna con la Terra -, tra la faccia sempre illuminata (rovente) e quella sempre al buio (ghiacciata) potrebbero esistere zone temperate dove si trovi acqua allo stato liquido, pur essendo il pianeta troppo vicino al suo sole per rientrare nella fascia abitabile (20)

Sappiamo poi che l'acqua è presente in forma liquida anche su corpi del sistema solare che si trovano ben oltre il limite estremo della fascia abitabile.

Ad esempio Europa, un satellite di Giove, presenta al di sotto della sua crosta ghiacciata un enorme oceano di acqua liquida, il cui volume è pari alla somma di tutti gli oceani terrestri, che ricopre totalmente la superficie solida di questa luna.
Gli enormi effetti mareali indotti sia dalla massa di Giove che dalla risonanza orbitale in cui sono intrappolati i satelliti Io, Europa e Ganimede, insieme al calore generato dal proprio nucleo impediscono all'oceano di Europa di ghiacciare completamente.

Anche altre lune del sistema solare, quali Ganimede (unico satellite dotato di campo magnetico) e Callisto, sono candidati ad ospitare oceani di acqua liquida.
Io, un altro satellite di Giove cui caratteristica è un intenso vulcanesimo, possiede probabilmente un oceano di zolfo fuso.
Su Titano invece, satellite di Saturno dove la temperatura è rigidissima, esiste un oceano di metano liquido.

     Quale tipo di vita potrebbero ospitare ambienti così diversi rispetto al nostro?

Abbiamo già accennato alla teoria proposta da Bill Martin riguardo ai batteri terrestri che definiamo "estremofili" che capovolge la visione comune: per Martin tali batteri si sono evoluti già in origine in quelle che noi consideriamo condizioni estreme, e solo un loro adattamento all'ambiente terrestre nel frattempo mutato ha dato origine alla linea evolutiva da cui anche noi deriviamo.
Per Martin saremmo quindi noi i veri "estremofili".

Le condizioni in cui sarebbe comparsa la vita sulla Terra non differiscono poi di molto da quelle dei corpi cui abbiamo accennato: dunque un emergere spontaneo di forme viventi potrebbe aver interessato anche altre parti del sistema solare, ed in seguito su queste l'evoluzione potrebbe aver operato selezionando molteplici specie che si sono adattate ai cambiamenti del clima locale.

Se adottiamo quest'ottica diventa importante individuare quali siano le condizioni necessarie alla vita distinguendole da quelle sufficienti, e l'evoluzione diventa l'universale discriminante.

     Anche l'assenza di un gigante gassoso tra i pianeti esterni potrebbe non esser rilevante per la presenza di vita aliena.

La matematica di più corpi in movimento sotto l'influsso della gravità mette in luce un aspetto poco noto dei sistemi planetari: il fatto cioè che raggiungano un complesso tipo di equilibrio nel quale si rivelano altrettanto importanti gli influssi dei giganti gassosi come quelli dei piccoli corpi.
L'influenza di Giove ha creato nel nostro sistema solare una complessa rete di "tubi gravitazionali", visualizzabili matematicamente, costituiti da spazi vuoti.
Si tratta dei percorsi lungo i quali la materia può spostarsi con maggior efficienza (21) e la cui configurazione finale dipende da effetti di interazioni reciproche causate dalla gravità.
Non essendo le equazioni della gravità lineari, gli effetti non risultano proporzionali alle cause.

L'assenza di un gigante gassoso come Giove - ritenuto come abbiamo visto uno "stabilizzatore" del nostro angolo di universo - non comporta il fatto che non possa esistere un diverso equilibrio tra corpi celesti di un sistema solare tale da permettere la vita.


La tettonica a zolle quale condizione necessaria alla vita e le superterre.

     Dimitar Sasselov, Diana Valencia e Richard J. O'Connell, un team di astrofisici di Harvard, sostennero - in un articolo comparso su Scientific American nel 2010  dal titolo "Planets we could call home" - che pianeti in grado di supportare forme di vita di tipo terrestre siano assai comuni nell'universo, e che addirittura la Terra stessa non sia il pianeta migliore ad aver permesso lo sviluppo di esseri viventi per un tempo così lungo.

La loro tesi parte dal presupposto che la condizione necessaria alla vita di tipo terrestre sia la presenza di una tettonica a placche, rivelatasi indispensabile alla stabilizzazione del clima del nostro pianeta: infatti la CO2, suo tramite, viene riciclata dall'atmosfera ai fondali oceanici, là dove viene assorbita da microrgansmi e trasformata in carbonati i quali, soggetti a subduzione, saranno in seguito ritrasformati in CO2 dai vulcani, che a sua volta viene rimessa in circolo nell'atmosfera dalle eruzioni.

Clima stabile significa la presenza di acqua liquida per periodi lunghissimi, necessari all'evoluzione di forme di vita complesse come quelle terrestri (anche se, come abbiamo già indicato in precedenza, altre forme di vita potrebbero farne a meno).

I tre ricercatori dimostrano, attraverso simulazioni, come la tettonica a zolle sia più efficace - per supportare tale ciclo - quando operi su pianeti rocciosi con composizione simile al nostro ma di dimensioni maggiori, le cosiddette "superterre".

La prima superterra è stata identificata nel 2005: un esopianeta che si ritiene sia roccioso in orbita intorno alla stella Gliese 876.
In base alle misure (indirette) effettuate risultò dotato di una massa da 2 a 10 volte quella della Terra, e fu battezzato con il nome GJ 876d (22).

Nel 2009 fu la volta di CoRoT-7b, un esopianeta osservato durante un transito davanti alla propria stella; tale situazione fortunata permise di stimarne la densità e di catalogarlo come pianeta roccioso dotato di una massa pari a quasi 5 volte quella terrestre.

Nel 2010 venne identificato GJ 1214b, una superterra con densità vicina a quella dell'acqua, dotato di spessa atmosfera gassosa e con massa pari a 6.5 volte quella del nostro pianeta.

     L'analisi teorica di  Sasselov, Valencia ed O'Connell divide le superterre in due tipologie:

- superterre che dispongono di vasti oceani che si sono formati lontano dalla stella madre assemblando grandi quantità di ghiaccio;

- superterre relativamente "asciutte" che si sono formate più vicino.

Nel corso della loro evoluzione entrambi i tipi di superterra tendono a formare un grande nucleo ferroso ed un mantello di silicati, mentre elementi più leggeri quali l'acqua tendono ad affiorare.

     Dotati di masse superiori a quella della Terra, la maggior pressione al loro centro tenderà a far solidificare più velocemente il nucleo ferroso, determinando così la presenza di un campo magnetico di intensità inferiore a quello terrestre.
Sembrerebbe questo uno svantaggio in relazione allo sviluppo della vita, tuttavia è bene ricordare due cose: l'acqua degli oceani protegge dalle radiazioni ed anche sul nostro pianeta abbiamo trovato batteri che resistono ad altissime dosi di radiazioni.

All'interno dei pianeti rocciosi si trovano poi elementi radioattivi quali uranio e torio che generano la maggior parte del calore necessario a mantenere il nucleo fuso: a parità di distribuzione di tali elementi, le superterre ne disporranno di quantità maggiori e di conseguenza i loro nuclei dovrebbero esser più caldi di quello del nostro pianeta.
Il calore in eccesso determina all'interno del mantello movimenti convettivi più intensi, dando così luogo al fenomeno della tettonica a zolle.

Le placche delle superterre, muovendosi più velocemente ed avendo perciò meno tempo per raffreddarsi ed inspessirsi, dovrebbero risultare più sottili rispetto a quelle terrestri.
Si potrebbe pensare che si deformino più spesso, ma non accade così: all'aumentare infatti della massa del pianeta, la forza di gravità diventa più intensa e la maggior pressione da questa esercitata sulle faglie fa sì che le placche fatichino a scorrere l'una sull'altra.
In pratica il minor spessore delle placche viene compensato da un maggior attrito.

E' quindi probabile che la tettonica delle placche sia più diffusa su grandi superterre piuttosto che su pianeti simili alla Terra (o addirittura più piccoli).

La maggior velocità che interessa il fenomeno farà si che il ciclo di subduzione e l'attività vulcanica risultino più efficienti nel mantenere la concentrazione di CO2, contribuendo a mantenere il clima del pianeta più stabile (certo su scala temporale geologica) rispetto a quanto accade sulla Terra, favorendo l'evoluzione di eventuali forme di vita complesse.

     Le superterre, a quanto ne sappiamo sinora, sembrano esser più comuni nell'universo rispetto a pianeti di dimensioni paragonabili al nostro; il quale, tra l'altro, sembra porsi sul limite inferiore dell'intervallo di dimensioni accettabili per lo sviluppo di una tettonica a placche (23).

     Dunque, anche solo per una semplice ragione di statistica, pare ragionevole condurre una ricerca di vita al di fuori del nostro sistema solare concentrandosi su pianeti diversi dal nostro: cercare altrove le stesse condizioni rinvenibili sulla Terra, ipotizzando che una eventuale vita aliena debbano per forza assomigliare a quella terrestre, ne limiterebbe eccessivamente le possibilità di successo.


C'è forse vita aliena nel sistema solare esterno?

     Nel 1997 la sonda Cassini Huygens fornisce una conferma del fatto che su Titano, una freddissima luna di Saturno, esistano laghi di metano ed etano allo stato liquido.
La sua atmosfera è composta in prevalenza da due gas, l'idrogeno e l'acetilene.
L'idrogeno, il più abbondante, secondo i modelli teorici avrebbe dovuto presentarsi uniformemente distribuito, mentre l'acetilene, prodotto da semplici reazioni chimiche nell'atmosfera, avrebbe dovuto trovarsi in prevalenza depositato sulla superficie.

Darrell Strobel della John Hopkins University scoprì invece che l'idrogeno scorreva verso il basso attraversando l'atmosfera per scomparire in prossimità della superficie, mentre dell'acetilene addirittura non fu trovata traccia.

Nel 2005 Chris MacKay, scienziato planetario della NASA, ha avanzato l'ipotesi che possa esistere su questa Luna remota una vita microbiotica basata sul metano in grado di ottenere energia facendo reagire idrogeno ed acetilene, così come la vita sulla Terra fa reagire l'ossigeno con molecole che contengono carbonio.

Tuttavia non si tratta certo di una prova definitiva dell'esistenza di qualche forma di vita su Titano: Mark Allen, ricercatore della NASA, ha infatti proposto una spiegazione alternativa che non chiama in causa la biologia ma assegna la responsabilità del fenomeno ai  raggi cosmici che, impattando con le molecole di acetilene, contribuirebbero a trasformarle in sostanze più complesse.




Per concludere, ad oggi non disponiamo ancora di una definizione di cosa sia la vita - un fenomeno complesso, come dice Tegmark, ma quanto complesso? - tuttavia le riflessioni che sono qui raccolte ci suggeriscono da una parte prudenza e dall'altra una mentalità molto aperta nel definire i criteri di ricerca atti ad individuare (o ad escludere) la presenza di forme di vita aliena su altri corpi al di fuori della Terra.

Solo pochi decenni fa si riteneva il nostro sistema solare fosse un esemplare raro per la presenza di pianeti; sino a pochi anni fa la stima delle stelle che possedessero almeno un pianeta era una piccola frazione mentre oggi si stima che quasi tutte le stelle possiedano una corte di pianeti e lune.
Nonostante l'alto numero di rovers e sonde che solcano le lande di Marte non possiamo ancora escludere al 100% che la vita non vi abbia dimorato in passato (o forse vi dimora ancora nei depositi di acqua sotterranei?).
Non sappiamo nulla circa gli oceani nascosti sotto i ghiacci delle lune esterne e la eventuale presenza di microrganismi vicino a camini vulcanici nelle loro profondità.
Non abbiamo idea se l'ipotesi di una vita basata sul metano possa essersi sviluppata su una luna di Saturno.

Sappiamo tuttavia con certezza che il DNA come lo conosciamo non è l'unica soluzione per trasferire informazione tra generazioni successive, e che prima o poi riusciremo a costruire un essere vivente diverso da quelli creati dalla natura partendo da materiale inorganico.

Non ci deve mancare la fantasia e la curiosità nello sperimentare nuove soluzioni e nell'interpretare i dati a nostra disposizione la cui mole si arricchisce col passare del tempo.



Note:

(1)
Citazione da me ripresa da varie fonti, tra le quali "Vita 3.0" di Max Tegmark, "Il calcolo del cosmo" di Ian Stewart e da uno scambio di emails sull'argomento intrattenuto con Stephen Webb, l'autore di "Se l'universo brulica di alieni dove sono tutti quanti".

(2) post pubblicato sul gruppo "cronache dal silenzio" il 22/9/22
https://www.facebook.com/groups/cronachedalsilenzio/permalink/1501133693712439/
oppure sul mio blog il giorno seguente:
https://davidemolinapersonale.blogspot.com/2022/09/parrocchiale-ed-universale-dove.html

(3) Il video con la mia domanda a Mayor e la sua risposta al seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=VdnWr0mwk7U

L'intera conferenza - relatori Suchita Kulkarni, Enrico Magnani, Michel Mayor, Luca Sbordone, Claudia Sciarma e Paola Catapano - è visionabile sul sito del Festival, previa l'iscrizione annuale a prezzo di 10 euro, al seguente link:
https://www.festivalscienza.online/events/235

(4) cioè di trasformare il calore in lavoro.

(5) vedano relative voci su wiki:  https://it.wikipedia.org/wiki/Costruttore_universale_di_von_Neumann
https://it.wikipedia.org/wiki/Automa_cellulare

(6) Conway si lamentò sempre del fatto che "il gioco della vita" oscurò i risultati che conseguì in altri campi decisamente più importanti.
vedi relativa voce di wiki:
 https://it.wikipedia.org/wiki/Gioco_della_vita

(7) vedi relativa voce di wiki:
 https://it.wikipedia.org/wiki/Vita_artificiale

(8) Ad esempio Tierra, Avida, Evolve, ecc; vedi voci relative su wiki.

(9) La vita basata sulla chimica è cioè solo un caso particolare.

(10) vedi: https://en.wikipedia.org/wiki/Minimal_genome

(11) vedi: https://www.focus.it/scienza/scienze/synthia-il-batterio-artificiale-con-il-numero-minimo-di-geni

(12) identificato con la sigla ALH 84001; vedi https://it.wikipedia.org/wiki/ALH_84001

(13) In realtà la posizione di Stephen Webb è più complessa e presta meno il fianco a tale critica.
Una sua descrizione dettagliata nel mio post "Le ragioni dello scetticismo di una parte della comunità scientifica circa l'esistenza di vita intelligente al di fuori del nostro pianeta" del 18 febbraio 2021

(14)  Vedi il mio precedente post del 22/9/22 "Parrocchiale ed Universale: dove potrebbe nascondersi alle nostre ricerche una vita aliena e perché siamo ancora troppo condizionati dal pregiudizio antropico negli attuali progetti in atto."


(15) Il video con la mia domanda a Michel Mayor e la sua risposta al link:
https://www.youtube.com/watch?v=VdnWr0mwk7U

(16) Un flusso di acqua calda su un composto di zolfo e ferro può produrre molecole organiche complesse chiamate "metallopeptidi".

(17) La teoria classica prevede che l'evoluzione degli eucarioti sia dovuta ad un massiccio accumulo di ossigeno negli oceani e nell'atmosfera quale prodotto di scarto di batteri ed alghe fotosintetiche.
Essendo l'ossigeno potenziale fonte di energia, gli organismi avrebbero sviluppato la capacità di sfruttarlo: i mitocondri, vitali per gli eucarioti, lo fanno e proteggono le cellule dai suoi effetti tossici.

Martin osserva come l'ossigeno sia reattivo solo quando in forma di radicali liberi, ed i mitocondri producono radicali liberi!

La produzione di enormi quantità di ossigeno ha richiesto miliardi di anni, tempo durante il quale gli oceani erano colmi di acido solfidrico senza che l'ossigeno intossicasse gli organismi anaerobici.

Quindi gli eucarioti sarebbero piuttosto prodotto di idrogeno e zolfo.

(18) Un articolo di Rebecca Boyle "Nuove idee sulla nascita dei pianeti" pubblicato sul numero di Gennaio 2023 di Le Scienze presenta modelli di evoluzione relativi alla formazione di pianeti alternativi al "Modello di Nizza" in grado di spiegare la diffusa presenza di giganti gassosi molto vicini alla propria stella e di grandi pianeti rocciosi (le super terre), presenze che mancano nel nostro sistema solare.

(19) Ecco la formula semplificata (non tiene conto dell'emissività del pianeta) usata per ricavare la zona abitabile intorno ad una stella:

Tp = Ts * sqr ( R / 2D) * ( 1 - α / ε ) ^ 1/4

Dove "Tp" (Temperatura del pianeta) è proporzionale a:
- "Ts" (Temperatura della stella);
- alla radice quadrata del rapporto tra "R" (raggio della stella) e "2D" (doppio della distanza del pianeta dalla stella)
- al valore ottenibile elevando ad 1/4 la differenza tra 1 ed il rapporto tra α (l'albedo) ed ε (l'emissività del pianeta nella regione dell'infrarosso dello spettro).

Nel caso Sole - Terra:

Tp = 5800 Kelvin,
R = 700.000 km,
D = 150.000.000 km,
α = 0.3,
ε = 1

Da cui si ricava Tp = 254 Kelvin

(20) Condizione riscontrata per Osiride, l'esopianeta HD 29458b, che orbita intorno alla propria stella ad un ottavo del raggio dell'orbita di Mercurio.

(21) Importantissimi per lo studio di rotte a basso consumo per i nostri mezzi spaziali

(22) Qualche dato su queste 3 superterre:

   - GJ 876d (Gliese 876 d) è un pianeta extrasolare, in orbita intorno alla nana rossa Gliese 876, distante circa 15 anni luce dalla Terra; impiega meno di due giorni per completare un'orbita ad una distanza pari ad 1/5 di quella che separa la Terra dal Sole.

   - CoRoT-7 b orbita intorno alla stella CoRoT-7distante circa 489 anni luce dalla Terra; il periodo di rivoluzione attorno alla stella è di sole 20 ore.

   -  GJ 1214b (Gliese 1214 b) orbita attorno alla nana rossa GJ 1214, dista circa 40 anni luce dalla Terra; l'orbita viene completata in un giorno e mezzo circa; i valori della sua massa e del suo diametro suggeriscono si tratti di un pianeta oceanico composto al 75% da acqua e al 25% da roccia (silicati e un piccolo nucleo di ferro). Probabile la presenza di una spessa atmosfera (200 km) composta da idrogeno ed elio.

(23) Fosse stata appena più piccola, la Terra non avrebbe avuto placche e forse la vita non vi si sarebbe sviluppata.


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