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venerdì 23 settembre 2022

Parrocchiale ed Universale: dove potrebbe nascondersi alle nostre ricerche una vita aliena e perché siamo ancora troppo condizionati dal pregiudizio antropico negli attuali progetti in atto.

Il dubbio che il nostro pianeta non sia l'unico posto ad ospitare esseri viventi risale alla notte dei tempi; in fin dei conti il cielo è sempre stato considerato dimora degli dei, i quali venivano immaginati a nostra immagine e somiglianza.

La possibilità che, oltre agli dei, altri esseri simili a noi abitino i corpi celesti che vediamo attraversare la volta celeste durante le nostre notti è stata presa in considerazione da almeno uno scrittore dell'epoca classica: nel secondo secolo d.c. Luciano di Samosata racconta in "Storia vera" un incontro con gli abitanti della Luna, i seleniti, all'epoca in guerra con il re del Sole per la colonizzazione di Vespero, il pianeta Venere (1).
Benché si trattasse di una parodia nei confronti delle opere di scrittori contemporanei, Luciano è a tutti gli effetti considerato il primo scrittore di fantascienza.

Il primo a credere nell'esistenza di altri mondi simili al nostro abitati da persone dotate di intelligenza fu senza dubbio Giordano Bruno, che ne parlò diffusamente ne "La cena delle ceneri" nel 1584 (2).

Dobbiamo tuttavia aspettare la letteratura fantastica dell'800 - con Jules Verne e Herbert George Wells - per riscontrare descrizioni dettagliate di "extraterrestri" e del loro habitat.

Ciò che accomuna tutti questi scritti è la presenza di alieni quali esseri dotati di intelligenza e capacità di comunicare simile alla nostra; descrivere un mondo abitato da sole forme di vita semplici, vegetali o animali di piccola taglia, non era forse il modo giusto per catturare l'attenzione dei lettori.
La domanda che fino all'inizio del secolo scorso ci si poneva non era dunque "c'è vita altrove?" quanto piuttosto "altrove esistono esseri intelligente simili a noi?".

Questo "bias" ha condizionato pesantemente la ricerca di vita nell'universo condotta dalla metà del secolo scorso, e come vedremo la influenza ancora oggi (anche se con minore intensità).
La ragione della presenza (e persistenza) di questo "condizionamento" è legata alla mancanza di mezzi per "andar a vedere di persona" cosa ci sia su corpi celesti lontani; se escludiamo le ricognizioni condotte dalle sonde "nei nostri pressi", l'unico modo per verificare la presenza di vita su mondi lontani è ... mettersi in ascolto.
Cioè la possibilità di intercettare comunicazioni che non possono che esser generate da civiltà evolute.

Jack Cohen e Ian Stewart, nel saggio "Evolving the alien" (2002), introducono il termine "estelligenza" (3).
Con esso intendono definire la capacità degli esseri intelligenti di metter insieme le loro conoscenze, in modo che tutti possano accedervi.
La presenza di estelligenza rappresenterebbe per gli autori la condizione indispensabile per lo sviluppo di civiltà in grado di comunicare con altre situate in una diversa regione del nostro universo.
Esempi di estelligenza realtivi al nostro pianeta sono internet - una infrastruttura che permette una condivisione del sapere in modo molto efficiente - e la costruzione di astronavi.


La ricerca di vita aliena.

L'inizio della ricerca organizzata di vita aliena si può far risalire al 1959, quando su "Nature" Giuseppe Cocconi e Philip Morrison pubblicano un articolo intitolato "Searching for interstellar communications".
In esso gli autori sostengono che i radiotelescopi abbiano raggiunto una sufficiente sensibilità per raccogliere eventuali messaggi radio inviati da civiltà aliene, e suggeriscono di cercare nella frequenza di riferimento 1420 Mhz, cui corrisponde la riga spettrale a 21 cm dell'idrogeno neutro, in considerazione del fatto che  l'idrogeno sia elemento più comune nel nostro universo.

Nel 1960 l'astronomo Frank Drake, che considerava il “contatto” sotto forma di segnali luminosi o radio inevitabile negli anni a venire, decide di metter alla prova l'idea di Cocconi e Morrison avviando il Progetto Ozma, una ricerca di segnali simili provenienti da stelle vicine quali Epsilon Eridani e Tau Ceti; tuttavia nessun segnale venne rilevato (4).

Nel 1961, assieme a J. Peter Pearman, Drake organizza una conferenza al NRAO con argomento "la ricerca dell'intelligenza extraterrestre" (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), ed in tale occasione propone ad una dozzina di scienziati la sua famosa equazione che fornirebbe una stima sul numero di civiltà aliene presenti nella nostra galassia in grado di comunicare via radio in un dato momento (5).


L'intento di Drake non era certo quello di fornire un dato preciso - se presa alla lettera la sua equazione presenta parecchi difetti il maggiore dei quali è l'esser parecchio sensibile agli errori - quanto piuttosto isolare i fattori più importanti sui quali gli scienziati avrebbero dovuto concentrarsi.

Oggi l'equazione di Drake ci sembra ingenua in quanto da per scontate premesse che non lo sono affatto:
- che la vita possa svilupparsi soltanto su pianeti;
- che eventuali civiltà extraterrestri utilizzino come mezzo di comunicazione radiomessaggi;
- che si disponga della capacità di riconoscere le comunicazioni aliene in quanto comunicazioni.

Vedremo oltre in questo post come la vita potrebbe essersi sviluppata anche su corpi diversi dai pianeti, che le comunicazioni radio non rappresentano l'unico mezzo di comunicazione, e che oggi anche noi "terrestri" codifichiamo i segnali digitalmente al fine di comprimere le informazioni ed eliminare gli errori dovuti al rumore.

A proposito di quest'ultima affermazione, nel 2000 Michael Lachmann, Mark Newmann e Chris Moore dimostrano che le comunicazioni codificate in modo efficiente appaiono identiche a casuali radiazioni da corpo nero (cioè lo spettro di radiazione elettromagnetica proveniente da corpo opaco non riflettente e che rimane a temperatura costante).

Nel 2013 Sara Seager "aggiorna" l'equazione di Drake in modo tale che, invece di fornire la stima sul numero di civiltà aliene presenti nella nostra galassia in grado di comunicare via radio in un dato momento, ritorni un valore che rappresenti "il numero di pianeti con segni di vita rilevabili", e cioè quelli sui quali la presenza di vita generi un gas che abbiamo la possibilità di individuare tramite gli strumenti che iniziano ad esser disponibili per lo studio degli esopianeti (6)

Si tratta di un bel salto di qualità.

L'ascolto di Drake è passivo e ritorna un dato positivo solo in presenza di esseri intelligenti che, organizzati in società (impossibilitati a sopravvivere da soli) e spinti dalla necessità di comunicare per sviluppare l'estelligenza, avrebbero sviluppato a tal fine una tecnologia basata sulle onde elettromagnetiche.

La Seager invece si propone di utilizzare le onde elettromagnetiche provenienti da sistemi solari ed esopianeti (o esolune) per ricercare segni di trasformazioni chimiche legate alla presenza di qualsiasi tipo di vita, dai batteri agli organismi complessi.

Il vero successo di Osma arrivò molti anni dopo: il programma SETI (acronimo di Search for Extra Terrestrial Intelligence) fondato nel 1984 da Thomas Pierson e Jill Tarter per supervisionare la ricerca sistematica di comunicazioni aliene, ancora attivo ai nostri giorni (7)




La Goldilocks zone ed i pregiudizi che affliggono la ricerca di vita aliena.

Un principio che ha guidato sin qui la ricerca e che oggi si ritiene errato è il seguente: il luogo perfetto per la vita dovrebbe cercarsi su pianeti di tipo terrestre (dimensioni simili alla Terra, più o meno alla stessa distanza da una stella dello stesso tipo del Sole, la cui superficie sia una mescolanza di acqua liquida e roccia.

Il motivo per cui riteniamo sia sbagliato puntare solo su questo obiettivo è che contrasta con il principio biologico fondamentale secondo il quale "la vita si adatta all'ambiente".
Sulla Terra troviamo infatti forme viventi anche in habitat estremi, laddove sino a pochi decenni fa eravamo certi la vita non avesse la possibilità di svilupparsi.

Ian Stewart sostiene sia un pregiudizio chiamare "estremofili" le forme di vita che troviamo nelle profondità delle fosse oceaniche, ad altissime temperature vicino ai camini che emergono dalle fratture delle placche continentali, nei ghiacci dell'Antartide: quelle creature stanno bene lì, si sono adattate all'ambiente in cui vivono e addirittura muoiono se trasportate altrove (dal loro punto di vista saremmo noi gli estremofili!).

Tutte le forme di vita sul nostro pianeta risultano reciprocamente collegate: la vita sembrerebbe essersi evoluta da un unico sistema biochimico primordiale.

Alcuni biochimici hanno provato a produrre delle varianti di molecole che costituiscono la base genetica terrestre (DNA, RNA, aminoacidi e proteine) per verificare se le molecole utilizzate dalla vita sulla terra siano le uniche in grado di funzionare: ebbene, il sorprendente risultato è che anche queste molecole potrebbero fungere da mattoni alternativi per il fenomeno vita!

Altrove, la biologia potrebbe esser diversa ed utilizzare una chimica radicalmente diversa; addirittura essa potrebbe evitare del tutto la chimica, non presentandosi come molecolare!

Quindi l'attuale ricerca di esopianeti con caratteristiche simili alla Terra - posizionati nella cosiddetta "Goldilocks zone" (8) che permetterebbe la possibile presenza di acqua allo stato liquido - dovrebbe rappresentare solo il primo passo nella ricerca di vita aliena: ogni indagine rigorosa dovrebbe cioè tener conto che quella di tipo terrestre potrebbe essere soltanto una varietà particolare del fenomeno "vita".

Peter Behroozi e Molly Peeples hanno di recente reinterpretato le statistiche degli esopianeti fornite dalla missione Kepler nel contesto dell'attuale conoscenza dei processi di nascita delle stelle nelle galassie, ed hanno così derivato una formula che illustra come il numero dei pianeti nell'universo cambia nel tempo (presentata nell'articolo "On the history and future of cosmic planet formation", 2015)
Attraverso il suo utilizzo è possibile calcolare una percentuale di analoghi terrestri: partendo dalla cifra totale dei pianeti ed inserendo l'età dell'universo si stima oggi ci siano 100 x 10^18 pianeti di tipo terrestre (circa 500 milioni in ogni galassia).


Non è detto che solo i pianeti di tipo terrestre possano ospitare la vita: le "Super-Terre" e la tettonica a placche.

Dimitar Sasselov, Diana Valencia e Richard O'Connell hanno eseguito simulazioni che restituiscono un dato interessante: le cosiddette "Super-Terre" (pianeti extrasolari di tipo roccioso con massa compresa tra 2 e 10 masse terrestri) potrebbero esser più adatte alla vita rispetto a pianeti di tipo terrestre a causa della tettonica a placche.
Sulla Terra il movimento dei continenti aiuta a mantenere stabile il clima riciclando l'anidride carbonica attraverso il fondo degli oceani, la subduzione ed i vulcani.
Se il clima è stabile è più probabile che l'acqua rimanga liquida, dunque la vita basata sull'acqua ha più tempo per evolversi.

La deriva dei continenti risulta pertanto importante per migliorare l'abitabilità di un pianeta.

Le simulazioni di Sasselov & c. hanno fornito prove del fatto che la deriva dei continenti possa esser caratteristica comune anche alle Super-Terre; tuttavia le placche di questi grandi pianeti risulterebbero più sottili e dotate di movimenti più veloci, cosa che fornirebbe loro un clima più stabile del nostro.
E di conseguenza su questo tipo di pianeti sarebbe più facile riscontrare l'evoluzione di forme di vita complessa.

Inoltre poiché il numero di Super-Terre nell'universo è stimato maggiore rispetto al numero di pianeti "tipo terra", ne consegue che, a parità di probabilità di assistere alla comparsa della vita su pianeti rocciosi, essa sarà riscontrata più di frequente sulle Super-Terre.

Altra situazione da non trascurare è il fatto che la Terra non si presenta come ambiente ottimale per la tettonica a placche: rientra infatti per un pelo nell'estremità inferiore della gamma di dimensioni ritenute adatte alla comparsa del fenomeno.


Forse la vita non ha bisogno di un pianeta: le lune di Giove e Saturno.

Fuori dalla zona abitabile del sistema solare ci sono tuttavia altri corpi candidati a trovarvi la vita, quanto meno in forma batterica; si tratta dei satelliti Europa, Ganimede, Callisto, Titano e Encelado.

Persino su Cerere - un asteroide - potrebbe esistere del ghiaccio sotto la superficie, un ingrediente giudicato necessario alla vita.

Carl Sagan negli anni 60 del secolo scorso addirittura suggerì che forme di vita batteriche potrebbero galleggiare nell'atmosfera di pianeti gassosi quale Giove; nella serie "Cosmo" si spinse ad ipotizzare che addirittura potrebbero essersi evolute forme di vita più complesse con l'aspetto di palloncini o aquiloni.

Il fatto che Giove emetta intense radiazioni non costituisce una valida obiezione alla sua ipotesi: alcuni batteri infatti prosperano in alta atmosfera terrestre dove le radiazioni sono intense.
Recenti esperimento con i tardigradi dimostrerebbero che questi organismi sono in grado di sopravvivere addirittura nello spazio.

I cinque satelliti citati all'inizio di questa sezione sono accomunati dal fatto di presentare oceani al di sotto della superficie ghiacciata, la cui esistenza in forma liquida è consentita dalle enormi forze mareali esercitate da Giove su questi corpi.

Sappiamo che in fondo agli oceani terrestri esistono sorgenti idrotermali popolate da organismi relativamente complessi quali vermi e gamberetti; per quale motivo escludere la possibilità che anche su Europa la vita si sia sviluppata in ambienti simili?

Titano, satellite di Saturno, ha un diametro pari ad una volta e mezza quello della Luna, una temperatura superficiale pari a -180° C e, caratteristica insolita per un satellite, risulta dotato di una densa atmosfera.
La sonda Cassini ha riscontrato l'esistenza di laghi e fiumi che ne solcano la superficie costituiti da metano ed etano liquidi.
La quasi totalità della sua atmosfera (98%) è composta da azoto; per il resto una miscela di metano, idrogeno e pochi altri gas quali etano, acetilene, propano, cianuro di idrogeno, anidride carbonica, monossido di carbonio, argon ed elio.
Molte di queste molecole sono organiche, basate sul carbonio, ed alcune sono idrocarburi che si pensa si generino dalla scissione del metano ad opera della luce ultravioletta del sole, formando così un denso smog arancione.

Simulazioni dimostrano come sarebbero sufficienti soltanto 50 milioni di anni per scindere tutto il metano dell'atmosfera di Titano, dunque qualcosa ne alimenta continuamente le riserve.
L'attività vulcanica per generare tale effetto dovrebbe attingere a vasti serbatoi sotterranei della quale esistenza al momento non abbiamo notizia.
Oppure ... potrebbe esser chiamata in causa l'azione di un organismo esotico primitivo, un vero e proprio "alieno".

Per analogia, anche il nostro ossigeno sarebbe scomparso molto tempo fa qualora le piante terrestri non contribuissero a rigenerarlo continuamente attraverso la fotosintesi.

Anche se su Titano non è stata riscontrata la presenza di acqua liquida, gli esobiologi ritengono possibile che altri fluidi - quali etano o metano, in grado di diluire molte sostanze chimiche - possano aver consentito la creazione di sistemi complessi quali la vita nella forma che conosciamo.

Un batterio sviluppatosi in questo ambiente potrebbe ricavare energia dalla reazione dell'idrogeno con l'acetilene, ottenendo come prodotto il metano che i nostri strumenti hanno riscontrato nell'atmosfera della luna di Saturno.  E sarebbe solo il primo mattone per la costruzione di organismi complessi cui la selezione naturale modellerebbe forme e funzioni in modo alternativo a quanto accadde sulla Terra.


Caratteri "parochial" e "universal": il motivo per cui potremmo non riconoscere un alieno.

Tuttavia la sola chimica non basta a creare la vita: occorre una chimica organizzata che si possa sviluppare lungo linee evolutive come quelle che hanno portato alla formazione della cellula sul nostro pianeta.

Le nostre cellule sono racchiuse in una membrana formata da fosfolipidi, composti da atomi di carbonio, idrogeno, ossigeno e fosforo (9).

Nel 2015 James Stevenson, Jonathan Luine e Paulette Clancy hanno presentato un analogo di una membrana cellulare che funziona nel metano liquido costituita da carbonio, idrogeno ed azoto, vedi in merito l'articolo "Membrane alternatives in worlds without oxigen. creation of an azotosome" (10).

Se esaminiamo le manifestazioni del fenomeno "vita" sul nostro pianeta ci accorgiamo della presenza di milioni di specie, spesso molto differenti l'una dall'altra: aspetti diversissimi sono dovuti ai processi di adattamento all'ambiente che non terminano mai (l'ambiente continua a mutare).
Possiamo pertanto affermare che la vita si evolve in base alle condizioni ed agli ambienti prevalenti, e risulta molto eterogenea.

La probabilità di trovare forme di vita simili a quelle che riscontriamo sulla Terra è pertanto insignificante, anche qualora trovassimo un pianeta con un ambiente del tutto simile al nostro.

Distinzione fondamentale nella xenoscienza - rimarcata da Jack Cohen nel testo "Evolving the Alien: the Science of Extraterrestrial Life" scritto nel 2002 insieme a Ian Stewart (11) è quella tra caratteri "parochial" (parrocchiali) e "universal" (universali).

Un parrocchiale è una caratteristica speciale che si evolve per un caso della storia: ad esempio la nostra via alimentare che attraversa le vie aeree. Essa provoca ogni anno una serie di decessi causati dall'inalazione di ... arachidi!
Invece di essere ingerite le arachidi possono talvolta occludere le vie respiratorie e in casi gravi portare alla morte per asfissia.
Si tratta di un "difetto di progettazione" del nostro corpo che tuttavia genera un limitato numero di vittime, troppo piccolo per dar luogo alla sua eliminazione ad opera dell'evoluzione, e che risale ai nostri antenati pisciformi i quali, vivendo nel mare, non correvano lo stesso rischio.

Un universale invece è una caratteristica generica che offre evidenti vantaggi di sopravvivenza: la capacità di rilevare il suono o la luce, di volare in un'atmosfera, nuotare in un liquido, muoversi sul terreno.
Segno distintivo di un universale è il fatto che si sia evoluto più volte in maniera indipendente.
Sul nostro pianeta il percorso evolutivo seguito da insetti, uccelli e pipistrelli è stato diverso: l'acquisizione della capacità di volare è avvenuta in tempi diversi per queste specie, dunque possiamo considerare il volo un carattere universale.
Analizzando i percorsi evolutivi delle specie che hanno sviluppato la capacità di volare ci accorgiamo che differiscono tra di loro per aspetti parrocchiali: ad esempio il disegno delle ali varia parecchio da una specie all'altra, ma tutti quanti sono stati selezionati dallo stesso universale sottostante.

Questa distinzione però collega la funzionalità direttamente alla storia evolutiva terrestre: e non è in grado di rispondere ad esempio a domande quali se l'intelligenza a livello umano (o superiore) sia da considerarsi un universale o un parrocchiale.

Nei polpi e nei delfini l'intelligenza si è evoluta in modo indipendente, ma non ha mai raggiunto il nostro livello: è destinata a raggiungerlo in un futuro?
Non sappiamo neppure confermare se l'intelligenza soddisfi il test "caratteristica evoluta più volte indipendentemente", anche se sembra offrire ottimi vantaggi per la sopravvivenza a breve termine nel proprio ambiente.

Sembrerebbe senza dubbio un universale, ma ...

Se esistesse una vita aliena su un altro pianeta sarebbe probabile riscontrarvi universali tipo quelli terrestri, certo non gli stessi parrocchiali.

Anche la biochimica terrestre è con ogni probabilità un parrocchiale.
Esperimenti dimostrano che possono esistere innumerevoli varianti vitali del nostro sistema "DNA-RNA–20 aminoacidi".

Le fiamme poi condividono molte caratteristiche proprie di ciò che consideriamo vivente - la capacità di riprodursi, la mobilità, ecc. -  ma non le conteggiamo certo tra gli esseri viventi!

Non sappiamo deciderci neppure se considerare i virus esseri viventi o meno.

Gli autori del testo sostengono che l'errore che facciamo stia nel fatto di immaginare che esista una cosa chiamata "vita", e che ci sforziamo di metter in risalto ciò che "quella cosa sia".
La vita - sostengono - è invece un concetto che i nostri cervelli hanno estratto dalla complessità di ciò che ci sta intorno, e che consideriamo importante.

I biologi ragionano in termini di molecole organiche, hanno scoperto come funziona la vita sul nostro pianeta, pertanto la loro immagine di vita aliena assomiglia molto a ciò che meglio conoscono.

I matematici (come Ian Stewart) ed i fisici tendono invece a pensare "strutturalmente": per loro non conta quello da cui la vita è costituita, ma "come la vita si comporti".

Stuart Kauffman, uno dei fondatori della teoria della complessità, usa il termine "agente autonomo" per individuare una specifica generale della vita: "ciò che può riprodursi e compiere almeno un ciclo di lavoro termodinamico".
Kauffman si concentra infatti sul comportamento, non sugli ingredienti per definire cosa sia un organismo vivente.

Se trovassimo nell'universo qualcosa che si comporta come un software non lo dichiareremmo certo "forma di vita aliena"; piuttosto cercheremmo "chi l'abbia scritto".
Se invece trovassimo qualcosa che soddisfa le condizioni di Kauffman presumibilmente lo considereremmo un essere vivente.

William Bains nel 2004 pubblica un articolo intitolato "Many chemistries could be used to build living systems" (12); di conseguenza Stuart e Cohen, per un progetto museale, hanno tentato di realizzare alcuni "progetti" di ambienti alieni.

Uno di questi, indicato con il nome di "Nimbus", presenta caratteristiche chimico fisiche simili alle condizioni ricontrabili su Titano.

Gli autori del progetto immaginano l'avvenuto sviluppo su questo corpo celeste di un genere di vita dotata di una biochimica basata sul silicio, in cui rari atomi di metallo - la cui presenza è dovuta agli impatti meteoritici - rendono possibile a quest'ultimo la formazione di una spina dorsale di grandi molecole complesse.

Forme di vita primordiali potrebbero allora consistere in stuoie metalloidiche composte da fibre sottili che trasportano deboli correnti elettriche, in grado di muoversi emettendo lunghi filamenti.
Piccole reti di questi filamenti potrebbero esser in grado di eseguire calcoli semplici, e di evolversi divenendo via via più complesse (13)
Si tratta cioè di una ecologia elettronica a base di silicio alternativa a quella a base di carbonio che ben conosciamo.

Certo, è davvero improbabile che esista davvero qualcosa del genere, ma soltanto perché nella descrizione sono stati usati troppi parrocchiali: l'esempio serve piuttosto a dimostrare che davvero la vita potrebbe esistere là proprio dove non la cerchiamo (14).



NOTE:

 (1)
Luciano di Samostata, Λουκιανός ὁ Σαμοσατεύς, (circa 120-190 dc) racconta di un tifone che avrebbe trasportato la sua nave sulla Luna dopo 8 giorni di volo dove incontrerà il re dei seleniti e l'aiuterà a combattere il re del Sole.  Fatto prigioniero da quest'ultimo sarà portato sul Sole e, successivamente liberato, tornerà sulla Terra. 
Il romanzo descrive in dettaglio l'aspetto e le abitudini dei seleniti: l'assenza di individui di sesso femminile e la nascita della loro progenie direttamente dai polpacci.

(2) E anche per questo fu bruciato sul rogo come eretico.

(3) In realtà "extelligence" è stato usato da Ian Stewart e Jack Cohen nel loro libro del 1997 "Figments of Reality" con il significato di "capitale culturale a nostra disposizione sotto forma di media esterni" quali leggende tribali, folklore, filastrocche , libri , videocassette , CD-ROM , e così via (mentre l'intelligenza riguarderebbe la conoscenza e i processi cognitivi all'interno del cervello).

Estelligenza ed intelligenza sarebbero complici nello sviluppo della coscienza in termini evolutivi, sia per la specie che per l' individuo.
La "complicità", una combinazione di complessità e semplicità, per gli autori esprimerebbe la relazione interdipendente tra "conoscenza-dentro-la- testa" e "conoscenza-fuori-testa", a cui è possibile accedere più facilmente.
Attraverso l'idea di complicità vengono cioè messi in relazione l'individuo alla somma della conoscenza umana: Stewart e Cohen, richiamandosi alla matematica della complessità ed alla teoria dei giochi, usano l'idea di spazio delle fasi per trattare di spazio di estensione.

Esiste secondo loro uno spazio delle fasi totale , chiamato "spazio dell'intelligenza" per la razza umana, che consiste in tutto ciò che può essere conosciuto e rappresentato.
All'interno di questo c'è l'insieme più piccolo di ciò che è noto in un dato momento.

Ogni individuo può accedere alle parti dello spazio estetico cui la sua intelligenza è complice: ad un certo livello deve esserci un apprezzamento di" ciò che è là fuori" e di cosa significa.
Gran parte di questo "apprezzamento" rientra nella categoria della conoscenza tacita e dell'apprendimento sociale e culturale: un dizionario può contenere definizioni di molte parole, ma solo quelle definizioni che possono essere comprese dal lettore.

(Fonte: la voce Extelligence di Wikipedia)

(4) Il progetto Ozma - che prende il nome da quello della principessa del romanzo "Il meraviglioso mago di Oz" - è stato un esperimento condotto nel 1960 nell'ambito del progetto SETI volto alla ricerca di segnali radio artificiali provenienti da pianeti extrasolari, proposto e diretto dall'astronomo Frank Drake.

Un radiotelescopio di 26 metri di diametro a Green Bank in Virginia Occidentale esaminò le stelle Tau Ceti ed Epsilon Eridani, simili al nostro Sole e nelle sue vicinanze.
In assenza di segnali interpretabili come artificiali, dopo quattro mesi di osservazionie le ricerche furono sospese.
Una seconda sessione di osservazioni, chiamata Ozma II, fu condotta - sempre a Green Bank - dagli astronomi Benjamin Zuckerman e Patrick Palmer nel periodo dal 1973 al 1976.
Vennero allora monitorate le 650 stelle più vicine al Sole che si riteneva potessero esser circondate da pianeti, ma non furono prodotti risultati di sorta.


(5) L'equazione di Drake nella sua forma originale:

         N = R* x f(p) x n(c) x f(j) x f(i) x f(c) x L

e ci dice che il numero ipotetico di civiltà nella via lattea di cui potremmo percepire le emissioni elettromagnetiche è proporzionale a:

R*  tasso di formazione delle stelle attorno alle quali potrebbero esserci pianeti adatti alla vita)

f(p)  frazione di stelle dotate di sistema planetario

n(c)  numero di pianeti in grado di ospitare la vita in un determinato sistema solare

f(j)   percentuale di pianeti dove la vita è apparsa

f(i)   percentuale di pianeti dove è apparsa vita intelligente

f(c)  percentuale di civiltà che sono in grado di emettere segnali nello spazio

L    arco di tempo in cui queste civiltà sono state in grado di mandare segnali nello spazio


(6) L'equazione di Seager:

         N = N* x F(q) x F(hz) x F(o) x F(l) x F(s)

e ci dice che il numero di pianeti con segni di vita rilevabili è proporzionale a:

N*  numero di stelle osservate

F(q) frazione di stelle "tranquille"

F(hz) frazione di stelle con pianeti rocciosi nella zona abitabile

F(o) frazione di quei pianeti che possono esser osservati

F(l) frazione di questi ultimi sui quali c'è vita

F(s) frazione di questi la cui vita produce un gas rilevabile


(7) SETI è nato come programma dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre, abbastanza evoluta da poter inviare segnali radio nel cosmo.
Si occupa anche di inviare segnali della nostra presenza ad eventuali altre civiltà in grado di captarli.

Il SETI Institute, proposto nel 1960 da Frank Drake che ne è stato il direttore dal 1974 sino al momento della sua morte, è un'organizzazione scientifica privata, senza scopi di lucro la cui sede centrale si trova a Mountain View (CA).

Nel 1974, per celebrare un ampliamento del radiotelescopio da 305 m di Arecibo, SETI organizzò l'invio di un messaggio in codice di 1679 bit verso l'ammasso globulare M13, a 25.000 anni luce.

La sequenza di 0 e 1 che costituiva il messaggio era una matrice di dimensione 23 × 73 (questi due numeri scelti in quanto numeri primi) che conteneva alcuni dati sulla nostra posizione nel sistema solare, la figura stilizzata di un essere umano, formule chimiche ed il contorno del radiotelescopio stesso.

Una eventuale risposta dovrà essere attesa non prima di 50 000 anni: per questo motivo l'intero esperimento fu liquidato come una sorta di spot pubblicitario.

Il silenzio radio - con l'eccezione del famoso "segnale wow" rilevato una sola volta nel 1977 - portò di recente Frank Drake a dichiarare: "Ciò di cui siamo certi è che il cielo non sia ingombro di potenti trasmettitori a microonde".

Il progetto negli anni ha dato via a molte altre inziative per le quali rimando alla consultazione della voce SETI su wikipedia.
Se qualcuno volesse contattare ricercatori coinvolti in questi progetti, ecco un indirizzo di email a cui rivolgersi: seti.berkeley.edu


(8) Un pianeta "Goldilocks" (in italiano "pianeta Riccioli d'oro"), è situato nella zona abitabile di una stella o di un sistema stellare, con caratteristiche tali da lasciar supporre l'esistenza di acqua liquida sulla sua superficie.

Goldilocks è il nome in lingua originale della bimba protagonista della favola "Riccioli d'oro ed i tre orsi", che il racconto ci descrive scegliere sempre, da gruppi di tre elementi, quello "di mezzo", ignorando gli estremi (grande o piccolo, caldo o freddo, ecc).

Un pianeta Goldilocks non è né troppo vicino né troppo lontano dalla sua stella (così da non escludere la presenza di acqua liquida sulla sua superficie, elemento fondamentale per la presenza di vita così come gli esseri umani la concepiscono).
Il termine viene spesso utilizzato per indicare pianeti con dimensioni simili a quelle della Terra ma in alcuni casi anche per giganti gassosi, essi stessi non adatti alla vita, ma che potrebbero essere dotati di esolune di dimensioni terrestri, adatte ad ospitarla (vedi le lune di Giove).

L'individuazione di pianeti Goldilocks di dimensioni terrestri è l'obiettivo della missione Kepler, un telescopio spaziale lanciato nel 2009 dedicato allo studio degli esopianeti.
Pianeti individuati che potrebbero esser classificati Goldilocks sono "Gliese 667 Cc", una super Terra in orbita attorno a una nana rossa, ed i vari Kepler-22 b, HD 40307 g, Kepler-283 c, Kepler-62 e, Gliese 832 c e Gliese 422.
Kepler-22 b, in orbita intorno ad una stella simile al Sole, è il pianeta Goldilocks con maggiori similitudini con la Terra.

Il team della missione Kepler nel febbraio 2011 ha pubblicato una lista di 1.235 candidati pianeti extrasolari di cui 54 che potrebbero essere situati nella "zona abitabile", e sulla base di tali risultati l'astronomo Seth Shostak ha stimato che nel raggio di mille anni luce dalla Terra possano esistere almeno 30.000 "mondi abitabili".


(9) Nel novembre 2014 il lander Philae della sonda Rosetta, raggiunta la superficie della cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko, rintraccia la presenza di urea e glicina (una proteina la cui formula chimica è C2H5NO2), insieme a fosforo.
Composti noti per essere i precursori della vita così come la conosciamo sulla Terra.




(10) La Xenobiologia (indicata con la sigla XB) è una branca della biologia sintetica, la quale è lo studio della sintesi e della manipolazione di dispositivi e sistemi biologici.
La XB descrive una forma di biologia che non è (ancora) familiare alla scienza e non si trova in natura.
Si è data il compito di "progettare" sistemi biologici nuovi e biochimiche che differiscono dal sistema canonico DNA-RNA–20 aminoacidi.

Ad esempio, invece di DNA o RNA, la XB esplora la possibilità di utilizzare analoghi di acidi nucleici, definiti Xeno Acidi Nucleici (XNA), come vettori di informazione.
La XB si concentra anche sull´espansione del codice genetico e sull'incorporazione di aminoacidi non proteinogenici nelle proteine.

(vedi relativa voce su wikipedia per approfondimenti)


(11) Cohen e Stewart, nel testo citato, si dichiarano assolutamente contrari ad una concezione della vita extraterrestre che presupponga la vita possa evolversi solo in ambienti simili alla Terra (la cosiddetta "ipotesi della Terra Rara") e che le forme di vita extraterrestri debbano forzatamente convergere verso caratteristiche simili a quelle della vita sulla Terra.
Qualsiasi indagine sulla vita extraterrestre che si basi su questi presupposti è eccessivamente restrittiva; è tuttavia possibile fare uno studio scientifico e razionale sulla possibilità di trovare forme di vita talmente diverse dalla quelle che conosciamo, che potremmo non riconoscerle nemmeno come vita.

Alla base del loro saggio c'è l'analisi di due contrasti:

- il primo tra "esobiologia", una scienza che considera la possibile esistenza di una biologia di tipo terrestre su esopianeti simili alla Terra, e "xenoscienza", che invece abbraccia una gamma molto più ampia e speculativa di forme che la vita può assumere;

- il secondo tra "parrocchiali", caratteristiche della vita che potrebbero essere uniche sulla Terra),e "universali", caratteristiche che probabilmente appaiono ovunque la vita sorga.


(12) Eccone riportato l'abstract:

Si ritiene che la vita basata su carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto sia l'unica biochimica plausibile ed in particolare che la biochimica terrestre degli acidi nucleici, delle proteine ​​e degli zuccheri sia probabilmente "universale".

Questa non è una conclusione inevitabile in base alla nostra conoscenza della chimica.

Sostengo che è la natura del liquido in cui si evolve la vita che definisce la chimica più appropriata.

Fluidi diversi dall'acqua potrebbero essere abbondanti su scala cosmica e potrebbero quindi essere un ambiente in cui potrebbe evolversi una biochimica non di tipo terrestre.

La natura chimica di questi liquidi potrebbe portare a biochimiche abbastanza diverse, un'ipotesi discussa nel contesto della proposta "ammonochimica" degli oceani interni dei satelliti galileiani e una più speculativa "


(13)  La descrizione delle fasi evolutive seguenti è molto dettagliata e rimando alla lettura del saggio "Il calcolo del Cosmo" di Ian Stewart.

(14) Oltre all'appena citato testo "Il calcolo del cosmo" di Ian Stewart suggerisco la lettura di altri due testi:

- "Se l'universo brulica di alieni ... dove sono tutti quanti?" di Stephen Webb.

Ho trattato di questo test in diversi miei posts, tra i quali "Le ragioni dello scetticismo di una parte della comunità scientifica circa l'esistenza di vita intelligente al di fuori del nostro pianeta" e "C'è vita intelligente nel nostro universo? La risposta del fisico Stephen Webb alle mie obiezioni.".

-"Come costruire un alieno" di Marco Ferrari, testo che non ho ancora fatto in tempo a leggere pur avendo seguito le  conferenze dell'autore sull'argomento (Focus Live 2021 e quella in occasione del Darwin Day 2022).














links:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15253836/




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