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martedì 23 novembre 2021

La fisica ed il problema della coscienza: è possibile fare a meno dello spazio tempo in un modello di realtà oggettiva?

Cosa c'entrano fisica e cosmologia, cui oggetto di studio sono lo spazio tempo, l'origine e l'evoluzione dell'universo, con il mistero della "coscienza", per la cui soluzione si indaga l'oggetto più complesso a noi noto, il nostro cervello?

Può sembrare inverosimile, ma la connessione è molto più forte di quanto si creda.

Tutte quante le informazioni di cui disponiamo, e con le quali possiamo costruire teorie sulla realtà in cui siamo immersi, sono messe a disposizione della nostra coscienza (che provvede ad elaborarle) attraverso la percezione, un'attività strettamente regolata dal cervello.

Sappiamo che colori, suoni, profumi, sapori e sensazioni tattili non consistono in altro che impulsi elettrici nei quali il cervello traduce il flusso continuo di informazioni provenienti "dal mondo esterno".
Si tratta di mere "interpretazioni" di tale flusso: se confidiamo nel fatto che un profumo, un suono od un colore siano rappresentazioni di informazioni di tipo diverso, dovremmo ricrederci in quanto la "sinestesia" - un fenomeno sensoriale/percettivo, che indica una "contaminazione" dei sensi nella percezione - pare interessi circa un 4% della popolazione mondiale. (a)

La fisica contemporanea si propone di indagare la realtà oggettiva, cioè quanto dovrebbe esistere al di là della sua interpretazione fornita dal nostro cervello: qualcosa che la maggioranza dei fisici identifica con lo spazio tempo ed i suoi oggetti.

Tuttavia una minoranza di questi, oggi in rapida crescita, non è d'accordo con tale definizione: a partire da Carlo Rovelli per il quale spazio e tempo sono discreti e la realtà deve interpretarsi come un tessuto di relazioni (b)  sino ad arrivare a Nima Arkani-Hamed, un fisico che ritiene "lo spazio tempo oramai condannato e destinato ad esser sostituito da componenti  più primarie" (c)  

Ma se lo spazio tempo non esiste, cosa c'è allora "là fuori"?
Esiste davvero qualcosa al di là della nostra consapevolezza?

"La Luna c'è anche quando non la guardiamo?", si chiedeva Einstein, dopo aver fornito il proprio contributo alla meccanica quantistica. (d) 

La domanda immediatamente successiva è "qualora esista una realtà oggettiva - e sia essa diversa dallo spazio tempo - abbiamo la possibilità di conoscerne la natura oppure essa ci sarà per sempre ignota?

Ed in tal caso avrebbe ancora significato la ricerca in fisica?

Sono domande molto complesse alle quali non sappiamo ancora dare una risposta ma che rappresentano una sfida per la scienza di domani.


Questo è un post difficile che ho iniziato a scrivere diversi mesi fa; durante la sua stesura mi sono spesso bloccato ed ho avuto bisogno di affrontare periodi di riflessione.

E' molto lungo, ne sono cosciente.
Tuttavia frammentarlo in più parti separate avrebbe poco senso, ne romperebbe solo il ritmo.

Mi auguro che l'argomento appassioni chi mi legge (come ha appassionato me), e di suscitare parecchi commenti e riflessioni.



La fisica ed il problema della coscienza: è possibile fare a meno dello spazio tempo in un modello di realtà oggettiva?

Come spiega la scienza il fatto che un cervello sia in grado di pensare? (1)

Sembra paradossale, ma nonostante gli enormi progressi conseguiti in molti ambiti delle discipline scientifiche, ad oggi nessuno è ancora in grado di indicare il motivo per il quale siamo in grado di provare "esperienze soggettive": continua a mancare infatti una definizione di cosa sia la “coscienza”, e cioè la "consciousness" intesa come "consapevolezza di se".

Si tratta di un campo di ricerca "caldo" del quale si stanno occupando specialisti con competenze in aree spesso molto lontane fra di loro quali fisica, chimica, biologia, medicina, informatica, matematica e, non ultima, la filosofia.

Perché qualcosa che ci sembra a prima vista così scontato - "la coscienza sono io che penso" - dovrebbe poi risultare così complesso da descrivere e trattare dal punto di vista scientifico?

Proviamo a chiederci quale differenza passi tra un essere umano alla guida di un autoveicolo ed una intelligenza artificiale (una AI) che governi un’auto autonoma: entrambi processano informazioni che incessantemente ricevono dall’esterno - tramite i sensi il primo ed i sensori la seconda - e di conseguenza decidono con quali modalità ed in quale direzione dirigere il proprio automezzo.

Alla domanda “sono entrambi coscienti?” dobbiamo rispondere negativamente per evitare di cadere nel paradosso evidenziato da Yuval Noah Harari nel saggio "Homo Deus":

“... qualora ci trovassimo a giudicare irrilevanti le esperienze soggettive dovremmo spiegare perché consideriamo lo stupro e la tortura come azioni riprovevoli, senza far riferimento alla soggettività delle vittime: si tratterebbe infatti soltanto di movimenti che interessano le particelle elementari in ossequio alle leggi della fisica...”. (2)

Secondo il fisico Max Tegmark la differenza tra le due situazioni è da ricercarsi nella capacità degli esseri viventi di provare una esperienza soggettiva. (3)

Guidando un automezzo facciamo esperienza di colori, suoni ed emozioni in aggiunta a ciò che potremmo definire un “senso di sé”; alla AI che governa il mezzo autonomo manca soprattutto quest’ultimo.

Inoltre il "fare esperienza del guidare", per chi sia dotato di un cervello biologico, è un qualcosa di facoltativo: non di rado ci capita infatti di svolgere questo compito per lunghi tratti in “modo automatico”, e cioè pensando ai fatti nostri senza essere pienamente coscienti di ciò che stiamo facendo.
Poi, all'improvviso, qualcosa d'insolito richiama la nostra attenzione, e solo in quel momento prendiamo coscienza di "star conducendo un automezzo".

Quando sogniamo invece ci capita di rispondere a stimoli creati dal nostro cervello che non possono aver origine nella realtà esterna.
In sogno sto guidando la mia macchina e vedo la mia meta  sulla destra: di conseguenza curvo in quella direzione.

Durante il sogno siamo certamente coscienti, ma non del mondo che ci circonda: capita talvolta che al risveglio si ricordi della trama del sogno, pur rimanendo tuttavia inconsapevoli di quanto sia successo
 nel mondo reale intorno a noi.

Durante il sonno profondo, come quello indotto dall'anestesia, non disponiamo di alcun tipo di coscienza. (4)

Tegmark ci ricorda come dal punto di vista della fisica una persona cosciente (od un qualsiasi essere vivente dotato di coscienza di sé) sia definibile come “cibo riconfigurato”.
E poiché stiamo parlando della riconfigurazione di un enorme numero di quark ed elettroni, per rispondere al quesito "cosa sia la coscienza" dovremmo trovare un modo per stabilire quali configurazioni di particelle siano coscienti e quali invece non lo siano.
Tale compito si dimostra subito arduo poiché spesso siamo privi dei mezzi atti a stabilire se un animale, una AI (5) o più banalmente un paziente arrivato in pronto soccorso completamente paralizzato ed incapace di reagire agli stimoli, siano coscienti o meno. (6)

Partendo dal lavoro che il filosofo australiano David Chalmers portò a termine negli anni '90 del secolo scorso, Tegmark individua una “piramide dei problemi” legati allo studio della coscienza: caratteristica di tale piramide consiste nel fatto che si possa accedere al livello superiore soltanto se sia risolto il problema presente al livello inferiore (vedi immagine 1).



Immagine 1

Qui di seguito la descrizione dei vari livelli identificati dal fisico:

* "il problema facile" (EP, easy problem): l’intelligenza.
In che modo il cervello elabora le informazioni, come funziona cioè l’intelligenza?
Siamo in grado di verificare le diverse teorie ad essa relative con simulazioni, e le AI ci sono state d'aiuto in questo ambito.

* "il problema molto difficile" (PHP, pretty hard problem): poiché siamo tutti quanti fatti della stessa materia che costituisce ogni cosa nell’universo, saranno le proprietà fisiche (cioè la configurazione specifica delle particelle) a determinare cosa sia cosciente e cosa no.
Quali sono tali particolari proprietà fisiche a fare la differenza tra sistemi coscienti e non coscienti?

Se fossimo in grado di rispondere a questa domanda potremmo identificare ad esempio quali AI siano coscienti; oppure quali pazienti arrivati in coma al pronto soccorso, senza essere in grado di rispondere a stimoli, siano tuttavia coscienti.

Ad oggi possiamo verificare le diverse teorie ad essa relative solo con dispositivi che consentano la lettura del cervello.

* "il problema ancora più difficile" (EHP, even hard problem): in che modo le proprietà fisiche determinano che cosa sia l’esperienza?
I "Qualia” sono i mattoni fondamentali della coscienza: ad esempio il rosso di una rosa, il suono di un pianoforte, il profumo di un piatto o ancora il dolore di una puntura (7).

Giunti a questo livello ci accorgiamo come le relative teorie risultino soltanto parzialmente verificabili.

* "il problema davvero difficile (RHP, really hard problem)": perché qualcosa è cosciente?
Esiste un motivo per il quale una configurazione di materia diventi cosciente o è solo "per caso"?

Si tratta quest'ultimo di un ambito nel quale le teorie non risultano verificabili.

Tegmark si chiede dunque se la coscienza sia un argomento al di fuori della portata della scienza.

Il principio enunciato negli anni '60 dal filosofo della scienza Karl Popper stabilisce che il ruolo della scienza debba essere quello di mettere alla prova le teorie rispetto alle obiezioni: qualora sia impossibile mettere alla prova un enunciato ne consegue l'impossibilità di falsificarlo, dunque in quel caso specifico NON ci troveremmo di fronte ad una teoria scientifica.

La risposta di Tegmark alla domanda se la coscienza sia "fuori portata" rispetto alla scienza è un secco "NO"!

Anche qualora OGGI una teoria scientifica possa esser messa alla prova soltanto per alcuni ambiti - dunque non per tutti - non è detto che DOMANI non si trovino i mezzi per estenderne il dominio.
Un esempio lo abbiamo già sottomano: Relatività Generale e Teoria dei Quanti sono apparentemente incompatibili, tuttavia ognuna di esse è verificabile, ma soltanto nel proprio ambito!

Potremmo pertanto definire "scientifica" una teoria che consenta di individuare quali sistemi fisici siano coscienti purché in grado di prevedere quali dei nostri processi cerebrali lo siano.

Certo, più saliamo in alto nella piramide dei problemi più si ingarbuglia la loro confutabilità: come mettere alla prova una teoria che prevede come si faccia l’esperienza soggettiva del colore rosso? O spiegare perché esista una coscienza?

Ancora una volta Tegmark ci invita a non perderci d’animo: Galileo aveva ricavato le formule per prevedere le traiettorie di caduta di un acino d’uva come di una castagna, ma esse non spiegavano il perché l'una è verde e l'altra marrone.
Tuttavia tre secoli dopo Maxwell ne scoprí il motivo.

Abbiamo già evidenziato come molte elaborazioni svolte dal nostro cervello avvengano in modo non cosciente (quelle svolte ad esempio durante gran parte del periodo passato a guidare) e che siano solo le situazioni insolite a riportare il flusso costante di dati in arrivo al cervello dai nostri sensi all’attenzione della coscienza, quale ad esempio un improvviso ostacolo sulla strada.

Si tratta pertanto di capire dove sia localizzata la coscienza nel nostro corpo (forse dovremmo dire "dove si incarna”).

Negli anni 90 Francis Crick (uno degli scopritori del DNA) insieme al suo alunno Christof Koch scrissero un saggio sui “Correlati Neurali della Conoscenza” (NCC), chiedendosi quali processi cerebrali corrispondessero ad esperienze coscienti.
Le illusioni ottiche dimostrano inequivocabilmente che l’interpretazione dei segnali luminosi ricevuti dalla retina avviene all'interno del cervello, non a livello locale.
Dunque è lì che dobbiamo cercare la sede dei NCC.

Per capire dove sia, i ricercatori confrontano quello che fanno i neuroni in situazioni in cui tutto è identico tranne l’esperienza sensoriale: ad esempio durante la guida in modo automatico e poi durante la guida in modo cosciente.
Se alcune parti di cervello si comportano in modo diverso nei due contesti, esse vengono identificate come NCC.

Purtroppo, nonostante siano passati più di trent'anni, ancor oggi non siamo in grado di indicare con esattezza quali siano le parti del cervello responsabili della coscienza.

Caratteristica della coscienza è che essa richiede un "tempo di elaborazione" maggiore rispetto a quello necessario a metter in atto reazioni “non coscienti”; queste ultime talvolta indicate con il termine "pensieri veloci", altre come "euristiche"  (8).

I tempi di reazione cosciente ad uno stimolo sono stati misurati nell’ordine di un quarto di secondo.

Benjamin Libet - e più di recente John D. Hayes - hanno indagato l'effettivo "potere" della coscienza sul nostro comportamento, e dimostrato che talora decisioni che riteniamo attribuibili al libero arbitrio siano in realtà prese prima del momento nel quale "diventiamo coscienti di averle prese". (9)

Più di un progresso nella ricerca di una teoria della coscienza è stato conseguenza del tentativo di combattere il bias antropocentrico: con "coscienza" ci riferiamo infatti a fenomeni con gradi diversi che possono interessare un ampio ventaglio di esseri viventi, dal piccolo roditore sino ai sapiens.

Perché dunque non pensare che altre forme di vita non naturali possano sviluppare una coscienza?

Ricerche riferibili non solo al cervello fisico ma pure alle AI estendono il concetto NCC a PCC (Physical Correlates of Consciousness), cioè configurazioni di particelle in movimento che siano coscienti.

Tegmark introduce a tal fine il concetto di "proprietà emergente", quale ad esempio "l’esser bagnato" per un liquido: un piccolo insieme di molecole d’acqua non è “umido”, mentre lo è un insieme di una certa grandezza.

Cosa differenzia i due casi, così da determinare l'insorgenza dell'umidità?

L' "esser bagnato" è un fenomeno che emerge soltanto superata una certa soglia di numerosità delle molecole: quando verifichiamo come la somma risulti maggiore delle parti, allora ci troviamo di fronte ad un fenomeno emergente.
In modo analogo, la coscienza potrebbe costituire un fenomeno emergente laddove la presenza di cellule nervose superi un certo numero.

Ma la cosa non appare in realtà così semplice: la coscienza sembra infatti essere un fenomeno intermittente.

In questo momento sono cosciente; se tuttavia cado in un sonno profondo senza sogni smetto di esserlo, e questo avviene semplicemente in seguito ad una riconfigurazione delle particelle che mi compongono.
Quando mi sveglio torno ad esserlo; tuttavia, se venissi congelato, è probabile che la mia coscienza sparisca per sempre.

Per fornire spiegazione a tutto ciò Giulio Tononi, un neuroscienziato italiano, ha provato a proporre l'adozione di una grandezza (detta "phi", φ) cui ha assegnato il nome di "informazione integrata".
In soldoni, si tratta di misurare quanto "sanno", l’una delle altre, parti diverse di un sistema.

Basandosi su 
φ Tononi ha sviluppato una teoria della coscienza chiamata “teoria dell’informazione integrata” (IIF) secondo la quale la coscienza è il modo in cui “si percepisce” l’informazione quando l’elaborazione delle informazioni avviene in modo integrato (cioè quando il valore di φ è grande).
Il sistema cosciente deve esser integrato in un tutto unificato, altrimenti si osserverebbero diverse coscienze separate.
Studi su individui colpiti da danni neurologici confermano tale ipotesi, vedi in merito la letteratura inerente prodotta da Oliver Sacks ed il caso degli individui "brain splitted" descritto da Donald Hoffman nella prima parte del saggio "L'illusione della realtà". (10)
Se una parte cosciente di un cervello non può comunicare con il resto, allora il resto non può far parte della propria esperienza soggettiva.

Questa teoria è stata in parte testata tramite l’utilizzo di EEG,  dispositivo che ha predetto correttamente lo stato dei soggetti sottoposti all'esperimento: "cosciente" quando erano svegli o sognavano, "incosciente" se sottoposti ad anestesia od in sonno profondo.
Tali esperimenti hanno anche permesso di scoprire lo stato cosciente in due pazienti affetti dalla sindrome "locked in" riguardo ai quali i medici non sapevano dire nulla. (11)

Arriviamo infine al punto in cui dobbiamo chiederci come un grumo di materia possa provare un’esperienza soggettiva, e cioè in quali condizioni sarà in grado di:

- ricordare
- computare
- apprendere
- fare esperienza

In che modo la coscienza può esser percepita come non fisica se di fatto è un fenomeno fisico?

Secondo Tegmark il motivo è da ricercarsi nel fatto che questa sia molto indipendente dal suo substrato fisico, la materia, della quale è uno schema.

Possiede cioè proprietà indipendenti dallo specifico substrato.

Se la coscienza è il modo in cui "si percepisce l’informazione quando viene elaborata in determinati modi", deve essere indipendente dal substrato: è importante cioè soltanto la "struttura dell’elaborazione dell’informazione", non la "struttura della materia che compie l’elaborazione".

Con tutto ciò, oggi manca ancora una teoria della coscienza che sia in grado di essere invalidata (e quindi superare lo stato di congettura).

Giulio Tononi nel saggio “From the phenomenology to the mechanisms of consciousness: integrated information theory 3.0” ha proposto di adottare il metodo appena descritto, ma finora il traguardo non è stato raggiunto.

Studi di Roger Penrose e Stuart Hameroff relativi ad un'interpretazione della meccanica quantistica potrebbero offrire una soluzione al mistero dell'origine della coscienza.
Secondo Penrose il motivo per il quale si assiste ad un collasso della sovrapposizione dei diversi stati quantistici è da ricercarsi in un processo fisico collegato alla natura dello spazio tempo: la "riduzione oggettiva" (il collasso) della funzione d'onda è causata dalle diverse geometrie proprie dello spazio tempo in ognuno degli stati nella sovrapposizione.

Certo, qui il riferimento è alla gravità quantistica, per la quale non disponiamo al momento di una teoria.

Una particella in stato di sovrapposizione - che dunque venga a trovarsi simultaneamente in due posizioni diverse - sperimenterebbe due diverse curvature dello spazio tempo a seconda di dove sia più probabile si trovi la sua massa.
Superato un limite critico nella differenza tra le geometrie - come quando la particella risulti in correlazione con l'ambiente - assistiamo al collasso della sovrapposizione in un unico stato possibile. (12)

Penrose e Hameroff sono sostenitori della "non calcolabilità del pensiero cosciente": ritengono infatti che il nostro modo di pensare segua modalità completamente diverse rispetto al modo in cui un computer elabora algoritmi, dunque qualcosa di estraneo alla fisica classica.
L'alternativa che abbiamo a disposizione è la fisica quantistica, ed Hameroff ritiene di aver individuato nei "microtuboli" - polimeri cilindrici cavi che assemblati insieme costituiscono il neurone - il mezzo che la biologia ha selezionato per proteggere la coerenza quantistica dall'ambiente esterno: tali microtuboli sono costituiti da una singola proteina, la tubolina, che può esistere in sovrapposizione di due forme leggermente diverse.

Il modello ORCH-OR 
(ORCHestrated Objective Reduction) - da lui ideato insieme a Penrose - procede dall'ipotesi che la coscienza nel cervello origini da un processo interno ai neuroni, piuttosto che dall'interazione tra di essi.
I microtuboli presenterebbero le giuste proprietà al fine di consentire il mantenimento per un periodo significativo della sovrapposizione, e di farla espandere alle tuboline circostanti.
Questo fatto permetterebbe pertanto ai processi "precoscienti" di emergere.
Il collasso avverrebbe pertanto nel momento in cui si raggiunge una soglia critica, provocando così l' "accensione della coscienza", un processo che si manifesta in maniera continua nel cervello. 
(13)


Un approccio differente - assai critico nei confronti sia di Tononi e 
Koch che di Penrose e Hameroff - è quello presentato da Donald Hoffman, uno scienziato cognitivo, nel saggio “L’illusione della realtà”, di recente pubblicazione (2020).


Scrive l'autore:  - "... Roger Penrose e Stuart Hameroff ritengono che l'esperienza cosciente possa nascere dal collasso organizzato di certi stati quantistici nei microtubi neuronali (14), tuttavia quale collasso organizzato crea il sapore di zenzero?..."

Riferendosi invece a Giulio Tononi e Christof Koch, secondo i quali ogni esperienza cosciente equivarrebbe ad una struttura causale di qualche tipo, neurale od altro, utile ad integrare l'informazione, Hoffman si chiede polemicamente "... quale architettura causale per integrare l'informazione può costituire l'odore di pino?..."

Per concludere: "... ciò che accomuna le due ipotesi" - (Penrose e Tononi) - "è la presunzione che gli oggetti dello spaziotempo esistano 'anche quando nessuno li osserva'...".

“La luna esiste anche quando non la guardiamo?” è una domanda che si era già posto Einstein in relazione alla meccanica quantistica. (15)

Hoffman, partendo da alcune evidenze riscontrate nel campo della biologia evoluzionistica e dalla considerazione che una parte non marginale della comunità dei fisici ritenga lo spazio tempo un concetto oramai superato (tra questi, oltre a Nima Arkani-Hamed di cui abbiamo già parlato nella nota "c", troviamo Susskind e ‘t Hooft insieme a teorici meno "estremisti" quali Rovelli), propone una teoria della coscienza battezzata con l'acronimo TIP, cioè Teoria dell’Interfaccia Percettiva.

La recente dimostrazione matematica del teorema FBT (Fitness Beat Truth), e cioè "il valore adattivo batte la verità" (16) - permette all'autore di affermare con sicurezza che ciò che percepiamo con i nostri sensi NON possa essere la realtà oggettiva.
Tale teorema dimostra infatti come un organismo dotato della facoltà di percepire la realtà oggettiva sarebbe destinato a soccombere velocemente in ecosistemi dove gli altri organismi percepiscano la fitness.

Se dunque gli esseri viventi non sono stati selezionati dall'evoluzione per percepire la realtà oggettiva, il lessico delle nostre percezioni - quali "spaziotempo", "forma", "tonalità", "saturazione luminosa", "consistenza", "sapore", "suono", "odore" e "movimento" - non è in grado di descrivere "la realtà quando nessuno la osserva".

Gli oggetti dello spaziotempo che percepiamo con i nostri sensi - ed erroneamente crediamo si identifichino con la realtà oggettiva - sono per Hoffman "icone" create dal nostro stesso cervello.

La TIP presuppone che ogni sistema percettivo costituisca "una interfaccia utente" - sul modello di un desktop per un computer (17) - modellata dalla selezione naturale e calibrata sui bisogni di ciascuna specie: non solo esiste un'interfaccia diversa per ogni specie, ma potrebbero esserci differenze anche tra quelle degli individui appartenenti alla stessa.

Finalità dell'interfaccia è guidare il comportamento adattivo così da permettere all'individuo di sopravvivere abbastanza a lungo da poter allevare la prole e far sì che i propri geni si replichino.

"... lo spaziotempo è il nostro desktop e ciò che crediamo siano oggetti fisici sono icone dell'interfaccia dei sapiens ..."

"...  il linguaggio dello spazio tempo, degli oggetti fisici dotati di forma, posizione, momento, spin, polarizzazione, colore, consistenza e odore è adatto a descrivere i benefici adattivi, ma inutile a descrivere la realtà oggettiva..."


".. ma la Luna è sempre lì, eguale a prima nel momento in cui riapriamo gli occhi..."

Secondo la TIP ciò che chiamiamo "Luna" è un oggetto dello spaziotempo, cioè un'icona che viene creata dal nostro cervello solo nel momento in cui la guardiamo.

A conferma di quanto appena affermato Hoffman ci invita a considerare l'esperienza cognitiva prodotta dal "cubo di Necker" (18) atta a dimostrare la "propensione a reificare" propria del nostro cervello.
(vedi immagine 2)

Immagine 2 il cubo di Necker.

Accettare la proposta di Hoffman comporta tuttavia l'emergere di una importante conseguenza: la classica interazione tra teorie scientifiche ed esperimenti non risulta più in grado di portare ad una teoria "che sia vera" in quanto non disponiamo di un accesso alla realtà.

Lo spazio tempo consisterebbe in un codice per la fitness (19)  basato sulla compressione dei dati e la correzione degli errori: qualcosa che ricorda molto da vicino il "principio olografico" in fisica.

Il cervello si è evoluto per reagire allo tzunami di informazioni che ricevono in ogni momento i sensi, imparando a selezionare soltanto quelle più importanti per la nostra sopravvivenza. (20)

Le funzioni che apportano benefici adattivi hanno centinaia di dimensioni variabili.
E' pertanto probabile che la nostra visione le abbia compresse in 3 spaziali più una temporale, ed in oggetti dotati di forme e colori.
Vedremmo pertanto gli oggetti in 3D perché questo è il formato dell'algoritmo di compressione fornito dall'evoluzione alla nostra specie (non necessariamente lo stesso a tutte le altre).

Viviamo cioè in una struttura di dati che ha il formato dello spaziotempo e degli oggetti: struttura che si è evoluta insieme ai sapiens per rappresentarne i benefici adattivi in modo utile e sintetico.
Le nostre percezioni risultano codificate "IN" questa struttura di dati, e tale formato pone i limiti al nostro modo di pensare.
Di sicuro la compressione della fitness ci porta ad aver percezioni in modalità diverse: vista, olfatto, udito, tatto e gusto.
Persino le distanze spaziali potrebbero non esser veridiche, ma semplicemente rispecchiare i costi per procurarsi risorse (21).

La correzione degli errori, un aspetto determinante per la sopravvivenza, può esser perseguita attraverso due vie: la ridondanza oppure inserendo messaggi in spazi dimensionali superiori.

E' dunque probabile che la selezione naturale abbia incorporato la ridondanza nella nostra interfaccia percettiva (22): il principio olografico afferma infatti come due dimensioni siano sufficienti a contenere l'informazione relativa a qualsiasi spazio 3D.
Almheiri, Dong e Harlow hanno scoperto come la ridondanza spaziale rivelata dal principio olografico rispecchi le proprietà di un codice in grado di correggere gli errori e tutelarsi dal rischio di cancellazione dei dati a causa del rumore.
La geometria dello spazio tempo potrebbe dunque consistere in un codice quantistico di correzione degli errori. (23)

Un altro teorema, conosciuto con il nome di "teorema dell'invenzione della simmetria" e dimostrato da Hoffman e Prakash, afferma che le simmetrie di frequente riscontrabili nelle nostre percezioni non hanno implicazioni per la struttura della realtà oggettiva.
Percezioni ed azioni possono sperimentare una simmetria (di traslazione, rotazione, speculare o covarianza di Lorentz) in un mondo che ne è privo.
Vedremmo dunque molti oggetti dotati di simmetria in quanto i codici di compressione dati e correzione errori si servono di algoritmi e strutture dati che la prevedono (24).   
In tal caso le simmetrie consisterebbero in programmi semplici, utili a comprimere i dati e correggere gli errori.

Quelle che riscontriamo quotidianamente nelle nostre percezioni mostrerebbero dunque il metodo con il quale comprimiamo e codifichiamo l'informazione, assolutamente non la natura della realtà oggettiva.

La TIP sostiene che le nostre percezioni si siano evolute per guidare l'esplorazione e l'azione adattiva; e questo significa ritenere che le interazioni causali tra oggetti fisici dello spaziotempo siano una mera finzione.

Tornando all'esempio del desktop di un computer, sappiamo bene come non sia lo spostamento dell'icona di un file nel cestino - operato muovendo il mouse - a causarne la distruzione fisica; parallelamente, quando vediamo la nostra mano prendere un cappello non abbiamo alcuna idea di cosa stia avvenendo nel mondo oggettivo. 
Il nostro stesso corpo è un'icona che nasconde una realtà complessa.

E' da notare poi come il recente sviluppo dei computer quantistici dimostri che l'ordine causale non sia poi così importante: la sovrapposizione di ordini causali produce infatti maggior efficienza (25).

La TIP pertanto condanna, oltre allo spazio tempo ed al suo contenuto, anche gli apparenti rapporti di causa-effetto per il fatto stesso di considerare la causalità fisica una mera finzione.

In questo consiste la principale differenza con la Teoria dell'Informazione Integrata (TII) di Giulio Tononi.
Per quest'ultimo infatti la coscienza si identifica con determinate proprietà causali dei sistemi fisici dello spazio tempo: tuttavia abbiamo appena affermato - a proposito dei computer quantistici - che i calcoli causali si dimostrano meno efficienti di quelli non causali.  
Di conseguenza, le due teorie risultano incompatibili tra di loro; se oggetti fisici - quali i neuroni - non risultano dotati di potenza causale, la Teoria dell'Informazione Integrata non può che identificare la coscienza con una finzione.

Qualora infine si riuscisse a postulare una teoria dell'interfaccia della nostra specie e dei suoi diversi livelli di compressione, potremmo scoprire che nulla della realtà oggettiva sia deducibile; e portando la cosa alle estreme conseguenze, anche la distinzione tra "vivente" e "non vivente" potrebbe derivare solo dalle limitazioni della nostra interfaccia, senza rivelare nulla sulla natura della realtà (26).

Le reti neurali consisterebbero dunque soltanto in uno dei numerosi simboli con i quali indichiamo i codificatori che correggono gli errori.

Proviamo ad immaginare come un agente cosciente interagisca con il mondo esterno, e cioè come si colleghino tra di loro "percezione" ed "azione":
(vedi immagine 3)

Immagine 3: le interazioni di un agente cosciente con il mondo

MONDO - (percepire) -> ESPERIENZE - (decidere) -> AZIONI - (agire) -> MONDO ... e così via.

Il mondo esterno all'agente cosciente viene percepito attraverso i sensi: l'esperienza così accumulata grazie alle percezioni permette all'agente di scegliere tra un menù di azioni possibili e di agire di conseguenza. 

L'azione provocherà una modifica del mondo esterno che verrà percepito in modo diverso, e così via in un loop PDA ("Percezione Decisione Azione") destinato a ripetersi di continuo, e che risulta plasmato da quelle funzioni che apportano valore adattivo (27).

Ogni volta che l'agente "agisce" modifica lo stato del mondo ed ottiene una ricompensa o una punizione adattiva.

Sopravvivono e si riproducono soltanto quegli agenti che "agiscono" in modi utili ad ottenere sufficienti ricompense adattive: la selezione naturale favorisce cioè gli agenti con loop PDA calibrati sulla fitness.

Per questi agenti la freccia "percepire" trasporta messaggi sulla fitness, e le esperienze consistono in tali messaggi: ne consegue possiamo tranquillamente affermare che i messaggi trasportati riguardano soltanto la fitness e non lo stato del mondo (28).

Ciò che percepiamo NON è dunque la realtà oggettiva.

Poiché percezioni ed azioni "costano" in termini di calorie, sono presenti pressioni selettive per limitarne il repertorio, rimanendo tuttavia al di sopra di una certa soglia così da non correre il rischio di non disporre di dati essenziali sulla fitness in momenti critici.

Agenti diversi hanno sviluppato repertori diversi: non risulta infatti esistere una soluzione universalmente valida (pensiamo all'importanza dell'olfatto nelle diverse specie).
Ogni agente si è specializzato per la propria nicchia, e la TIP che lo contraddistingue è differente rispetto a quella di un'altra specie.

Parlando di Chalmer e Tegmark abbiamo visto come una teoria della coscienza debba esser in grado di spiegare i "qualia": sapori, suoni e colori, come vengono prodotti dal cervello?

Inoltre, se accettiamo che lo spaziotempo sia condannato è indispensabile la formulazione di una nuova teoria in grado di spiegare da dove nascano esso stesso, gli oggetti, le loro proprietà e la stessa finzione dei loro rapporti di causa effetto.

Attenzione, non tutto è da buttare alle ortiche!

Per la scienza e la tecnologia tale finzione risulta utilissima in quanto ci aiuta a capire e sfruttare nel modo più efficiente l'interfaccia percettiva.
Ma se dobbiamo comprendere il fenomeno della coscienza tale finzione è solo un intralcio: la coscienza NON sembra nascere da un pacchetto di neuroni, non è "incarnata" (29).

Supponiamo per un momento di essere agenti coscienti che percepiscono, decidono ed agiscono, e che le nostre esperienze siano solo un'interfaccia che guida le nostre azioni in un mondo oggettivo non costituito da oggetti nello spazio tempo: dovremmo chiederci cosa sia quel mondo, e se esista una concreta possibilità di conoscerlo.

Hoffman propone la costruzione di una teoria che definisce "Realismo Cosciente"; essa consiste nel rifiutare l'ipotesi secondo la quale la coscienza possa emergere da elementi non coscienti (30).

Ammettendo che le esperienze coscienti esistano - e che esistano agenti coscienti che le vivono ed agiscono in base ad esse - la sfida è di costruire una teoria scientifica della coscienza i cui elementi fondamentali non siano gli oggetti nello spaziotempo ma piuttosto agenti coscienti immersi in una realtà costituita interamente dai soli agenti coscienti.

Il caso più semplice vede l'esistenza di due soli agenti coscienti: ciò che in precedenza abbiamo definito "mondo" (vedi il loop PDA di cui abbiamo trattato poc'anzi) per ciascuno di essi è rappresentato esclusivamente dall'altro agente.

La relazione che avevamo esaminato:

MONDO - (percepire) -> ESPERIENZE - (decidere) -> AZIONI - (agire) -> MONDO  ...    (vedi immagine n.1)

si trasforma come segue, tenendo conto che ora "MONDO" è il secondo agente cosciente:
(vedi immagine 4)

Immagine 4: le interazioni tra 2 agenti coscienti

ESPERIENZE (agente 1) - decidere -> AZIONI (agente 1) - agire (ag 1) / percepire (ag 2) -> ESPERIENZE (agente 2) - decidere -> AZIONI (agente 2) - agire (ag 2) / percepire (ag 1) -> ESPERIENZE (agente 1) -> ....      

Quando un agente cosciente "agisce", l'altro percepisce il cambiamento ed agisce di conseguenza creando così un loop.

Hoffman si sofferma poi a considerare l''importanza della sovrapponibilità delle interfacce percettive proprie di ciascuna specie: "... se un amico ci sorride percepiamo la sua felicità da 'insiders'; un semplice gesto racchiude un mondo di informazione che non è accessibile all'interfaccia di una specie diversa ..."

L'esperienza condivisa tra noi e l'amico - insieme alla similitudine dell'interfaccia percettiva - consentono questa comunicazione profonda.

Certo "... se spostiamo lo sguardo alle scimmie, alle formiche ed ai quarks la nostra capacità di 'vedere dietro l'interfaccia' diminuisce rapidamente: tuttavia si tratta di un declino dell'interfaccia, non di un impoverimento del mondo oggettivo ..."

In una tale visione risulta chiaro come ogni azione sia una scommessa sulle esperienze future: ogni agente dispone di un menù delle azioni e delle esperienze che ne possono derivare, cioè di "spazi misurabili".

L'agente cosciente è dinamico: percepisce, decide ed agisce: percependo cambia la sua esperienza, decidendo cambia la sua azione, agendo fa sì che cambino le percezioni degli altri agenti (un cambiamento condizionato, cioè un kernel markoviano).

La dinamica di un agente cosciente è sempre un kernel markoviano.
Un agente cosciente ha esperienze e possibilità di compiere azioni che sono menù (cioè spazi misurabili); percepisce, decide ed agisce provocando cambiamenti condizionati (kernel markoviani).

Conta quante esperienza ha avuto in passato.

Spazi misurabili possono descrivere sia i lanci di una moneta, sia gli eventi coscienti (esperienze gustative e cromatiche).

Probabilità e kernel markoviani possono dunque descrivere sia il caso che decisioni non coscienti, così come libero arbitrio e decisioni coscienti.

Hoffman ritiene pertanto che ogni aspetto della coscienza possa esser modellato da agenti coscienti.

Questi ultimi sono calcolatori universali in quanto reti da essi costituite si sono dimostrate in grado di eseguire qualunque compito cognitivo o percettivo (31), superando la necessità di presupporre l'esistenza di neuroni biologici e delle loro reti come elementi costitutivi della cognizione.

E' cioè possibile mettere la coscienza alla base, ed in seguito dimostrare come spaziotempo, materia e neurobiologia possano emergere come comportamenti dell'interfaccia percettiva di un certo tipo di agenti coscienti.

Gli agenti coscienti possono unirsi per formare nuovi agenti coscienti di livello superiore, che a loro volta possono unirsi ad altri e così via in una costruzione potenzialmente senza fine: quando due o più agenti interagiscono, ciascuno di essi conserva la propria autonomia individuale ma insieme "istanziano" in aggiunta un nuovo agente

Quanto più ciascuno degli agenti coinvolti riesce a prevedere le proprie esperienze dalle proprie azioni, tanto maggiormente integrata risulterà la dinamica complessiva, e più coesivo il nuovo agente così istanziato.

A sua volta un agente di livello superiore può influenzare con le sue decisioni ed azioni la dinamica degli agenti di istanziazione.

Alle decisioni di un agente cosciente contribuiscono sia quelle degli agenti al proprio livello (il "sistema 2" di Kahneman, cioè le decisioni esplicite che richiedono uno sforzo) sia le decisioni degli agenti coinvolti nella sua istanziazione (il "sistema 1", cioè quelle decisioni che vengono definite "emotive attitudinali e automatiche").

Mentre, unendosi, non c'è limite superiore al formare agenti più complessi, questi non possono suddividersi all'infinito in agenti più semplici: il fondo della gerarchia è quella degli agenti "ad un bit" che dispongono soltanto di 2 esperienze e di 2 azioni.

La dinamica di un agente ad un bit e delle interazioni tra due agenti di tale livello è analizzabile: possiamo cioè tentare di trovare un collegamento con le basi dello spaziotempo e con la fisica alla scala di Planck, e cercare di capire come fanno gli agenti a creare il desktop spaziotemporale.

Sorprendentemente il realismo cosciente afferma che possiamo vedere la realtà oggettiva nascosta "dietro il desktop": davanti e dietro lo schermo del desktop ci sono soltanto agenti coscienti (quali anche noi lo siamo).

Ma la varietà di tali agenti è così enorme che non possiamo neppure immaginare: tant'è che non siamo in grado neppure di figurarci un colore nuovo! (32).

Il realismo cosciente afferma dunque che, malgrado i limiti della nostra interfaccia percettiva, sia possibile una scienza della realtà oggettiva, degli agenti coscienti e delle loro interazioni.
Sebbene si riescano ad immaginare esperienze coscienti solo all'interno del repertorio dei sapiens possiamo elaborare una teoria scientifica di tutti gli agenti coscienti, compresi quelli che hanno esperienze per noi inimmaginabili (33).

Una parziale conferma sperimentale di quanto sin qui affermato è riconducibile dagli studi condotti su pazienti "brain splitted" da Roger Sperry (34): il bisturi nel momento in cui separa i due emisferi del cervello (è la descrizione dell'atto dal punto di vista fisicalista) procede al dis-assemblaggio di un agente cosciente di ordine superiore in due agenti coscienti di ordine inferiore (questa è invece la descrizione dal punto di vista del realismo cosciente).

Le interazioni tra quei due agenti (che in precedenza avevano istanziato un agente superiore) diventano più scarse in conseguenza del taglio operato.

Dunque, grazie alla creazione dell'icona di un cervello, l'interfaccia ci offre accesso diretto agli agenti ed alla loro combinazione: osservando ciascun emisfero l'interfaccia ci mostra reti formate da miliardi di neuroni, cosa che costituisce (forse) un accesso diretto ad un mondo di agenti coscienti che interagiscono ed istanziano agenti superiori.

Se invece ci limitassimo ad osservare il singolo neurone, studiandone la sua chimica e la sua fisica, non avremmo accesso diretto a nulla di tutto ciò: da qui la critica di Hoffman, secondo il quale il pensiero "fisicalista" rappresenta un limite allo sviluppo di una teoria della coscienza.

Il fatto che la quasi totalità dei nostri processi mentali non sembri esser cosciente è - secondo l'autore - dovuto al solo limite della nostra interfaccia: quando infatti parliamo con qualcuno possiamo soltanto presupporre di aver a che fare con un "essere cosciente".    Non possiamo cioè disporre di un'esperienza diretta della sua coscienza in quanto essa ci risulta inaccessibile.

Sbaglieremmo quindi a ritenere "non coscienti" la maggioranza dei nostri processi mentali solo perché non ne abbiamo esperienza: potrebbero infatti risultare coscienti per altri agenti a livello inferiore nella nostra istanziazione.

Un agente cosciente gode di un certo repertorio di esperienze, fa rete con altri agenti che a loro volta godono di una varietà enorme di repertori disparati: ne consegue come la maggioranza di queste esperienze esotiche sia preclusa al singolo agente (ed in particolare ciò vale per la gerarchia di agenti nella sua istanziazione).

Ogni agente può usare il suo repertorio per dipingere un quadro diretto (ma per forza di cose approssimativo) della propria istanziazione: un corpo, un cervello, neuroni, sostanze chimiche, particelle su una tela di spaziotempo.

E così ci convinciamo che lì non ci sia alcuna esperienza cosciente: è dunque il fisicalismo a trasformare il problema della coscienza in un mistero.

Un agente cosciente, oltre ad essere un repertorio di esperienze, decide ed agisce, e le azioni sono diverse dalle esperienze: quindi un agente cosciente può esser "consapevole" ma allo stesso tempo "non auto-consapevole" (non consapevole cioè delle proprie decisioni ed azioni).

Per esser "consapevole di sé" l'agente deve dedicare parte delle proprie esperienze (una parte della interfaccia percettiva) a rappresentare parte delle sue decisioni ed azioni: la sua interfaccia deve cioè disporre di icone che rappresentino le decisioni e le sue azioni.

Tuttavia, poiché l'agente vede sé stesso soltanto tramite la propria interfaccia percettiva, ne consegue che la visione sarà necessariamente incompleta: nessun agente potrà mai dare una descrizione completa di sé, quindi sarà forzatamente costretto a rimanere (almeno in parte) "non cosciente di sé".

Secondo il realismo cosciente ciò che conta non sono tanto le esperienze coscienti, ma gli agenti coscienti.

C'è un ottimo motivo evolutivo per "immaginare un sé": fare esperienza delle proprie azioni e delle loro conseguenze permette di apprendere, un modo ad esempio per evitare esperienze sgradevoli.

Inoltre, per conoscere altri agenti è indispensabile conoscere sé stessi: in questo senso possiamo affermare come tutta quanta la conoscenza sia "incarnata".

La teoria del realismo cosciente deve porsi come obiettivo quello di descrivere con precisione la dinamica degli agenti coscienti e mostrare come questa dinamica, proiettata sull'interfaccia dei sapiens, prenda l'aspetto della fisica moderna e dell'evoluzione darwiniana (si tratta di un forte limite empirico!).

Oltre a far si che la sua proiezione nella nostra interfaccia spaziotemporale spieghi tutti i dati a sostegno della fisica e dell'evoluzione, per ottenere lo status di teoria scientifica deve esser in grado di formulare nuove previsioni testabili.

Ad oggi Hoffman rivela di non saper ancora quali principi e quale dinamica degli Agenti Coscienti possano soddisfare tali requisiti, ma ritiene una pista interessante da seguire quella che parte dagli stessi e, attraverso la selezione naturale, porti alla fisica.

La seconda legge della termodinamica afferma che l'entropia di un sistema isolato non diminuisce mai; eppure è noto come la selezione naturale sia l'unico processo naturale, finora scoperto, che vi si opponga.

Potremmo allora definire l'entropia come un gap di informazione, cioè il "numero di domande" che avremmo bisogno di formulare affinché siano colmate "le nostre lacune di conoscenza".

L'informazione è il bene fungibile degli agenti coscienti.

Forse il "divieto della doppia spesa" (vedi criptovalute & block chain in merito) proiettato nell'Interfaccia Percettiva dei sapiens potrebbe prender l'aspetto del principio di conservazione.

O forse - come sostiene Federico Faggin - obiettivo primario degli agenti coscienti è la comprensione reciproca: in tal caso la loro dinamica potrebbe favorire le interazioni che aumentano lo scambio di informazione, e proiettata dalla rete degli agenti nell'interfaccia dei sapiens potrebbe prender l'aspetto dell'evoluzione per selezione naturale.

Agenti Coscienti e Realismo Cosciente sembrano assemblare idee antiche, proprie della religione e della filosofia, tuttavia traducendole in una teoria della coscienza che risulta precisa e testabile.

Hoffman ci sorprende ancora una volta constatando come la nostra specie abbia sviluppato la capacità di ragionare non per perseguire la verità, ma come strumento di persuasione sociale.

Per tal ragione i nostri ragionamenti risultano pieni di difetti: tendiamo ad accogliere favorevolmente qualsiasi opinione sostenga ciò di cui siamo già convinti (bias cognitivo di conferma) ed a contestare con maggior impeto le teorie altrui delle quali non siamo convinti.

Il metodo scientifico si avvale di tale limite al fine di perseguire la verità: dobbiamo dunque vedere la scienza non come una "teoria della realtà" ma come un "metodo di indagine".

Metodo che può testare e scartare ontologie: se le nostre percezioni si sono evolute per selezione naturale, FBT sostiene che dobbiamo scartare l'ontologia del fisicalismo.

Dunque lo studio degli oggetti fisici dello spazio tempo, seppur condotto da scienziati rigorosi con l'aiuto di tecnologie avanzate, è necessariamente uno studio di esperienze personali.

La scienza si limita dunque ad un confronto delle osservazioni personali per vedere se concordano tra loro: in tal caso diventiamo più sicuri delle nostre osservazioni e delle teorie che ne derivano (35), seppur rimanga valido il principio secondo il quale ciascun oggetto fisico studiato non sia altro che l'icona di un'interfaccia, non un elemento di una realtà oggettiva che sta dietro quell'interfaccia.

La teoria del Realismo Cosciente sostiene infatti che la realtà fondamentale sia costituita dalla coscienza, non dallo spaziotempo con i suoi oggetti: il modo migliore per descriverla è dunque attraverso una rete di agenti coscienti.

Tra i suoi compiti ci saranno quelli di fondare una teoria della gravità quantistica, spiegare l'emergere della nostra interfaccia spaziotemporale e dei suoi oggetti, spiegare la comparsa dell'evoluzione darwiniana all'interno di quell'interfaccia, e l'emergere della psicologia umana dall'evoluzione.

Un argomento affrontato di frequente nei dibattiti scientifici è quello della possibilità di assistere ad una singolarità, e cioè di vedere un'Intelligenza Artificiale diventare improvvisamente cosciente: Hoffman si chiede cosa possa dire in merito la propria teoria.

Secondo i fisicalisti le particelle fondamentali non sono dotate di coscienza, ma alcuni di loro ipotizzano che un oggetto (e cioè "un sistema di particelle non senzienti") possa generare spontaneamente una coscienza qualora la dinamica interna instanzi un particolare grado di complessità: una AI sufficientemente sofisticata potrebbe cioè accendere la scintilla di una coscienza reale.

Il realismo cosciente, al contrario, sostiene che nessun oggetto fisico sia cosciente:

"... se vedo un sasso, questo fa parte della mia esperienza cosciente ma non è di per sé cosciente.  Se vedo invece un amico, faccio esperienza di una icona che ho creato io stesso, ed essa non è cosciente: tramite questa icona tuttavia si apre tuttavia uno spiraglio sul ricco mondo degli agenti coscienti (un sorriso suggerisce un agente felice).

Vedendo invece il sasso interagisco con gli agenti coscienti  ma la mia icona di sasso non offre un portale per accedere alle loro esperienze..."

Quindi, relativamente all'AI, le domande che dovremmo porci sono due:

- "potremmo intervenire sulla nostra interfaccia per aprire nuovi portali sul mondo degli agenti coscienti?"

- "può una disposizione e programmazione di transistors creare una AI che apra un portale su quel mondo?"

Secondo Hoffman la risposta ad entrambe è "si": così come è stato in precedenza con i microscopi ed i telescopi.

Il Realismo Cosciente secondo l'autore abbatterà le frontiere tra scienza e spiritualità: gli agenti coscienti possono infatti unirsi creando così agenti sempre più complessi, e tale processo potenzialmente può continuare all'infinito.

Un numero infinito di agenti con potenziale infinito di esperienze, decisioni ed azioni risulta qualcosa di molto simile al concetto religioso di dio ma, a differenza di quest'ultimo, il realismo cosciente ne permette una descrizione matematica esatta: possiamo cioè dimostrare teoremi su agenti di questo genere e sulla loro relazione con gli agenti finiti quali siamo noi.
Una vera e propria "teologia scientifica" dove l'agente cosciente infinito non è onnisciente, onnipotente e onnipresente, da solo nella sua infinità.

Non sarebbe neppure necessario ipotizzare un essere supremo e superpotente in grado di trasgredire le leggi della fisica: tali leggi non descrivono infatti una realtà non cosciente, ma la semplice dinamica degli Agenti Coscienti proiettata nell'interfaccia dei sapiens.

E il "fine vita"?

Hoffman ci porta ad esempio una partita di beach volley in VR: la stiamo giocando con un amico che ad un certo punto ha sete e va al frigorifero; il suo avatar crolla come se fosse morto.
Ma l'amico non è morto, è solo uscito dall'interfaccia della VR ed al suo ritorno l'avatar riprenderà vita. (36).


Conclusione.

Quale tra le tre "strade" tracciate di cui abbiamo trattato - la teoria dell’informazione integrata, il modello ORCH-OR ed il Realismo Cosciente - porterà per prima ad una teoria della coscienza?
Saranno postulate nuove ipotesi che porteranno in direzioni completamente diverse la ricerca sull'argomento?
O saremo condannati a non risolvere mai questo mistero, così come un labirinto la cui soluzione sia basata sui numeri primi risulterà per sempre impraticabile ai nostri cugini primati?

Voglio esser ottimista come lo è stato Tegmark (e Chomsky) relativamente al medesimo quesito: prima o poi una tecnologia avanzata, oppure un modo diverso di vedere la realtà, apriranno alla possibilità di salire gli ultimi gradini della piramide dei problemi difficili di Chalmers.
Nel frattempo lo sforzo multidisciplinare messo in atto non potrà che creare serendipità, e cioè produrre conoscenza laddove non la si stava cercando: una delle caratteristiche più stupefacenti proprie della ricerca scientifica.


Note:

(a) Vedi in merito la relativa voce su wikipedia:  
https://it.wikipedia.org/wiki/Sinestesia_(psicologia)

(b)
Vedi quanto Rovelli scrive in "La realtà non è come ci appare", nell'ultimo saggio uscito nel 2020 "Helgoland" e l'intervista su Grand Continent (Groupe d’études géopolitiques):  https://legrandcontinent.eu/it/2021/08/05/interpretare-la-realta-come-un-tessuto-di-relazioni-conversazione-con-carlo-rovelli/



(c) Ecco il link alla public lecture di Nima Arkani-Hamed "The End of Spacetime":
https://www.youtube.com/watch?v=t-C5RubqtRA


(d) Einsten, quale fautore del realismo locale, rispondeva poi affermativamente.


(1) Ho usato "un cervello" al posto di "il nostro cervello" per evitare tentazioni di antropocentrismo: "pensare" non è infatti attività esclusiva della nostra specie.

(2) Di questo argomento tratta Yuval Harari nel citato saggio "Homo deus" e nel podcast "Coscienza, moralità ed altruismo" registrato con Max Tegmark il 31/12/2019 e disponibile sul sito del Future of Life Institute (FLI).

Ecco i links per accedere:

 al video del podcast 
       https://www.youtube.com/watch?v=qSUtn0as6fQ

- alla sua trascrizione:
     https://futureoflife.org/2019/12/31/on-consciousness-morality-effective-altruism-myth-with-yuval-noah-harari-max-tegmark/


(3) Max Tegmark ne tratta nel capitolo sulla coscienza del libro “Vita 3.0”.



(4) Questo vale per tutti gli esseri dotati di un cervello "biologico" evoluto: infatti anche gli animali sognano (vedi quanto scritto in merito dal neuroscienziato Sidarta Ribeiro nel saggio "L'oracolo della notte") e talvolta anche loro si spostano "col pilota automatico".



(5) Circa possibili (e diversi) stati di coscienza negli animali o nelle AI facciamo ancora riferimento al podcast "Coscienza, moralità ed altruismo" di Tegmark e Harari già citato in nota 2 dove Tegmark afferma:   

"... in realtà non sappiamo con certezza quali tipi di elaborazione delle informazioni siano consapevoli e quali no. Per molto tempo mi è stato riferito come sia lecito immergere le aragoste ancora vive in acqua bollente in quanto tali esseri non provino alcuna sofferenza.   
Un recente studio ha invece dimostrato come le aragoste provino dolore, e la Svizzera di conseguenza ha vietato tale pratica..."


Presumo l'autore si riferisca ad un test condotto nel secolo scorso nel corso del quale ad alcuni crostacei intenti a nutrirsi furono amputate parti del corpo senza che questi mostrassero alcuna reazione od interrompessero il pasto.
La conclusione che ne fu tratta sanciva che tali specie erano incapaci di provare dolore, dunque dotate di un grado di coscienza molto limitato.

Relativamente alle AI, già oggi risultano in molti campi dotate di un grado di intelligenza superiore rispetto alla nostra; in futuro potrebbero raggiungere uno stato di superintelligenza, seppur del tutto inconscia.
Si tratterebbe - in tal caso - di una novità inattesa per la nostra specie: i sapiens, sin dalla loro origine, hanno riconosciuto la possibile esistenza di esseri intelligentissimi (gli dei) ma in ogni caso dotati di coscienza di sé.

Harari solleva nel seguito del podcast un problema etico - al quale non siamo in grado di fornire risposta - circa la potenziale esistenza di un qualche tipo di coscienza nei sistemi di intelligenza artificiale: "... come potremmo mai accorgercene?.." si chiede.
Le AI un giorno potrebbero sviluppare una consapevolezza di sé che per noi risulterebbe del tutto impossibile da rilevare.
Una tale situazione potrebbe causare "immani dolori" dei quali noi saremmo direttamente responsabili, pur senza esserne consapevoli.

(6) Si tratta di trovare un modo per identificare la presenza di una sindrome "locked in" a causa della quale il paziente riceve ed elabora informazioni provenienti dall'ambiente esterno - dunque è cosciente di ciò che accade - ma si trova nell'impossibilità di comunicare.
Ha trattato questo argomento 
Marcello Massimini nel corso dello speach "Intelligenza e coscienza: viaggio nei circuiti del cervello" tenuto al Focus Live di Milano nel novembre 2019.

(7) Vedi la voce "Qualia" su Wikipedia:
     https://it.wikipedia.org/wiki/Qualia


(8) In realtà le due voci non corrispondono: 'pensieri veloci' prende spunto dal titolo del saggio di Daniel Kahneman "Pensieri lenti e pensieri veloci", mentre "euristiche" è il termine utilizzato da Gerd Gigerenzer.

Quest'ultimo ha trovato alcune incoerenze nel modello di Kahneman: bias ed euristiche, secondo Gigerenzer, sono infatti cosa diversa.

"... mentre i bias cognitivi sono costrutti fondati su percezioni errate o deformate, spesso anche pregiudizievoli, le euristiche sono, al contrario, dei procedimenti mentali intuitivi, veloci e immediati, delle 'scorciatoie' grazie alle quali il nostro cervello ci permette di elaborare un pensiero o un’idea a riguardo di un determinato argomento senza eccessivo sforzo cognitivo..."

"...le 'decisioni Intuitive', le buone intuizioni vanno oltre la logica, ma bisogna precisare che un’intuizione ci aiuta a scegliere meglio purché siamo degli esperti, dei professionisti in materia, non dei principianti..."

Dunque non c'è la supremazia dei "pensieri veloci" su quelli "lenti": la famosa "regola del pollice" di Gigerenzer afferma che il pensiero veloce funziona solo a patto di esser esperti nel campo nel quale tale "pensiero" ci propone una soluzione.

In caso contrario potrebbe esser addirittura controproducente.

Ecco il link all'articolo:
https://www.economiacomportamentale.it/2017/11/15/la-sfida-gigerenzer/




(9) Gli esperimenti di Benjamin Libet condotti negli anni 60 mostrarono come le aree del cervello preposte al movimento si attivino 0,5 secondi prima che l’ordine cosciente sia impartito (ecco il link al mio post "Libero arbitrio e libera volontà: i limiti fisiologici alla libertà individuale").

All'inizio del nuovo millennio John-Dylan Haynes condusse esperimenti i cui risultati sono stati pubblicati nel 2008 su Nature Neuroscience (vedi "Unconscious determinants of free decisions in the human brain").
Attraverso l’uso della RMF riuscì a predire le decisioni dei soggetti sottoposti all’esperimento con un anticipo fino a 10 secondi.

(10) Ho trattato dei pazienti brain splitted sul mio blog:
"Il mistero della coscienza, i NCC ed i pazienti sottoposti a split brain"

Qui di seguito il link al TED 
registrato nel giugno 2010 tenuto da V.S. Ramachandrany che ha studiato i pazienti sottoposti a tale pratica chirurgica, ed in particolare uno di essi una cui parte del cervello risultò atea mentre l'altra credente:

       Split brain with one half atheist and one half theist

(11) Il riferimento è al già citato speach tenuto da Marcello Massimini il 24/11/19 in occasione del Focus Live a Milano.
E' possibile visionare i lucidi proiettati accedendo al seguente link e 
scorrendo verso il basso sino alla 7^ conferenza:

 "intelligenza e coscienza: viaggio nei circuiti del cervello"  

(12) Non disponendo di una teoria della gravità quantistica non possiamo azzardare alcuna ipotesi sulla natura ed i dettagli del meccanismo che provoca il collasso.

(13) Per una descrizione del modello ORCH-OR di Roger Penrose e Stuart Hameroff si può consultare 
la voce relativa su Wiki:
   
https://it.wikipedia.org/wiki/Orch-Orveda.

Una descrizione divulgativa di tale modello è rintracciabile nelle ultime pagine del saggio di Jim Al-Khalili "La fisica dei perplessi"


(14) Vedi il testo di Roger Penrose "Consciousness in the universe" del 2014.

(15) Vedi Abraham Pais, "Einstein & the Quantum Theory".

(16) Il teorema Fitness Beat Thruth (FBT) è stato dimostrato matematicamente nel 2015 da Chetan Prakash, un collaboratore di Donald Hoffman:
http://cogsci.uci.edu/~ddhoff/FitnessBeatsTruth_apa_PBR

(Non mi dilungherò oltre in questa sede sulle sue importanti implicazioni: qualora sia di interesse, ne tratterò altrove).

(17) Le icone su un desktop di un PC non mostrano davvero cosa "stia loro dietro".
Ad esempio un file - rappresentato sul mio desktop come un quadrettino colorato - non ha in realtà né forma né colore: è invece costituito da una disposizione di atomi sul mio disco fisso, spesso neppure adiacenti l'uno all'altro.

Fine delle icone è rappresentare in maniera semplice qualcosa di molto complesso.

(18) Si tratta di un profilo di un cubo 3D disegnato su una superficie piana.
Guardandolo, talvolta percepiamo il vertice in basso a destra come appartenente alla faccia più vicina a noi, mentre in altre occasioni lo stesso ci sembra appartenere a quella più lontana. 

Ciò che non riusciamo a fare è visualizzarlo "contemporaneamente" in entrambe le posizioni.

Ogni volta che chiudiamo e riapriamo gli occhi, il cubo viene costruito dal nostro cervello presentandoci un'opzione o l'altra, senza che si riesca a predire quale delle due vedremo la prossima volta.

(19) In un tale scenario la matematica potrebbe rappresentare il "linguaggio di programmazione" della nostra interfaccia percettiva, cosa che permetterebbe di risolvere il paradosso "dell'incredibile efficacia della matematica nello studio delle scienze naturali".
(vedi "
The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural" di EUGENE WIGNER)

(20) Ad esempio non percepiamo il rischio lontano nel tempo rappresentato dai milioni di muoni che attraversano il nostro corpo danneggiandolo con radiazioni ionizzanti, ma siamo in grado di vedere in un attimo una tigre nella boscaglia, o di ritirare all'istante la mano se abbiamo toccato qualcosa di troppo caldo (rischi le cui conseguenze sono più immediate).

(21) Una mela ci potrebbe appare più vicina di un'altra perché il bilancio "calorie spese / guadagnate dalla sua ingestione" sarebbe favorevole a questa: dunque “spazio” come rappresentazione iconica di diversi gradi di opportunità.

(22) I fisici Bekenstein ed Hawkins sostennero: "lo spazio tempo è ridondante".

(23) "...Spazio tempo ed oggetti come codice usato dai nostri sensi per riferire la fitness che ricorre alla ridondanza per contrastare il rumore..." sostiene Hoffman.

(24) Un eccesso di informazioni sulla fitness può esser compresso ad un livello accettabile per mezzo delle simmetrie: nel caso di una mela, invece di memorizzare una matrice di punti ogni volta che ci spostiamo di lato, possiamo ricorrere alle simmetrie di rotazione e traslazione.

(25) Siamo abituati ad un sistema di calcolo dove l'ordine conti:

20 / 4 + 2 = 7 mentre 20 + 2 / 4 = 20.5

I computer quantistici, più efficienti di quelli tradizionali, non tengono in conto l'ordine causale definito ma si servono di sovrapposizioni di ordini causali.

(26) Lo vedremo più avanti trattando della rete degli agenti coscienti, ma esiste in concreto la possibilità che la realtà oggettiva sia costituita da soli agenti coscienti e priva di "materia inanimata".

(27) Il valore adattivo di un'azione dipende sia dallo stato del mondo che da quello dell'organismo (l'agente).

(28) Le esperienze sono una buona interfaccia in grado di guidare le azioni che permettono di raccogliere abbastanza punti adattivi sufficienti per sopravvivere ed allevare la prole.

Dopo innumerevoli generazioni di selezione spietata, ciascun agente è modellato per scegliere azioni che apportino benefici adattivi desiderabili. 

Coordinamento percezione-decisione-azione: chi lo possiede gode di percezioni che formano un'interfaccia utile.

(29) Vedi in merito la discussione tra Crick e Hoffman che apre uno dei capitoli del saggio "L'illusione della realtà", Donald Hoffman, 2020



(30) Hoffman parte dalla constatazione di come finora, nonostante decenni di sforzi, non sia stato possibile costruire alcuna teoria fisicalista della coscienza.

E' poi da rilevare come TIP e Realismo Cosciente siano ipotesi tra di loro indipendenti: la realtà dietro la TIP potrebbe infatti non esser cosciente.

Il realismo cosciente differisce anche dal panpsichismo: quest'ultimo sostiene che "tutti gli oggetti siano coscienti" mentre il primo si limita a ritenere gli oggetti materiali da noi percepiti come mere creazioni del nostro cervello (e dunque non esistano quando non li guardiamo).

(31) Sono state infatti costruite reti di agenti coscienti in alternativa alle reti neurali tradizionali, ed esse hanno dimostrato di poter assolvere tutti i compiti svolti da queste ultime.

(32) Vedi in merito quanto scrive Oliver Sacks in "Allucinazioni": le esperienze giovanili con droghe psichedeliche lo hanno condotto a "percepire" un colore dalla sfumatura blu violetto inesistente in natura. 

La sua memoria ha registrato questo ricordo generato da un'attività "insolita" del suo cervello, stimolato da sostanze psicotrope, mettendoglielo a disposizione come esperienza.


(33) Nello stesso modo in cui, in matematica, riusciamo a trattare entità con un numero di dimensioni spaziali superiore a tre, le uniche di cui possiamo aver esperienza.

(34) Negli anni '60 del secolo scorso un gruppo di pazienti afflitti da gravi crisi epilettiche vennero sperimentalmente sottoposti ad un intervento chirurgico denominato "brain splitting".
Tale intervento consisteva nella resezione del corpo calloso che unisce i due emisferi del nostro cervello (in italiano è tradotto con il termine "callosotomia").

Si era infatti scoperto come l'epilessia fosse provocata da un'intensa scarica elettrica che, propagandosi come in una reazione a catena attraverso le sinapsi, coinvolgesse i neuroni ad esse collegati.

Separando i due emisferi, era l'ipotesi alla base dell'esperimento, sarebbe risultata ridotta l’area interessata, coinvolgendo in effetti una sola tra le due parti del cervello.

L'osservazione degli effetti a distanza di tempo portò ad una scoperta inaspettata: in seguito alla separazione dei due emisferi talvolta la coscienza del paziente si … sdoppiava!
Roger Sperry è un ricercatore che ha condotto parecchi esperimenti, a distanza di anni, sui pazienti sottoposti a questo intervento.

E' disponibile ampia letteratura scientifica che rileva come taluni di loro muovessero gli arti, destro e sinistro, in apparente contraddizione: 

"…una mano abbottona la camicia mentre l’altra compie l’operazione inversa, senza che il soggetto ne sia consapevole…".

Addirittura si è registrato un caso di un paziente - portato all'attenzione dal neuroscienziato V. S. Ramachandran (il cui intervento è registrato su youtube) - "dotato" di un cui emisfero ateo e l'altro religioso:

"cosa farà San Pietro quando si troverà di fronte l'anima del paziente?" - si chiede ironicamente il ricercatore - "Applicherà una sentenza salomonica?".

Per il link al relativo video di youtube vedi nota 10

(35) Si veda in merito Bruno De Finetti in "L’invenzione della verità" pubblicato nel 1934, circa la possibilità di ottenere dall'utilizzo del metodo scientifico "una conoscenza condivisa ed affidabile, anche senza certezze assolute".

(36) Hoffman si chiede se anche la nostra morte possa ricondursi ad un simile esempio.

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