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giovedì 30 giugno 2022

Sono davvero buchi neri di Einstein i due oggetti "fotografati" dalla collaborazione EHT (Event Horizon Telescope) e finiti sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo?

La collaborazione EHT lo scorso 12 maggio ha pubblicato la prima immagine del buco nero supermassiccio presente al centro della nostra galassia (la sorgente radio SrgA*) circa 3 anni dopo aver rilasciato la prima immagine in assoluto di un buco nero, quella di M87* al centro della galassia omonima.


La presa dati che ha permesso di "ricostruire" entrambe le foto risale all'aprile 2017; una manciata di ore durante le quali 8 radiotelescopi posizionati in diverse aree del globo - dalla Spagna alle Hawaii - hanno raccolto una mole di dati impressionante che in seguito è stato possibile "sincronizzare", annullando così in parte l'effetto della rotazione terrestre che dopo qualche ora avrebbe reso invisibile quella parte di cielo.


La domanda presente nel titolo ha un preciso significato e, come vedremo tra poco, "ad oggi" - parole di Luciano Rezzolla (1) membro della Executive Board della Collaborazione EHT - "non disponiamo della tecnologia necessaria per dare una risposta sicura".

Ok, dopo aver distrutto con una sola frase le certezze che la maggior parte di chi mi sta leggendo aveva sulla capacità dei sapiens del XXI secolo di identificare, tramite la sola radiazione elettromagnetica, "buchi neri di Einstein" (2) partiamo dall'inizio e vediamo cosa davvero possiamo aspettarci di poter conoscere circa quelle entità oscure dalla forma sferoidale ai cui bordi si è accumulata una ciambella (3) di materia che emette radiazione elettromagnetica rilevabile in banda radio dai nostri strumenti (4)

Un buco nero rappresenta sostanzialmente una tra le molteplici soluzioni alle equazioni della Relatività Generale individuata dal matematico Karl Schwarzschild nel 1916, anno successivo a quello in cui Einstein ricavò la sua "equazione di campo" (5).

Tale soluzione descrive una porzione di spazio tempo fortemente incurvato caratterizzato da 3 condizioni:

- simmetria sferica;

- indipendenza dal tempo (staticità della soluzione);

- assenza di materia (si tratta cioè di una "soluzione nel vuoto").


Rimasta per lungo tempo una "curiosità matematica", nel 1967 John Archibald Wheeler coniò per essa il termine "Black Hole" (buco nero) che richiamava una sua caratteristica: la presenza di una zona sferica che la circonda all'interno della quale la velocità di fuga (6), determinata dal rapporto tra massa e raggio, risulti superiore a quella della luce, cosicché nulla, neppure i fotoni, possano uscirne trasportando informazione verso l'esterno.

Tale soluzione è oggi indicata con il nome "buco nero di Schwarzschild", una tipologia di buchi neri di Einstein caratterizzata dall'esser priva di rotazione.

Il luogo dei punti dove la velocità di fuga risulti esattamente pari alla velocità della luce venne chiamato "orizzonte degli eventi" dal fisico Roger Penrose, e presenta il comportamento tipico di una membrana unidirezionale: partendo da tale superficie, raggi luminosi od oggetti dotati di massa non possono propagarsi verso l'esterno (quindi o vengono intrappolati in un'orbita oppure procedono verso l'interno), mentre gli stessi possono attraversarla qualora provengano "da fuori" (7)

La distanza di tale superficie bidimensionale rispetto al centro del buco nero è definita "raggio di Schwarzschild".

In nota (8) ho indicato il semplice processo matematico per ricavarne il valore a partire dall'equazione della velocità di fuga riportata in nota (6).

Il raggio di Schwarzschild è il raggio di un oggetto la cui compattezza - valore ottenibile dividendo la Massa per il raggio - risulti pari a circa 0.5, quando cioè la misura del raggio risulti pari a circa il doppio della massa.

L'orizzonte degli eventi è considerato la superficie esterna di un buco nero; vediamo ora cosa ci dice l'equazione di campo relativamente alla porzione di spaziotempo in essa contenuto, e cioè quando i valori assegnati al raggio "r" siano molto piccoli fino a raggiungere "r = 0", il centro stesso del buco nero.

Assegnando ad "r" il valore "zero" notiamo subito come ogni quantità fisica o geometrica restituita dalle equazioni di Einstein raggiunga un valore pari ad infinito: è pertanto definito "singolarità dello spaziotempo" il luogo dove "r = 0".

Quando invece "r" presenta un valore molto piccolo, prossimo allo zero, le equazioni di campo assumono un comportamento divergente, diventando così impossibili da risolvere.
Tale zona dello spaziotempo viene definita "singolarità fisica" intendendo con tale espressione il fatto che "lì" le leggi della fisica ricavabili dalla Relatività Generale smettono di fornire predizioni attendibili.

La Relatività Generale si dimostra cioè incapace di descrivere la gravità in presenza di piccolissime dimensioni e grandi curvature: ad oggi manca ancora una teoria della gravità quantistica che venga a colmare questa lacuna.

Soluzione alternativa al buco nero di Schwarzschild è la la varietà di buchi neri di Einstein indicata con il nome di Kerr-Neumann: a differenza della prima - caratterizzata dalla perfetta sfericità dell'orizzonte degli eventi e dall'assenza di rotazione - quest'ultima vede il buco nero ruotare su sé stesso intorno al proprio asse, e la singolarità centrale trasformarsi da punto senza dimensioni ad un anello senza spessore.

L'orizzonte degli eventi si deforma assumendo l'aspetto di una sfera schiacciata ai poli: la deformazione è proporzionali alla velocità di rotazione del buco nero.


Caratteristica di tutti quanti i buchi neri di Einstein è la loro semplicità, definita dal teorema "black holes have no hairs" (i buchi neri non hanno peli), ancora una definizione "fulminante" che si deve a John Wheeler.

Solo 3 numeri sono sufficienti a caratterizzare ogni buco nero previsto dalla Relatività Generale:

- massa ("M")

- spin, e cioè la quantità di rotazione intrinseca ("J", il momento angolare)

- carica elettrica ("Q").

In realtà bastano due di queste grandezze, M e J.

Qualora infatti si generasse un buco nero con carica elettrica netta "Q" diversa da "0", le cariche libere dotate di segno opposto che si trovassero nei pressi del suo orizzonte ne verrebbero attratte annullandone così la carica.

Un buco nero di massa M può esser fermo oppure ruotare sul proprio asse (9)

Riguardo allo spin, siccome i buchi neri accrescono materia che è sempre dotata di una certa quantità di momento angolare, ci si aspetta che tutti quanti siano della varietà di Kerr (10)

Particolarità dei buchi neri di Kerr è la capacità di trascinare, nella propria rotazione vorticosa, lo spaziotempo nei pressi dell'orizzonte degli eventi: dunque un oggetto la cui traiettoria punti verso il buco nero si trova ad un certo punto ad esser trascinato in un'orbita intorno ad esso, oltre che accelerato a velocità relativistiche (11)

Giusto all'esterno della superficie dell'orizzonte degli eventi - e indipendentemente dal loro tasso di rotazione - esiste una superficie che è stata chiamata "ergosfera" o "limite statico": un oggetto dotato di massa o privo di questa (ad es un fotone) varcata questa superficie sarà costretto a co-rotare con il buco nero.

A differenza di quanto capiti a contatto con l'orizzonte degli eventi, un oggetto o un fotone presenti nella ergosfera possono ancora allontanarsi dal buco nero, sfruttando un moto parzialmente radiale (12)

Stiamo ovviamente parlando del "disco di accrescimento", quella ciambella che caratterizza i buchi neri di Einstein in rotazione, e da cui procede la radiazione elettromagnetica che sarà catturata dai nostri strumenti a grande distanza.

Non mi dilungherò qui sui processi che "illuminano" il disco di accrescimento, su come la sua immagine venga deformata a causa dell'estrema gravità presente nei pressi di un buco nero, sul tipo di proiezioni che ci è dato vedere dalla nostra posizione distante.

Basterà ricordare che la magnetoidrodinamica relativistica - di cui Rezzolla è specialista - insieme alla RG hanno permesso di creare un set di immagini, costruite con simulazioni su supercomputers che ci informano su quale dovrebbe esser l'aspetto di un buco nero con le caratteristiche di quelli indagati (13)

Tali immagini vengono poi confrontate con i dati ricavati dall'integrazione delle osservazioni effettuate dalla rete di radiotelescopi EHT al fine di identificare quali siano le caratteristiche dei buchi neri indagati.




Oggetto del mio post è indicare i limiti dei dati ottenuti con la rete EHTC e rispondere sinceramente alla domanda: "potremmo aver visto qualcos'altro ed averlo creduto un buco nero di Einstein?"


Sia la Relatività Generale che teorie della gravità ad essa alternative prevedono soluzioni che identificherebbero altri oggetti in grado di curvare fortemente lo spaziotempo oltre al classico "buco nero di Einstein" dotato di singolarità.

Rispetto ad una stella di neutroni, oggetto con un elevato grado di compattezza, un buco nero è sostanzialmente "vuoto": tutta la massa risulta concentrata nel suo punto centrale ed un orizzonte degli eventi impedisce qualunque tipo di osservazione al suo interno.

Condizioni come queste comportano spiacevoli effetti per quanto riguarda la compatibilità tra Teoria della Relatività e Teoria dei Quanti (14)

Esiste una classe di (ipotetici) oggetti astrofisici molto compatti che sono stati definiti "black hole mimickers", e cioè "imitatori di buchi neri": dotati di molte proprietà simili a quelle dei buchi neri, per un osservatore distante risultano rispetto ad essi indistinguibili.


- Le "gravastars", o stelle gravitazionali, rappresentano una soluzione simmetrica (sferica) alle equazioni di Einstein proposta da Pawel O. Mazur ed Emil Mottola nel 2004.

Una gravastar - qualora esistesse - sarebbe caratterizzata da un nucleo interno costituito da un genere di materia in grado di esercitare una "pressione negativa", racchiuso in un guscio sottilissimo formato da un altro tipo di materia che esercita una pressione positiva elevatissima.

Il nucleo - dove la pressione è negativa - si potrebbe assimilare ad un piccolo universo in espansione: uno "spaziotempo di de Sitter" del tutto simile a quello che costituisce oggi il nostro universo in espansione accelerata.

La "buccia" esterna, con la sua tendenza a collassare, bilancerebbe esattamente la forza esercitata dal nucleo, fornendo al corpo astronomico un assetto stabile.

L'indice di compattezza (Massa / raggio) per una gravastar si dovrebbe avvicinare al valore limite pari a 0.5 (quello di un buco nero) senza tuttavia raggiungerlo.

Il vantaggio di considerare una gravastar invece di un buco nero è quello di eliminare d'un colpo solo l'ipotesi dell'esistenza di un orizzonte degli eventi (il suo raggio risulterebbe di poco maggiore rispetto ad un buco nero con la stessa massa) e quella di un vuoto tra quest'ultimo e la singolarità.

La sua superficie di questo ipotetico oggetto risulterebbe rigida come quella di una stella di neutroni, ed il suo interno omogeneo quanto a densità.


- I "wormholes", o cunicoli spaziotemporali (15)

Al pari dei buchi neri sono soluzioni ricavabili dalle equazioni di Einstein; oggetti estremamente compatti, lo sono leggermente meno dei black holes.

La profonda curvatura che un wormhole scava nello spaziotempo permette - ipoteticamente - di unire due regioni distanti ed asintoticamente piatte, così da realizzare un "tunnel nello spaziotempo", una "shortcut" per muoversi quasi istantaneamente tra zone dello spazio tempo a grande distanza, ignorando il limite imposto dalla velocità della luce.

Kip Thorne (16) ha dimostrato che eventuali wormholes microscopici potrebbero aprirsi e chiudersi rapidamente in una spuma quantistica.

Wormholes di dimensioni maggiori, qualora un giorno si disponesse della tecnologia per poterli creare, potrebbero esser tenuti aperti dalla presenza di "materia esotica", e cioè dotata di massa o energia negativa.

Il raggio di un wormhole risulta appena più grande di quello dell'orizzontedi un buco nero di massa equivalente: se immaginiamo un wormhole con la classica forma a collo di clessidra, la sezione del punto più stretto deve per forza esser più grande di quella dell'orizzonte per evitare il collasso in un buco nero.

Mentre come abbiamo visto le gravastars sono "piene" di materia ed hanno una superficie, i wormholes ne sono sprovvisti: come i buchi neri rappresentano infatti una soluzione nel vuoto.

Anche i wormholes presentano una compattezza elevata, appena inferiore al limite 0.5 proprio dei buchi neri.


Seppur entrambe questi ipotetici "oggetti" rappresentino soluzioni lecite alle equazioni di Einstein, a differenza di quanto succeda relativamente ai buchi neri (17) non abbiamo idea di quali processi astrofisici potrebbero consentirne la formazione.

In entrambi i casi poi è richiesta la  presenza di "materia esotica", e cioè materia le cui proprietà - energia e pressione - sarebbero del tutto diverse da quelle che riscontriamo per la materia che ci circonda finora osservata.

Poiché caratteristica delle soluzioni offerte dalla Relatività Generale è quella di "godere di unicità", e cioè non possono esistere soluzioni diverse dotate delle stesse proprietà, si rende necessario identificare gli aspetti che distinguono gravastars e wormholes dai buchi neri.

Nel caso delle gravastars l'analisi della sola radiazione elettromagnetica è inadatta a trovare differenze: le simulazioni realizzate da Rezzolla ed il suo team non mostrano differenze significative rispetto ai buchi neri nei rispettivi rendering.

Tuttavia un modo per distinguerli ci sarebbe: nel caso vengano emesse onde gravitazionali, i nostri rilevatori, qualora dotati di sufficiente sensibilità, sarebbero in grado di riconoscere una diversa impronta.

Una gravastar infatti è caratterizzata da un corpo solido "pieno di materia esotica", mentre al contrario un buco nero è vuoto a partire dall'orizzonte degli eventi sino alla singolarità al suo centro.

Perturbando pertanto questi due oggetti otterremmo onde gravitazionali dall'aspetto decisamente diverso e dunque potremmo identificarli con sicurezza (18)


Cosa potremmo aver visto con EHT in alternativa a due buchi neri di enormi dimensioni al centro delle rispettive galassie (M87* e Sagittarius A*)?


Luciano Rezzolla con il suo team se lo sono chiesto ed hanno selezionato due alternative da sottoporre a verifica:


1) Un buco nero dilatonico.

I buchi neri dilatonici rappresentano una soluzione relativa ad una teoria della gravità alternativa alla Relatività Generale: la teoria della gravità composita di Eisntein Maxwell-dilatone-assione.

In questa teoria le equazioni di Einstein-Maxwell vengono accoppiate ai campi scalari di dilatone ed assione, la cui esistenza non è finora stata provata.

Rispetto alla Relatività Generale è prevista la presenza di un ulteriore campo scalare, il "dilatone" (19).

I buchi neri dilatonici, così come i buchi neri di Einstein, sono dotati di orizzonte degli eventi.


2) Una stella di bosoni.

A differenza dei buchi neri dilatonici, costituisce una soluzione alle equazioni della Relatività Generale, pur non essendo la sua esistenza ancora provata.

La stella di bosoni non possiede un orizzonte degli eventi, tuttavia presenta una compattezza confrontabile con quella dei buchi neri.

Il suo comportamento dovrebbe esser molto simile a quello di oggetti quali i wormholes, essendo trasparente ai fotoni (20)


Il Team di Rezzolla ha realizzato simulazioni numeriche relative a 3 oggetti compatti con la stessa massa, dotati di disco di accrescimento: nella figura qui sotto, a sinistra il rendering di un buco nero di Kerr, in centro quello di un buco nero dilatonico ed a destra quello relativo ad una stella di bosoni.


La comparazione dei rendering esclude una possibile confusione tra buco nero di Kerr e stella di bosoni in quanto quest'ultima presenta un disco di accrescimento molto più piccolo.

La conclusione dello studio è che invece sia impossibile - allo stato attuale della tecnologia - distinguere con certezza un buco nero di Kerr (soluzione della Relatività Generale di Einstein) rispetto ad un buco nero dilatonico (soluzione mutuata da una teoria della gravità alternativa a quella di Einstein).

Dunque ecco il motivo per cui sulle pubblicazioni scientifiche che trattano delle due "fotografie" relative a M87* ed a SrgA* si parla di "prima immagine di un buco nero" e non di "prima immagine di un buco nero di Einstein".


Per avere ulteriori conferme sarà necessario attendere osservazioni condotte con la tecnica VLBI a risoluzioni decisamente superiori (magari integrando satelliti realizzati allo scopo).

Nel frattempo la collaborazione EHTC ha previsto nuove osservazioni nei prossimi anni che potrebbero portare altre informazioni utili a meglio definire gli oggetti di studio: poiché simulazioni hanno dimostrato che la variabilità del flusso di accrescimento è diversa per buchi neri diversi, la realizzazione di nuove immagini prese in tempi successivi consente di fornire informazioni sulla dinamica che oggi sfuggono ad un esame di sole due immagini statiche.



Note:


(1)
Luciano Rezzolla è titolare della cattedra di astrofisica teorica alla Goethe Universität di Francoforte sul Meno e Andrews Professor of Astronomy presso il Trinity College di Dublino.

Nel 2014, insieme a Heino Falcke e Michael Kramer, ha ricevuto un Grant di 14 milioni di euro dalla European Research Council destinato alla costruzione di una "Black Hole Camera" (BHC) la quale, utilizzando i dati raccolti tramite la collaborazione EHT, permettesse di testare la teoria della Relatività Generale attraverso la realizzazione di un'immagine dell'ombra di un buco nero.

BlackHoleCam si avvale della collaborazione di 32 università - in Europa ed in Sudafrica - ed agisce coordinandone le capacità.


(2) Con l'espressione "buco nero di Einstein" si intende una qualsiasi soluzione alle equazioni della Relatività Generale che preveda la presenza di una singolarità circondata da un orizzonte degli eventi: tutta la massa risulta concentrata in un solo punto centrale oppure in un anello ad una sola dimensione, per cui si può parlare di soluzioni "nel vuoto".

Nel caso specifico, quelli indagati da EHT sono due buchi neri supermassicci che si presume ruotino intorno al proprio asse.

Tale presunzione non deriva dall'analisi dei dati raccolti da EHTC, ma da osservazioni fatte in precedenza da altri scienziati al fine di misurare l'energia prodotta dall'emissione di radiazione nel getto relativistico di M87*: i dati così raccolti escludono possa trattarsi di buchi neri non rotanti (i quali secondo modelli teorici producono anch'essi getti, ma decisamente più deboli).

Nonostante questo "extra" di informazione, ad oggi non sappiamo né la velocità di rotazione, né la direzione (lo spin).


(3) Si parla genericamente di "disco di accrescimento"; tuttavia tale disco - a differenza ad esempio degli anelli di Saturno - è caratterizzato da uno spessore variabile a seconda della distanza dal centro, cosa che lo fa assomigliare più alla figura geometrica di un "toro".



(4) E' la banda di frequenza della radiazione elettromagnetica compresa tra 0 e 300 GHz, caratterizzata da una lunghezza d'onda maggiore di 1 mm.

Le osservazioni sono state ottimizzate per osservare un oggetto la cui dimensione proiettata sulla volta celeste sia paria a qualche decina di microsecondi di arco (quale si stimava - senza esserne tuttavia sicuri - fosse la risoluzione necessaria ad individuare i due buchi neri obiettivo delle osservazioni): in particolare una lunghezza d'onda pari a 1.3 mm (circa 230 GHz).


(5) L'equazione di campo alla base della Relatività Generale mette in relazione il Tensore di Einstein G(μν) con il Tensore energia-impulso T(μν).


Il primo (proporzionale al tensore di Riemann) rappresenta una misura della curvatura dello spaziotempo, il secondo misura invece la quantità di energia/materia ivi presente.

(6) La velocità di fuga "v(f)" si può ricavare dalla compattezza (rapporto tra Massa e raggio, "M/r") di un corpo autogravitante:

       v(f) = sqr(2 M / r G)

dove G è la costante gravitazionale.

Essa risulta dunque indipendente dalla massa dell'oggetto lanciato, ma direttamente proporzionale alla compattezza (M/r) della sorgente del campo gravitazionale.


(7) Naturalmente ogni oggetto o fotone che si trovi all'interno di questa superficie (orizzonte degli eventi) potrà procedere soltanto verso zone più vicine al centro della sfera da essa delimitata.


(8) Come si ricava il valore del raggio di Schwarzschild, e cioè la distanza dell'orizzonte degli eventi dalla singolarità centrale.

L'orizzonte degli eventi si può definire come il luogo dei punti dove la "v(f)" e cioè la velocità di fuga risulti pari a "c", la velocità della luce, che rappresenta il limite massimo di velocità (nel mezzo) stabilito dalla Relatività.

Se sostituiamo il termine "v(f)" con "c" nell'equazione relativa alla velocità di fuga presente in nota (5) otteniamo:

c = sqr(2 M/r G)

da cui elevando al quadrato entrambi i termini:

c^2 = (2 MG) / r

rc^2 = 2 MG

ed infine

r = 2 MG / c^2

Indichiamo il raggio di Schwarzschild con il simbolo "r(s)" che risulta dunque eguale a:

r(s) = 2 MG / c^2

Semplificando, possiamo affermare che il raggio di Schwarzschild è il raggio di un oggetto la cui compattezza sia pari a 0.5, e cioè:

M/r= 1/2


(9)  Il momento angolare di un buco nero, indicato con il termine "J" è compreso in un intervallo ben definito.

Può ruotare in senso orario oppure antiorario a velocità comprese tra "0" (buco nero non rotante detto "di Schwarzschild") e velocità prossime a quella della luce ("c")

Possiamo ricavare lo spin adimensionale ponendo:

J/M^2

ed ottenendo così un valore compreso tra -1 e +1.


(10) Il Big Bang con la sua esplosione ha dotato di movimento la materia primordiale che componeva l’universo.

La legge di conservazione del moto stabilisce che in un qualsiasi insieme isolato la quantità di moto complessiva debba rimanere costante: dunque se un oggetto rallenta, un altro deve per forza accelerare.

Quando gli atomi delle nubi interstellari si sono addensati a formare stelle e pianeti, la loro quantità di moto si è trasferita a questi ultimi, dotandoli così degli unici due movimenti possibili per un corpo sferico: traslazione nello spazio e rotazione su se stessi.

Questo fatto spiega la rotazione che osserviamo per ogni corpo stellare esaminato, Sole compreso.

Ma i buchi neri?

La legge di conservazione del momento angolare fa sì che, durante il collasso che trasforma la stella in buco nero, si conservi il momento angolare originario.

Chiaramente, essendosi il raggio contratto enormemente, il nuovo corpo ruoterà su sé stesso vorticosamente ad altissima velocità (spesso prossima a quella della luce).

Tale vortice generato dal buco nero trascinerà lo spaziotempo intorno all'orizzonte degli eventi creando il "disco di accrescimento": gli atomi della materia ivi presente vengono accelerati a velocità relativistiche e rilasciano fotoni che dopo un lunghissimo viaggio ci raggiungeranno consentendoci di ricevere informazioni, sotto forma di onde elettromagnetiche, da zone prossime all'orizzonte degli eventi.

Dunque non esistono buchi neri non rotanti?

Almeno in teoria è possibile che un buco nero rallenti la propria velocità di rotazione sino a fermarsi.

Roger Penrose nei primi anni 70 ha indicato un modo per "estrarre" energia rotazionale da un buco nero, in seguito battezzato "processo di Penrose".

Ne ho già parlato qualche mese fa in alcuni post che ho pubblicato sul gruppo "cronache dal silenzio":

Estrarre energia da un buco nero: parte prima

Estrarre energia da un buco nero, parte seconda

Uno sfruttamento intensivo di tale processo avrebbe come effetto quello di trasformare un buco nero di Kerr in uno di Schwarzschild.

Tuttavia tale trasformazione non rappresenterebbe uno stato finale del buco nero in quanto la materia ad esso esterna, attratta dalla sua gravità, che in un secondo tempo si troverà ad attraversare il suo orizzonte, finirà per cedergli la propria quantità di momento angolare, rimettendolo così "in moto".


(11) L'effetto è stato battezzato con il nome di "inertial-frame dragging effect", trascinamento dei sistemi di riferimento inerziali.

(12) Buchi neri, gusci di fuoco ed orbite complesse

(13) L'operazione non è semplice: disponiamo di pochissime informazioni: non sappiamo con quale inclinazione si presenti il disco di accrescimento rispetto a noi (quindi è necessario un rendering in diverse prospettive), la sua dimensione, la velocità e la direzione di rotazione.

Per ottenere maggiori informazioni sarà necessario disporre di una maggiore risoluzione, cosa ottenibile soltanto estendendo la dimensione virtuale di EHT (oggi pari alla dimensione del pianeta) con l'inclusione nella rete di qualche satellite dedicato al progetto.

(14) In particolare l'impermeabilità verso l'esterno dell'orizzonte comporta il cosiddetto "information loss paradox" (paradosso della perdita di informazione) evidenziato da Stephen Hawking.

Le informazioni circa le proprietà di un sistema non vanno mai perse, piuttosto si trasformano:

la legna brucia ma bruciando si trasforma in carbone e fumi partendo dai quali è possibile - in teoria! - ricavare le caratteristiche dell'oggetto che è bruciato.

Invece, nel caso di un oggetto che superi l'orizzonte degli eventi, l'informazione che trasporta va persa perché le uniche proprietà dei buchi neri sono quelle che già abbiamo indicato: massa, spin, carica elettrica.

In fisica quantistica lo stato di un sistema è descritto dalla sua funzione d'onda: assunto è che l'intera informazione sia racchiusa nella funzione d'onda, che e la sua evoluzione debba essere unitaria.

Ciò significa che, una volta specificate le condizioni iniziali della funzione d'onda, la sua evoluzione risulti pienamente determinata (universo deterministico).

Cadendo in un buco nero invece, diversi stati inizialmente distinti confluiscono in uno solo, divenendo così indistinguibili.

Naturalmente sono stati fatti parecchi tentativi per superare tale paradosso: Almheiri, Marolf,Polchinski e Sully tramite l'entanglement quantistico, Bousso con il principio della complementarietà degli osservatori, e molti altri.


(15) Ancora una volta è stato John Wheeler a battezzare con questo nome strambo una singolarità di questo genere in un articolo del 1957 scritto insieme a Charles Misner.

(16) Per una descrizione accurata del fenomeno vedi i suoi saggi divulgativi "Buchi neri e salti temporali" e "viaggiare nello spaziotempo"

(17) Le attuali conoscenze relative ai fenomeni astrofisici ci confermano come stelle massive (cioè con massa pari a 10 fino a 100 masse solari) seguano una evoluzione tale che, una volta esaurito il carburante necessario a contrastare la gravità, esse esplodano in supernova espellendo gli strati più esterni.

Tale processo porterà alla formazione di una stella di neutroni o di un buco nero a seconda della massa della stella originaria.


(18) Possiamo affermare con sicurezza che tutte le onde gravitazionali sino ad oggi rilevate dalla collaborazione LIGO/Virgo, rilasciate nella fase di coalescenza tra due corpi massicci, sono prodotte da fusioni di stelle di neutroni e/o di buchi neri, ma non da gravastars.

Le onde gravitazionali sono generate soltanto quando un corpo massiccio è in movimento, e con gli attuali strumenti a disposizione siamo in grado di captare solo i segnali provenienti da fusioni tra corpi di dimensione stellare.

Nella figura allegata (Fig 8.4) con il grafico "frequenza onda / ampiezza onda" vediamo i limiti cui sono soggetti gli interferometri LIGO/Virgo (ci permettono di rilevare GW emesse da fusioni di buchi neri di dimensione stellare e stelle di neutroni) e quali fenomeni sarà invece possibile investigare con la messa in opera del progetto LISA (buchi neri supermassicci come quelli di cui stiamo trattando).


(19) In teoria delle stringhe il dilatone è una particella di un campo scalare sempre associato con la gravità.

Sia il gravitone (mediatore della gravità) che il dilatone, che una terza particella associata ad un campo tensoriale a due indici completamente antisimmetrico (campo di Kalb-Ramond) compaiono come eccitazioni delle stringhe bosoniche chiuse, ovvero stringhe senza estremità libere.

il dilatone si combina con l'assione per formare un campo scalare complesso.

L'assione, il cui nome fu scelto da Frank Wilczek dal nome di un noto detersivo usato negli anni cinquanta, è invece un'ipotetica particella elementare ipotizzata dalla teoria di Peccei-Quinn per spiegare la non violazione della simmetria CP nell'interazione forte.

La violazione, prevista dalla cromodinamica quantistica, non è tuttavia mai stata osservata, in particolare per l'assenza del momento di dipolo elettrico nel neutrone (cosiddetto problema della CP forte).

Nel 2005 uno studio sperimentale (progetto PVLAS) ha fornito risultati che indicherebbero la rilevazione di assioni, non confermati da successivi esperimenti


(20) La struttura di una stella di bosoni è sferica come quella delle stelle costituite da materia ordinaria (cui componenti sono i fermioni:  protoni, neutroni, elettroni).

Le stelle bosoniche sarebbero composte soltanto da bosoni: fotoni, gluoni, il bosone di Higgs, Z e W).

I bosoni non seguono le stesse regole fisiche dei fermioni: ad esempio NON sono soggetti al principio di esclusione di Pauli (possono cioè essere sovrapposti).

Quando si uniscono, agiscono come un’unica grande particella o onda di materia (caratteristica verificata nel condensato di Bose-Einstein).

In una stella di bosoni le particelle possono essere compresse in uno spazio che può essere descritto con valori distinti o punti su una scala. Dato il giusto tipo di bosoni nelle giuste disposizioni, questo “campo scalare” potrebbe cadere in una disposizione relativamente stabile.

Le stelle di bosoni non fondono nuclei e non emetterebbero alcuna radiazione: sarebbero del tutto invisibili (come i buchi neri) ma a differenza di questi ultimi risulterebbero trasparenti alla radiazione elettromagnetica: mancherebbe infatti una superficie in grado di assorbire e fermare i fotoni.

I fotoni possono dunque sfuggire alle stelle di bosoni, sebbene il loro percorso possa essere leggermente piegato dalla gravità.

Alcune di esse potrebbero essere circondate da un anello rotante di plasma, molto simile al disco di accrescimento che circonda un buco nero: si presenterebbe come una ciambella luminosa con una regione scura all’interno, simile all'immagine ottenuta da EHT.






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