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martedì 14 gennaio 2025

L'universo primordiale potrebbe aver ospitato condizioni favorevoli ad un precocissimo sviluppo della vita: una ridefinizione delle caratteristiche biofiliche del cosmo.

Il carattere biofilico del nostro universo, e cioè la sua apparente "affinità" verso la vita, aveva già incuriosito George LeMaitre sin dagli anni 30. Non appena ebbe infatti realizzato che le equazioni della Relatività Generale implicavano una sua "data di nascita" (1) si interrogò sul motivo per cui l'evoluzione cosmologica, a partire dal Big Bang, avesse seguito un ritmo incostante (parlò infatti di "universo esitante"), tale da veder realizzate le condizioni favorevoli alla comparsa della vita sul nostro pianeta soltanto dopo diversi miliardi di anni.


Tale considerazione procede dal fatto che leggi fondamentali della natura insieme a costanti fisiche ed alle condizioni cosmologiche sembrano straordinariamente ben calibrate - il cosiddetto "fine-tuning" - in modo tale da permettere l'emergere e la sopravvivenza della vita: "... è come se l'universo avesse saputo che saremmo arrivati ..." scriveva in merito Freeman Dyson. Un'idea che, come vedremo tra poco, si collega al principio antropico.


Gli elementi che supportano l'idea di biofilia sono i seguenti:

  • Le costanti fisiche: la velocità della luce, la carica dell'elettrone e la costante gravitazionale hanno valori precisi, e si ritiene che pur minuscole variazioni in queste costanti possano render inadatto l'universo alla formazione di stelle e pianeti, o alla chimica necessaria per la vita.

  • L'abbondanza degli elementi necessari: gli elementi chimici essenziali per la vita "per come la conosciamo" (il carbonio, l'idrogeno, l'ossigeno, l'azoto e così via) vengono forgiati attraverso processi astrofisici quali la nucleosintesi stellare.

  • Condizioni cosmologiche: la distribuzione uniforme della materia nell'universo, il Big Bang, e la "zona abitabile" planetaria sono condizioni che sembrano favorire lo sviluppo della vita "per come la conosciamo".

La biofilia dell'universo può essere interpretata in vari modi, ognuno con implicazioni scientifiche, filosofiche e teologiche:

  • Multiverso: l'ipotesi del multiverse, avanzata da Andrej Linde e Alex Vilenkin, consiste nel ritenere esistano infiniti universi con diverse configurazioni fisiche. Non essendo noi in grado di ricavare il valore delle costanti fisiche dalle leggi di natura, potrebbe essere che ci si trovi in un universo adatto alla vita semplicemente perché solo in un universo del genere la vita potrebbe evolversi e quindi dar luogo ad osservatori coscienti. Si tratta del principio antropico. (2)

  • Teleologia: Una prospettiva più finalistica suggerisce che l'universo abbia una sorta di "scopo" intrinseco, in cui la vita, o almeno la consapevolezza, sia un esito previsto.

  • Caso o necessità?: Un'altra interpretazione vede la biofilia come il risultato di un equilibrio naturale delle leggi fisiche, senza alcun intento o finalità, ma piuttosto come un prodotto casuale di combinazioni favorevoli.


Negli ultimi tempi c'é chi sta iniziando a mettere in discussione gli assunti che stanno alla base della biofilia.



Fred Adams
ed Evan Grohs, nel loro articolo "On the Habitability of Universes without Stable Deuterium" (pubblicato su ARXIV nel 2017), hanno immaginato mondi dotati di costanti fisiche diverse, ed in particolare studiato la possibilità che risultino abitabili universi in cui il deuterio - un isotopo dell'idrogeno - non sia stabile, ma si disintegri rapidamente subito dopo la sua formazione così impedendo le tradizionali reazioni di fusione nucleare che alimentano le stelle. (3)

Senza il deuterio la nucleosintesi primordiale non potrebbe produrre elementi più pesanti dell'idrogeno, e ci troveremmo con un universo composto da soli atomi di idrogeno. (4) Nel paper gli autori identificano alcune alternative utili alla produzione di energia nelle stelle:

  • La contrazione gravitazionale: grazie all'energia rilasciata da quest'ultima le stelle potrebbero brillare per lunghissimi periodi, facendo così a meno della fusione nucleare.

  • La fusione diretta dell'idrogeno: In universi caratterizzati da elevate temperature e densità stellari potrebbero verificarsi fusioni dirette che bypassano il bisogno di deuterio.

  • Alternative esotiche: non è neppure da escludere la possibilità che esistano processi non convenzionali (dei quali non sappiamo nulla) atti a mantenere la luminosità stellare che siano in grado di operare in universi pur privi di reazioni nucleari tradizionali.

Quindi anche senza deuterio le stelle potrebbero brillare abbastanza a lungo da sostenere processi chimici complessi e la formazione della vita; un universo di tal guisa risulterebbe sì dominato dall'idrogeno, ma potrebbero anche formarsi composti organici complessi attraverso percorsi alternativi. La conclusione dello studio è che l'assenza di deuterio non esclude la possibilità per un universo di diventare abitabile; il concetto di abitabilità cosmica ne esce pertanto "ampliato", in quanto viene dimostrata la possibile esistenza di una vasta gamma di universi con parametri fisici molto diversi in grado di ospitare forme di vita. (5)



Roni Harnik, Graham D. Kribs e Gilad Perez, nell'articolo "A Universe Without Weak Interactions" (pubblicato su ARXIV nel 2006), hanno esplorato l'idea di un universo in cui le interazioni deboli siano assenti, e si sono chiesti come una tale situazione influenzerebbe processi fondamentali quali la nucleosintesi del Big Bang, la formazione delle strutture cosmiche e l'evoluzione stellare. I risultati di tale studio ci informano che un tale universo potrebbe ancora sperimentare una nucleosintesi primordiale, la dominazione della materia, la formazione di strutture e la formazione stellare: in esso le stelle potrebbero bruciare per miliardi di anni, sintetizzare elementi fino al ferro e subire esplosioni di supernova, disperdendo elementi pesanti nel mezzo interstellare.

Per ottenere un universo abitabile privo di interazioni deboli basterebbe infatti adattare simultaneamente i parametri del Modello Standard e quelli cosmologici, mantenendo inalterate la chimica e la fisica nucleare essenziali. Questo studio suggerisce quindi che il principio antropico potrebbe non determinare necessariamente la scala della rottura elettrodebole; la vita potrebbe infatti emergere in una gamma più ampia di condizioni cosmiche rispetto a quanto sinora ipotizzato.


Infine c'é chi, senza variare le leggi di natura e le costanti del nostro universo, ha provato a verificare se in periodi remotissimi della vita di quest'ultimo si fossero già manifestate condizioni compatibili con la vita (per come ora la conosciamo).

La riflessione parte dalla considerazione che, sino a non molti anni fa, si ritenessero molto più restrittive le condizioni che permettono la presenza di forme di vita.

La recente scoperta di nuove famiglie di batteri estremofili in grado di proliferare in ambienti caratterizzati da temperature e pressioni estreme, di resistere (per qualche periodo) persino all'esposizione al vuoto ed alle radiazioni dello spazio, di sopravvivere a lungo senza nutrimenti, porta a ritenere che la vita sia un fenomeno ben meno fragile di quanto sinora pensato. Abraham (Avi) Loeb, nell’articolo The Habitable Epoch of the Early Universe (pubblicato su ARXIV nel 2014), prende in considerazione l'ipotesi che l’universo primordiale avrebbe potuto ospitare semplici forme di vita sin dalle prime decine di milioni di anni dopo il Big Bang. L'universo uscito dal Big Bang, ci ricorda Avi, era permeato da una radiazione cosmica di fondo (CMB) caldissima, che si sarebbe progressivamente raffreddata a causa dell'espansione dello spazio.


Dopo circa 10-17 milioni di anni, la temperatura della CMB vide un crollo, attestandosi su valori compresi nell'intervallo tra 273 e 373 K (tra 0 e 100°C), un intervallo all'interno del quale l’acqua avrebbe potuto esistere in forma liquida.
(6)
Qualora si ipotizzi che la formazione di elementi pesanti e di strutture come stelle e pianeti si sia verificata molto rapidamente, nelle prime fasi della storia del nostro universo pianeti rocciosi o corpi con una composizione simile avrebbero potuto ospitare acqua allo stato liquido, indipendentemente dalla loro distanza da una stella. (7) La chimica della vita, come l’assemblaggio di molecole organiche complesse, potrebbe dunque essersi avviata durante questa precocissima “epoca abitabile”; in questa fase il nostro universo avrebbe quindi potuto ospitare ambienti unici, mai più replicati nelle epoche successive. Dunque, come i precedenti, anche il modello disegnato da Loeb allarga il novero delle condizioni tradizionali che riteniamo necessarie per la vita, sfidando così il concetto di una “costante cosmologica fine-tuned”, poiché implica che quest'ultima possa emergere in un’ampia gamma di condizioni cosmiche. Sebbene speculativa, quest'ipotesi è coerente con le leggi della fisica e della cosmologia che valgono nel nostro universo, senza richiedere l'apporto di modifiche come nei due casi precedenti. Loeb conclude il proprio articolo sostenendo che valga la pena considerare la possibilità che forme di vita primitive possano aver avuto origine in questo periodo, e invita a ulteriori studi per valutare il potenziale abitabile dell’universo primordiale. Cosa intendiamo per “vita”. Prima di concludere il post è doveroso precisare quanto ho più volte indicato nei miei post precedenti sull'argomento: - non disponiamo ancora di una definizione univoca di cosa si intenda per "vita" - ed ecco il motivo per cui nelle righe precedenti ho spesso aggiunto "per come la conosciamo" dopo aver scritto il termine "vita". Max Tegmark, nel suo libro "Life 3.0: Being Human in the Age of Artificial Intelligence" del 2018, cercando di abbracciare una visione più ampia e universale per questo fenomeno, propone una definizione di vita non basata esclusivamente su criteri biologici, ma piuttosto su un approccio informazionale. Dunque "vita come un processo che può mantenersi, autoreplicarsi e migliorare nel tempo". Elementi chiave della definizione sono i seguenti:

  • Processo dinamico: la vita non è un'entità statica, ma un fenomeno in continua evoluzione che coinvolge la trasformazione e l'uso dell'informazione per mantenersi attivo.

  • Autoreplicazione: la capacità di replicarsi è essenziale, implicando infatti che la vita possa diffondersi e perpetuarsi nel tempo.

  • Miglioramento (evoluzione): un aspetto distintivo della vita è la capacità di migliorarsi attraverso l'apprendimento, l'evoluzione biologica o l'auto-ottimizzazione, come nel caso delle intelligenze artificiali. ( 8 )

A tutt'oggi la ricerca di vita nel cosmo condotta dalle agenzie spaziali e dai centri di ricerca utilizza marcatori i cui criteri sono ricavati dalle forme di vita presenti sul nostro pianeta, gli unici esempi a nostra disposizione: siamo cioè nelle condizioni dell'ubriaco della famosa barzelletta "che cerca le chiavi perdute soltanto all'interno del cerchio di luce proiettato dal lampione, perché un po' più in là, nel buio, non ci si vede nulla". Tuttavia - come ho già scritto nel post "LAWDKI, la ricerca di forme di vita aliena condotta adottando un nuovo paradigma: il finanziamento da parte della NASA all'iniziativa LAB" pubblicato nel maggio 2023 - qualcosa sta cambiando. La NASA ha infatti finanziato un'iniziativa denominata "LAB" (Laboratory for Agnostic Biosignatures) che, seguendo strade diverse, è alla ricerca nuovi marcatori. Ecco le proposte sinora selezionate quali metodi per identificare quelle che, con una certa probabilità, possano costituire strutture biologiche aliene tra i campioni di materiale raccolto:

  • La ricerca di strutture ordinate la cui formazione non sia spiegabile con gli attuali modelli geochimici.

  • La ricerca di complessità indicata dal numero di punti su una superficie in cui possano unirsi altre molecole.

  • Il confronto con l'ambiente. Sappiamo che le forme di vita utilizzano energia per tenersi separate dal proprio ambiente, definendo così i propri confini; con il sopraggiungere della "morte" di un organismo, tali confini vengono a perdersi, e si raggiunge così un nuovo equilibrio con l'ambiente.

  • Comprendere i criteri relativi al frazionamento chimico. La vita usa di preferenza alcuni isotopi e ne ignora altri; se riuscissimo a comprendere le regole fondamentali della loro inclusione (o esclusione) potremmo usare i dati resi disponibili dagli strumenti che rilevano la composizione dei corpi celesti per immaginare nuovi ecosistemi che seguono regole simili, pur con utilizzo di elementi o isotopi diversi.

  • Utilizzo delle leggi di scala. I fenomeni chimici all'interno di una cellula variano in modo prevedibile in funzione delle sue dimensioni, e la proporzione di cellule di dimensioni diverse segue un andamento specifico. Riordinando un campione di materiale biologico in base alle dimensioni dei componenti emergono differenze quali ad esempio il fatto che più le cellule sono piccole, più assomigliano al loro ambiente (e viceversa quelle più grandi se ne differenziano). Tale criterio potrebbe esser usato per esaminare campioni di materiale alieno per capire se ci si trovi di fronte a materiale biologico.

  • Utilizzo della teoria dell'assemblaggio. Ipotesi di partenza consiste nel ritenere che quanto più una molecola si presenti complessa, tanto più alta sia la probabilità che questa derivi da un processo biologico, senza aver bisogno di identificare prima di che molecola si tratti. Per quantificare la complessità di una molecola la proposta è quella di usare un "numero di assemblaggio molecolare", un numero intero che indica quanti elementi costitutivi è necessario si leghino insieme ed in quali quantità per formare una molecola.

In definitiva, come ci ricorda Stephen Webb - autore della raccolta delle 75 soluzioni proposte al paradosso di Fermi "Se l'universo brulica di alieni ... dove sono tutti quanti?" - la vita è un fenomeno complesso di cui noi disponiamo di un solo esempio. Potrebbe già essersi sviluppata in precedenza in ambienti incompatibili con la nota formula "DNA RNA e 20 aminoacidi"; nello spazio profondo così come sulla Terra giovanissima, ed essersi estinta senza lasciar traccia (9)

Note: (1) Ho trattato la storia dello sviluppo della teoria del BIg Bang - cui padri furono Aleksandr Aleksandrovic Fridman e George LeMaitre - in un mio precedente post del 15 febbraio 2024: "Stephen Hawking e Thomas Hertog, la Top Down Cosmology ed una focaccia divisa a tarda notte - parte seconda". (2) Il principio antropico è un concetto che emerge dalla cosmologia e dalla filosofia della scienza, e riguarda il rapporto tra l'esistenza dell'universo e la presenza di osservatori consapevoli, quali gli esseri umani.

Esso afferma che le proprietà fisiche e le costanti fondamentali dell'universo debbano essere compatibili con l'esistenza della vita, poiché altrimenti non saremmo qui ad osservarle. Ne esistono due principali formulazioni:

  • Il principio antropico debole: afferma che l'universo deve essere tale da permettere l'esistenza di osservatori consapevoli, perché altrimenti non ci sarebbe nessuno in grado di osservare e analizzare l'universo stesso. In altre parole, il fatto che osserviamo un universo adatto alla vita non è sorprendente, dato che esistiamo per farlo.

  • il principio antropico forte: sostiene che l'universo è in qualche modo "progettato" per permettere l'emergere della vita e degli osservatori consapevoli. Ciò implica che le costanti fondamentali della fisica e le leggi naturali non siano casuali, ma siano calibrate in modo preciso per consentire l'esistenza della vita.

Il principio antropico solleva domande profonde sulla natura dell'universo e sul nostro ruolo al suo interno, e da spazio alle seguenti Implicazioni filosofiche:

  • Il multiverso: esistano infiniti universi (il cui insieme da luogo al multiverso), ognuno con leggi fisiche e costanti diverse; solo in alcuni di questi, come il nostro, le condizioni sono adatte alla vita.

  • Il finalismo: secondo alcune interpretazioni, il principio antropico forte potrebbe suggerire un disegno o una finalità intrinseca dell'universo, che spesso viene collegata a riflessioni di natura teologica o metafisica.

  • I limiti della conoscenza: Il principio antropico ci invita a riflettere sui limiti della nostra capacità di comprendere l'universo; ciò che osserviamo è influenzato dal fatto stesso che esistiamo come osservatori.

(3) Nel nostro universo il deuterio è essenziale per la fusione nucleare nelle stelle e per la formazione degli elementi durante la nucleosintesi primordiale. (4) Le stelle non potrebbero infatti utilizzare la catena protone-protone, che richiede il deuterio come intermediario, per generare energia. (5) Su Youtube è rintracciabile la presentazione di Evan Grohs intitolata "Fine Tuning Our Universe" del 21 ottobre 2017. (6) Oggi la temperatura nel vuoto al di fuori dell'atmosfera terrestre è pari a soli 3 K (−270,15 °C) mentre nel periodo indicato da Loeb sarebbe stata sufficientemente elevata da permettere la presenza di acqua allo stato liquido. (7) Le temperature medie nell'intervallo tra 0 e 100°C sono infatti riferite a tutto quanto lo spazio allora esistente. (8) Tegmark descrive tre "versioni" di vita, ciascuna basata sulla gestione e l'evoluzione dell'informazione:

  • Life 1.0 (Biologica): organismi viventi che evolvono attraverso la selezione naturale e non possono progettare il proprio hardware (corpo) o software (comportamenti e pensieri).

  • Life 2.0 (Culturale): esseri umani che possono modificare il loro "software" attraverso l'apprendimento, la cultura e l'educazione, ma non il loro "hardware".

  • Life 3.0 (Tecnologica): entità, come intelligenze artificiali avanzate, che possono progettare sia il proprio hardware che il software, migliorandosi continuamente.

Conseguenza di tali assunti è il fatto che "vita" sia un concetto che non si limita soltanto agli organismi biologici, ma includa anche forme di vita artificiali o basate su altri substrati fisici, come le macchine o le intelligenze sintetiche.

Tegmark enfatizza l'importanza dell'informazione come elemento cruciale per comprendere la vita in tutte le sue forme, rendendo la definizione più universale rispetto alle definizioni puramente biologiche.

Questa visione amplia il concetto di vita, rendendolo rilevante per discussioni sulla biologia, l'astrobiologia e l'intelligenza artificiale. (9) LUCA, "last common unique ancestor", è sicuramente l'antenato di ogni forma di vita terrestre la cui evoluzione ha portato agli organismi che oggi prolificano sul nostro pianeta, ma non è da trascurare l'ipotesi che - inizialmente - la vita si sia sviluppata autonomamente in regioni e tempi diversi; e che la formula che conosciamo rappresenti il risultato di una competizione avvenuta nella notte dei tempi che ha lasciato un solo vincitore.

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