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venerdì 21 agosto 2020

La soluzione n. 33 al paradosso di Fermi: "non abbiamo ancora ricevuto segnali dagli alieni perché sviluppano una matematica diversa".

Il paradosso di Fermi - formulato intorno alla metà del secolo scorso dal famoso fisico, nostro connazionale, nei termini "se l'universo brulica di alieni, dove sono tutti quanti?" - si è rivelato un incredibile "stimolatore di ipotesi".

Nel corso di quasi 70 anni, ricercatori impegnati in ogni ramo della scienza hanno cercato di fornire una spiegazione plausibile al "silenzio terrificante" che circonda il nostro pianeta: le pubblicazioni che ne sono scaturite hanno contribuito - direttamente od indirettamente - ad importanti progressi in parecchi ambiti. 

Oggi la comunità scientifica è divisa tra chi ha "fede" nell'esistenza di altre civiltà evolute (CET) e chi invece sostiene l'eccezionalità del percorso evolutivo della vita sulla Terra.

Naturalmente - con buona pace di tutti quanti - fino a quando non saranno trovate evidenze biologiche al di fuori del nostro pianeta, o saranno intercettate comunicazioni provenienti dallo spazio profondo, non sarà corretto utilizzare alcun metodo statistico per ricavare la probabilità di esistenza di civiltà aliene (come ben spiega Gianluca Dotti su Wired nell'articolo "Centomila esopianeti della Via Lattea potrebbero ospitare la vita (se ne trovassimo almeno uno)".

Da oramai molti anni il fisico britannico Stephen Webb raccoglie le soluzioni al paradosso di Fermi proposte dalla comunità scientifica, analizzandole criticamente e pubblicandole tutte insieme.

La prima edizione di questa particolare raccolta data 2004; l'ultima, pubblicata nel 2018, è arrivata a raccoglierne l'incredibile numero di 75.

Tra tutte quante la mia preferita è la numero 33:

"non abbiamo ancora ricevuto segnali dagli alieni perché questi sviluppano una matematica diversa"

e di questa voglio parlare in questo post.

Cosa può significare una "matematica diversa"?

Non stiamo parlando dell'utilizzo di simboli o denominazioni differenti.

Fino ad oggi abbiamo infatti sentito parlare della matematica come di un "linguaggio universale", i cui fondamenti sono gli stessi in tutto l'universo.

Il programma SETI, quando si propone di cercare un mezzo per comunicare con civiltà extraterrestri evolute, indica nella matematica una sorta di Esperanto cosmico.
Hanno infatti contenuto prettamente "matematico" i messaggi lanciati da radiotelescopi verso lo spazio profondo, così come le targhe ed i dischi a bordo delle sonde inviate oltre i confini del nostro sistema solare.

Assunto mai messo in discussione dalla nostra scienza è che esista una sola matematica la cui validità si estende ad ogni regione del nostro universo.

Sempre secondo Webb, parlare di "matematica diversa" significa non tanto negarne il 
valore universale (il rapporto tra lato e diagonale di un quadrato sarà ovunque pari a radice quadrata di 2 così come  "e^πi" sarà sempre eguale a -1) ma prendere in considerazione la possibilità che l'importanza assegnata ad alcune relazioni sia diversa a seconda del contesto.

Noi uomini consideriamo "π" (3,14...) un elemento essenziale: una civiltà composta da esseri i cui sensi non percepiscano forme arrotondate potrebbe non conoscerne il significato, oppure costituire una semplice curiosità trascurabile.


Lo scorso 5 agosto, rispondendo ad frequentatore di Quora.com che si chiedeva perché il paradosso di Fermi fosse così spaventoso, ho scritto un post sull'argomento che ha riscontrato un discreto successo in termini di visualizzazioni, condivisioni e voti positivi.   
In breve tempo il dibattito che ne è scaturito si è spostato su altri canali ed ha finito per coinvolgere argomenti di natura diversa (sui quali prometto di tenervi informati nei prossimi mesi).


Qui di seguito il testo del mio post; chi voglia consultare l'originale su Quora trova il link al termine.


Perché il paradosso di Fermi è così spaventoso? 

Il paradosso di Fermi è un incredibile stimolatore di ipotesi.

Il fisico Stephen Webb ne raccoglie da molti anni le soluzioni proposte dalla comunità scientifica analizzandole e pubblicandole in forma organizzata.
La prima edizione risale al 2004; l'ultima, del 2018, è arrivata a collezionare l'incredibile numero di 75 diverse soluzioni.


A mio parere la più interessante - più che spaventosa - è la numero 33:

"perchè (gli alieni) sviluppano una matematica diversa".

Il fisico Eugene Wigner sostiene che la matematica sviluppata da noi sapiens sia "irragionevolmente efficace" e si chiede perché essa dovrebbe descrivere così bene la natura.

In effetti tutta la tecnologia moderna dipende completamente dalla matematica.

Se rifiutiamo una visione platonica, la cui validità è difficile da dimostrare, non rimane che considerare la matematica un ritrovato della nostra mente, cioè un fenomeno sociale parte della cultura umana.

Saremmo perciò noi a creare gli oggetti matematici, non questi ultimi ad esser scoperti.

L'evoluzione avrebbe dotato il nostro cervello di un "coprocessore matematico", un modulo numerico che alcuni ipotizzano si trovi nella corteccia parietale inferiore.

Altre aree cerebrali sarebbero tuttavia coinvolte in quanto l'aritmetica non esaurisce l'intera matematica.

Webb ricorda il caso di un ricercatore con un dottorato in chimica che non riusciva a risolvere operazioni elementari come "5 x 2 = 10" ma non aveva problemi a semplificare "(X x Y) / (Y x X)", dimostrando così come forse aritmetica ed algebra siano processate in parti diverse del cervello.


L'evoluzione potrebbe aver selezionato coloro, tra i nostri progenitori, che - vivendo in un mondo di oggetti discreti - avessero la capacità di produrre con rapidità giudizi basati sul numero percepito degli oggetti.

Una abilità che ritroviamo anche negli animali, che in genere sono capaci di rozze valutazioni numeriche del tipo "qui c'è più cibo rispetto a là".
Forse si tratta di una evidenza del fatto che i fondamenti numerici dell'aritmetica siano innati, fissati dall'evoluzione nel nostro DNA.

In tal caso i numeri interi potrebbero essere creazioni della nostra mente la quale, in un secondo momento, ha costruito sopra di loro un castello che arriva sino agli integrali.

A conferma di tale ipotesi la nostra capacità di "subitizzare": di fronte ad un piccolo numero di oggetti (in genere fino a 6) non abbiamo bisogno di contare per sapere quanti siano.
Pochi oggetti fanno sì che il numero totale delle loro possibili disposizioni sia limitato, dunque facilmente memorizzabile.

Invece due decine di oggetti si possono disporre in così tanti modi da far sì che nessun indizio percettivo ci permetta di distinguere al volo se essi siano 20, 21 oppure 19.


Anche il famoso neurologo Oliver Sacks si è occupato di subitizzazione: nel libro "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello" racconta le vicende di due gemelli autistici con un forte ritardo mentale che li rendeva incapaci di badare a sé stessi, tanto da esser ricoverati permanentemente in una struttura assistenziale dove Sacks lavorava.
Nonostante una tale limitazione, essi erano in grado di:
- calcolare a mente quale fosse il giorno della settimana di una qualsiasi data nell'intervallo di 10.000 anni;
- "subitizzare" il numero dei fiammiferi caduti da una scatola (erano 111 nell'esperimento che ha documentato);
- comunicare tra di loro scambiandosi numeri formati da parecchie cifre, che in seguito Sacks scoprì esser numeri primi.


Tornando al paradosso di Fermi, i nostri tentativi di comunicare con CET (civiltà extra terrestri) si basano sull'invio di segnali radio che contengono informazioni scritte in linguaggio matematico, considerato un "esperanto" universale.

Webb si chiede se una matematica eventualmente sviluppata da alieni possa risultare simile alla nostra, con i numeri primi, il teorema del mini max, il teorema dei 4 colori, e così via.

Oppure, a causa di una storia evolutiva diversa in un ambiente diverso, abbiano potuto creare matematiche diverse, a noi incomprensibili: "in un ambiente dove le variabili cambiano in modo continuo invece che discreto" - suggerisce Webb - " non avrebbe alcun significato il concetto di numero intero".

Forma e dimensione potrebbero esserne le basi, invece di numero ed insiemi come succede per la nostra.

Relazioni come "e^πi = -1" sicuramente hanno lo stesso valore ovunque nell'universo: tuttavia alieni potrebbero non aver la necessità di conoscere concetti come "π" ed "e", e di conseguenza non dar loro alcuna importanza.

Altre civiltà potrebbero aver sviluppato sistemi matematici diversi dal nostro, più utili alle condizioni locali in cui essi vivono.


Alla fine Webb rifiuta sia questa la spiegazione del paradosso di Fermi in quanto, seppur potrebbe esser valido per ALCUNE civiltà, non lo sarebbe per tutte.

https://it.quora.com/Perchè-il-paradosso-di-Fermi-è-così-spaventoso/answer/Davide-Molina





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