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giovedì 18 febbraio 2021

Le ragioni dello scetticismo di una parte della comunità scientifica circa l'esistenza di vita intelligente al di fuori del nostro pianeta.

Soltanto un secolo fa Albert Einstein fu costretto ad introdurre nell'equazione che descriveva la relatività generale quella che chiamò "costante cosmologica" (un errore del quale si dispiacerà negli anni seguenti) per giustificare un fatto anomalo, inspiegabile con le conoscenze del tempo: il mancato collasso di tutti i corpi celesti verso il centro della galassia, conseguenza dell'attrazione gravitazionale esercitata reciprocamente dagli stessi.

L'universo a quel tempo lo si riteneva in una situazione di sostanziale immobilità, occupato da un'unica galassia, la Via Lattea.




Infatti soltanto negli ultimi giorni del 1924 Edwin Powell Hubble, basandosi sul lavoro di Henrietta Leavitt a proposito delle Cefeidi, identificò la nebulosa di Andromeda come galassia indipendente dalla nostra (per dettagli vedi la scoperta delle galassie).
Nel giro di pochi anni fu chiaro come la nostra fosse soltanto una delle innumerevoli galassie esistenti; analizzandone lo spettro luminoso Hubble fu in grado di ricavare la velocità con cui queste sembravano allontanarsi l'una dall'altra, un valore crescente all'aumentare della distanza.

Nacque così il modello dell'universo in espansione dove "a gonfiarsi" è la struttura stessa dello spazio tempo; la costante cosmologica introdotta da Einstein per "bilanciare" l'attrazione gravitazionale non era più necessaria in tali termini.

All'origine del fenomeno espansivo, osservato sperimentalmente, si ritenne debba essersi verificato in passato un fenomeno esplosivo: nel marzo 1949 l'astronomo Fred Hoyle, parlando alla BBC, lo definì con un termine oramai divenuto d'uso comune, il "big bang".

Circa vent'anni fa Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt ed Adam Riess, basandosi sull'osservazione di alcune supernove di tipo Ia presenti in galassie lontane, scoprirono che la velocità con la quale l'universo si espande è aumentata rispetto al passato (siamo cioè in una fase definita "di espansione accelerata").

Secondo le più recenti stime il nostro universo ha un'età di poco inferiore ai 14 miliardi di anni e contiene circa 2 trilioni (2000 miliardi) di galassie.


Con il nuovo millennio si è aperta la caccia agli esopianeti: cioè pianeti in orbita a stelle diverse rispetto al nostro Sole.
Nelle ultime due decadi ne sono stati identificati un numero significativo: al 12 febbraio 2021 ne risultano identificati ben 4.679 in 3.456 sistemi planetari diversi (vedi esopianeti o pianeti extrasolari)
Sembra proprio che la presenza di pianeti intorno ad una stella sia una caratteristica comune in tutto l'universo.

Una recente stima valuta in 50 triliardi il numero di pianeti esistenti nell'universo osservabile: 50 triliardi di pianeti che si sono formati nel corso dei 13.7 miliardi di anni, l'età dell'universo.

La formazione della Terra dalla nebulosa proto planetaria risale a 4,5 miliardi di anni fa, un terzo dell'età complessiva dell'Universo. 
La vita sembra vi sia comparsa in un periodo stimato tra i 4,4 ed 2,7 miliardi di anni fa.
L'origine della nostra specie (homo sapiens) è molto più recente: risale a 300 mila anni fa.
Solo da poco più di un secolo abbiamo iniziato ad inondare lo spazio intorno al nostro pianeta con segnali radio e TV, rendendo così rilevabile la nostra esistenza da chi sia eventualmente "in ascolto" al di fuori del nostro habitat.
Viaggiando alla velocità della luce, i nostri segnali hanno sinora coperto una distanza pari a circa 100 AL.

Potremmo pertanto chiederci, dato che la presenza di pianeti orbitanti intorno alle stelle sembra essere una costante nell'universo, se sia comune anche la presenza di forme di vita, quanto meno su quelli che si trovano in una posizione particolare rispetto al proprio astro - definita "zona circumstellare abitabile o ecosfera" - tale da consentire la presenza di acqua allo stato liquido.

Dati l'età e la vastità dell'universo, la numerosità dei pianeti che si suppone orbitino all'interno dell'ecosfera della propria stella, il tempo che è stato necessario sul nostro pianeta allo sviluppo di una vita "intelligente", non dovrebbe esser ragionevole supporre che "là fuori" esista un numero enorme di forme di vita aliena, delle quali una parte si è sicuramente evoluta in specie dotate di eccellenti capacità cognitive, dando così luogo alla nascita di Civiltà Extra Terrestri (CET) con un sufficiente corredo tecnologico tale da permetter loro di comunicare con la nostra?


Questa domanda non è nuova; già verso la metà del secolo scorso si dice che Enrico Fermi abbia obiettato ad un interlocutore "... se l'universo brulica di alieni, dove sono tutti quanti? ...", dando così i natali a quello che verrà chiamato "il paradosso di Fermi".


Sono dunque quasi 70 anni che la comunità scientifica si interroga per trovare una soluzione al pesante silenzio che circonda il nostro rumoroso pianeta.

Nel frattempo "il paradosso di Fermi" ha stimolato moltissime indagini in ambiti diversi della scienza, costituendo così un "acceleratore" della ricerca scientifica di cui hanno beneficiato molte discipline.

Nel 2018 il fisico Stephen Webb ha raccolto e dettagliato in una sua pubblicazione ben 75 "soluzioni al paradosso".
D
opo aver analizzato in profondità le prime 74 
(della soluzione n.33 ho già scritto su questo blog), formulate nel corso degli anni da menti brillanti operanti in quasi ogni campo della ricerca scientifica, presenta in finale la propria.

La premessa posta da Webb in capo al 75esimo capitolo suona così:

"…l'argomento rimane così inafferrabile che permette a persone oneste di giungere a conclusioni opposte…".

Con ciò vuol dire che, ad oggi, non è ancora stata identificata una prova definitiva dell'esistenza (o non esistenza) di civiltà aliene, e che comunque le argomentazioni addotte per ognuna delle 74 soluzioni (a favore o contrarie alla presenza di CET nel nostro universo) sono tutte non banali e parimenti degne di rispetto.

Dopo un tale distinguo Webb procede chiedendosi quale possa essere il vero motivo che ha spinto (e continua a spingere) moltissime persone a professar fede nell'esistenza di altre forme di vita intelligente.

Sostiene esista una risposta 
diversa a seconda dell'appartenenza "dei credenti" ad una delle seguenti classi:

1) i "non scienziati".

La loro fede "cieca" si basa su quello che l'autore definisce "una risposta alla Douglas Adams" (vedi nota 1), riassumibile nel seguente dogma:

" l'universo - costituito dalle combinazioni di un limitato numero di componenti fondamentali - è così grande che per forza da qualche altra parte deve essersi evoluta una qualche forma di vita intelligente".

Limite di questo dogma è rintracciabile nel fatto che l'universo si presenti ai nostri occhi e strumenti sì immenso, ma soprattutto vuoto!

Dove non è vuoto, esso risulta - almeno in base alle attuali conoscenze - costituito per oltre il 95% dalle cosiddette "materia ed energia oscura".
Si tratta di entità delle quali non sappiamo quasi nulla (ne deduciamo l'esistenza dagli effetti gravitazionali che notiamo sulla materia ordinaria, e dall'accelerazione dell'espansione dell'universo, altrimenti non spiegabile), ma - afferma l'autore - "... possiamo esser sicuri non si tratti di mattoni fondamentali utili alla costruzione di esseri viventi...".

(Personalmente non concordo con questa affermazione: in nota 2 è espressa la mia opinione personale).

Recenti osservazioni ci informano come il restante 5% - costituito da atomi, neutrini e radiazioni - sia dotato di un grado di diffusione uniforme, cosicché la maggior parte dei suoi costituenti non si troverebbe in uno stato tale da consentire lo sviluppo di ciò che chiamiamo "vita".

(Anche in questo caso ho un'opinione differente rispetto all'autore che ho espresso in 
nota 2a).

In conclusione, secondo Webb non si riscontra alcun collegamento logico tra la dimensione dell'universo e la probabilità di trovarvi esseri intelligenti.

2) i "fisici".

A differenza del gruppo precedente, i fisici "credenti" nell'esistenza di una vita intelligente aliena difendono la propria opinione basandosi sui numeri.

Invece di parlare di dimensioni dell'Universo, essi utilizzano a sostegno della propria opinione considerazioni basate sulla stima del numero di pianeti rocciosi di tipo terrestre posti in una fascia "abitabile" (cioè ad una distanza dalla propria stella tale da consentire la presenza di acqua allo stato liquido) riscontrabili nello stesso.

La più recente disponibile - basata su un minuscolo campione di esopianeti fino ad oggi individuati in un'area occupata da stelle che distano al massimo 200 AL dal Sole - valuta in circa 100 miliardi (10^11) il numero di pianeti simili al nostro presenti all'interno della nostra galassia, e dunque in 50 triliardi il loro numero totale nell'intero universo osservabile (vedi nota 3).

Webb si chiede cosa significhi l'espressione "un numero davvero grande", e per dare una risposta richiama la nostra attenzione su uno studio realizzato dal matematico Ronald Graham.

Fine di tale studio era offrire la risposta ad un problema all'apparenza banale: ho deciso di non tediarvi con la sua storia che tratta di commissioni, sottocommissioni e di gruppi.

In soldoni, Graham dimostrò che la soluzione al quesito "delle commissioni" consiste in un numero compreso tra 6 ed un valore enorme che da quel momento viene indicato con il simbolo "G", che sta per "il numero di Graham" (
vedi nota 4).

"G" è così grande che non basta tutto l'universo per scriverlo in notazione decimale.   Sappiamo tuttavia quali siano le sue ultime 10 cifre: …2464195387.

Esistono numeri ancora più grandi di "G" che vengono in genere utilizzati soltanto da chi si occupa di calcolo combinatorio: ad esempio i matematici che lavorano sull' algoritmo di Kruskal usano numeri di una tale grandezza che fanno sembrare "G" addirittura minuscolo!

Quindi quando pensiamo che 50 triliardi di pianeti sia un numero enorme, tale da giustificare l'ipotesi che debba esistere la vita intelligente su almeno una frazione di essi, ignoriamo il fatto di non sapere quale sia la frequenza della vita intelligente.
Per ora sappiamo per certo che soltanto su UNO di essi
, il nostro, risultano presenti forme di vita da oltre 3 miliardi di anni, e che da queste si sia evoluta una forma di vita intelligente soltanto molto più recentemente.

Se un domani risultasse una frequenza riscontrata pari ad un valore "1/G", la presenza in tutto l'Universo di 50 triliardi di pianeti simili al nostro  perderebbe significato rispetto alla possibilità di trovare vita intelligente al di fuori della Terra.

Il dogma implicito dei "fisici credenti" presuppone che all'insorgere del fenomeno che indichiamo con il nome generico di "vita" debba per forza conseguire nel tempo lo sviluppo dell'intelligenza.


3) "gli scienziati della vita".

I biologi sono in maggioranza scettici circa la presenza nel nostro universo di vita intelligente aliena.

Seppur possibilisti riguardo alla generica esistenza della "vita" su pianeti e satelliti extrasolari, contestano fermamente l'assunto secondo il quale l'insorgere dell'intelligenza costituisca un processo automatico una volta manifestatesi spontaneamente forme di vita primitive.

"…Gli scienziati della vita tendono a ritenere la vita intelligente non tanto inevitabile, quanto non plausibile…", scrive Webb in proposito.

Ne sarebbe dimostrazione il fatto che i
 primi colonizzatori del nostro pianeta - gli "archea" ed i batteri - sono ancora qui tra noi, ed in più di 3 miliardi di anni nessuna pressione evolutiva li ha costretti a sviluppare una forma di intelligenza: dunque l'intelligenza non serve loro per sopravvivere, così come per i funghi e le piante.

E' opportuno sottolineare che tra i "phyla" del regno animale soltanto i cordati hanno sviluppato un'intelligenza primitiva, il cui livello è accresciuto con la separazione dei vertebrati, dei mammiferi ed infine dei sapiens, unica specie presente sul nostro pianeta dotata di un grado di intelligenza sufficiente ad interrogarsi su sé stessa e sviluppare una tecnologia in grado di consentire tentativi di comunicazione al di fuori dell'ambiente originario.

Conclusioni.

Dobbiamo pertanto prender atto di quanto segue:

Non sappiamo quale sia la frequenza dell'evento "formazione spontanea di materia organica a partire da materia inorganica".

Non abbiamo idea del periodo necessario all'evoluzione di una forma di vita intelligente a partire da forme primitive: in base alla sola esperienza maturata sul nostro pianeta sembrerebbe nell'ordine di oltre 3 miliardi di anni, un intervallo di tempo enormemente lungo durante il quale le condizioni necessarie alla conservazione di un ambiente favorevole alla vita devono esser presenti in modo continuativo, cosa tutt'altro che scontata (vedi nota 5).

Non sappiamo neppure se l'evoluzione di una forma di vita intelligente, a partire da forme più semplici, sia davvero qualcosa di ineluttabile.

La stragrande maggioranza delle specie che OGGI vivono sul nostro pianeta, pur con una storia alle spalle molto più lunga della nostra, non si è mai dotata di un'intelligenza avanzata; molte di esse potrebbero invece agilmente sopravvivere a cataclismi in grado di provocare la nostra scomparsa.

Al termine di questa panoramica, Webb ci stupisce affermando che chi crede all'esistenza di forme di vita intelligenti aliene, sia in realtà alla ricerca

"…di noi stessi là fuori…"!

Cioè di una forma di vita intelligente, che abbia sviluppato consapevolezza ed autocoscienza, con una disponibilità di risorse sufficiente a trasformare materie prime in utensili, e soprattutto con la necessità di farlo (una cosa non scontata!).

"Fabbricatori" che, spinti dal bisogno di comunicare in quanto specie numerosa i cui individui non sono autosufficienti, hanno sviluppato un linguaggio intellegibile.
Tale linguaggio ha loro permesso di creare reti sociali e "gruppi" di individui così numerosi da poter beneficiare dei vantaggi di ciò che indichiamo con il termine di "civiltà".

E che di conseguenza abbiano sviluppato strumenti della scienza e della matematica tali da poter fornir loro i mezzi per soddisfare la curiosità su cosa accada al di fuori del proprio ambiente.

Se sulla Terra, nonostante la presenza di tutte le condizioni necessarie, soltanto UNA tra milioni di specie diverse si è evoluta così da acquistare un'intelligenza sufficientemente avanzata per interrogarsi su sé stessa, quale potrebbe essere una stima attendibile affinché una cosa simile possa accadere su uno dei restanti triliardi di pianeti simili al nostro?

L'autore conclude il libro con una celebre frase pronunciata dal biologo Jacques Monod:

"l'uomo finalmente sa di essere solo nell'indifferente immensità dell'universo, dal quale è nato per caso".


Se davvero noi sapiens costituissimo l'unica specie cosciente nell'intero Universo, allora la nostra responsabilità nei confronti di quest'ultimo sarebbe enorme!

Scrive il fisico Max Tegmark nel cap. 6 ("Vita 3.0", 2018) intitolato "la dote cosmica" :

"… Il rischio di estinzione della nostra specie, dovuto alle conseguenze di nostre azioni (quali un'apocalisse nucleare, un cambiamento climatico innescato dai nostri comportamenti, lo sviluppo di AI con finalità non convergenti con quelle della nostra specie, e così via) ci pone di fronte all'ipotesi del permanere di un universo disabitato:
un'enorme rappresentazione priva di spettatori ".

Per finire, ecco il link ad un Ted Talk di Stephen Webb dal titolo "Dove sono tutti gli alieni?":







Note:

(1) Douglas Adams è lo scrittore di fortunati "science fiction best sellers" degli anni '70, tra i quali spicca "Guida per autostoppisti galattici".     
E' stato il creatore del mito relativo al "numero 42" quale "risposta finale ad ogni domanda".
Se su Wikipedia provi a digitare "42" verrai reindirizzato al seguente link:  "42: la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto .

(2) La mia personale opinione diverge rispetto a quella dell'autore in quanto ritengo l'esperienza finora accumulata circa il fenomeno cui abbiamo dato il nome di "vita" sia troppo limitata, e si riduca di fatto ad un solo esempio: la vita sviluppatasi sul pianeta Terra, basata sul carbonio e sulla presenza di acqua liquida.

Indagini condotte sul nostro pianeta hanno portato in tempi recenti a ritrovare batteri in ambienti definiti in precedenza "ostili alla vita"(vedi batteri estremofili): fino al momento del loro rinvenimento le nozioni scientifiche negavano la possibilità di una loro esistenza.

A smentire una nostra convinzione radicata, mai messa in dubbio né dalla scienza, né dalla filosofia e neppure dalle religioni, lo sviluppo delle AI ha dimostrato come intelligenza e coscienza possano e
sistere separatamente l'una dall'altra.

Una AI può infatti presentare un grado di intelligenza - in campi specifici - assai più elevato rispetto ad un essere umano (battendolo a scacchi, a Go, a Jeopardy, traendo conclusioni più veritiere nell'utilizzo di strumenti per la diagnostica per immagini, e così via), pur risultando, almeno per il momento, priva di autocoscienza.

In merito si consultino i miei post presenti su questo blog:

Il significato del termine creatività ed il codice umano 

Il futuro dell'evoluzione sul pianeta Terra 

-  Affrontiamo il problema della definizione di cosa sia la coscienza da un'altra prospettiva

- Il mistero della coscienza, i CCN ed i pazienti sottoposti a "split brain"

- Il futuro dell'evoluzione sul pianeta Terra, 


Nulla vieta dunque a mio avviso di immaginare che particolari configurazioni di energia e materia - oscura o no - possano essere (o divenire) coscienti e/o presentare un certo grado di intelligenza.
Ne sappiamo ancora troppo poco sul tema per poter escludere a priori tale ipotesi.

Non sono certo l'unico a pensarla in questo modo: consiglio in merito la lettura del saggio "Vita 3.0" di Max Tegmark e di "Zen e multiversi" del fisico Anthony Aguirre, fondatori del Future of Life Institute (FLI) più volte citato nel mio blog.






(2a) In linea con quanto ho affermato nella nota precedente, nulla vieta di immaginare l'esistenza di esseri per noi inconoscibili a causa di una diversa scala spaziale (ordini di grandezza enormi o infinitesimi) o temporale (le cui azioni si sviluppano in eoni o in tempi rapidissimi, ragion per cui non possiamo percepirle).

Forme di vita costituite da configurazioni di materia o energia - "oscure" o meno - in ordini di grandezza (e di tempo) incompatibili con la nostra. 


(3) La stima del numero totale di pianeti esistenti nel nostro universo (50 triliardi) è stata ottenuta moltiplicando il numero di pianeti di tipo terrestre che si stima siano presenti nella Via Lattea (100 miliardi e cioè 10^11) per 500 miliardi di galassie, valore quest'ultimo ricavato a partire dalla densità media di galassie riscontrata nella parte di Universo finora osservata, utilizzato poi quale stima della densità relativa all'intero Universo.

(4) Per ricostruire la storia del numero di Graham e capire la sua immensità ecco una breve spiegazione.

Don Knuth introdusse l'operatore "^" (lo troviamo sulla tastiera del nostro computer ed è usato per elevare a potenza un numero) nell'uso corrente della programmazione al fine di evitare ricorsività quali il dover scrivere  "m x m x m x …x m"
(dove m viene moltiplicato per sé stesso n volte) utilizzando la notazione "m^n".

2 x 2 x 2 x 2  viene scritto come 2^4

    

La "tetrazione" è un'operazione derivata dall'uso del simbolo "^" ripetuto diverse volte:
con "m ^^ n" si intende "m ^ m ^ m…^ m"
cioè m elevato a m, elevato a m .. per n volte).

Eccone qualche esempio:

3^^2 = 3^3^3 = 27

ma basta aumentare da 2 a 3 il valore a destra del simbolo di tetrazione per ottenere:

 3^^3 = 3^3^3 = 3^27  che è pari ad un numero all'incirca 7x10^12 cioè 7600 miliardi.

Se aumentiamo ancora di una unità (da 3 a 4) il valore a destra del simbolo di tetrazione, otteniamo:

 3^^4 = 3^7625 miliardi di volte

Si tratta di un numero enormemente superiore a quello di tutte le particelle dell'universo conosciuto!

Se scriviamo "m^^^n" ci troviamo di fronte ad una "tetrazione ricorsiva".

3^^^3 è pari a 3 elevato alla terza per ben 7600 miliardi (circa) di volte.

Arriviamo ora a G (il numero di Graham).

Si parte da 3^^^^3 e lo si definisce "g 1"

g 2 = 3 seguito da tanti "^" quanti indicati dal numero g1

g 3 = 3 seguito da g 2 "^" tra i 3

G (numero di Graham) = g 64.

Ecco quindi come "l'enorme numero di pianeti tipo Terra" stimato esistere nell'universo (50 triliardi) costituisca una cifra irrisoria rispetto al numero rappresentato da G.

(5) L'universo risulta un posto molto pericoloso poiché i corpi celesti che lo costituiscono sono in continuo movimento e trasformazione.

Le caratteristiche caotiche proprie del clima di pianeti quali il nostro potrebbero causare repentine mutazioni allo stesso, tali da renderne l'habitat improvvisamente inadatto ad ospitare la vita: pensiamo all'evoluzione seguita da Marte e Venere, corpi celesti le cui condizioni iniziali erano simili a quelle della Terra qualche miliardo di anni fa.

Anche il moto dei pianeti e dei corpi minori è soggetto ad instabilità: scontri casuali, perturbazioni che contribuiscono a dirigere comete o asteroidi in rotta di collisione con pianeti più grandi, la mancanza di schermi naturali quali un grosso satellite.
La nostra Luna svolse a nostro vantaggio parecchie funzioni "stabilizzatrici" (oltre che "preservatrici"): stabilizzò l'inclinazione dell'asse terrestre permettendo un alternarsi di stagioni, rallentò la rotazione della Terra favorendo un'alternanza "giorno/notte" non troppo frequente, stabilizzò l'orbita terrestre contribuendo a "spazzarla" da detriti.

La galassia stessa è ricca di pericoli per la vita: intere sue aree sono "sterilizzate" da fenomeni estremi (quali l'evento di una supernova, l'attraversamento occasionale di un getto di raggi gamma proveniente da un buco nero o da una magnetar).

La Terra, insieme a tutto il sistema solare, compie una rivoluzione intorno al centro della galassia ogni 24 milioni di anni.

Questo significa che, da quando la vita è comparsa, il nostro pianeta ha già compiuto diverse rivoluzioni, ed attraversato zone pericolose (eventi ai quali, forse, sono da ricondursi le grandi estinzioni del passato).

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Parte del materiale di questo post è stato tratto da risposte che ho dato su Quora a domande inerenti presentatemi da frequentatori del social.

Ho di recente raccolto le domande presentate dai Quoristi cui ho dato risposta su un blog che potete ritrovare a questo link:

https://davidemolinaquora.blogspot.com/2021/01/risposte-fornite-su-quora.html

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