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lunedì 7 agosto 2023

Avi Loeb ed il suo contributo al progetto Breakthrough Starshot: la prima missione interstellare.

All’inizio dello scorso decennio Avi Loeb (docente di astronomia alla Harvard, direttore della Black Hole Initiative e dell’Institute for Theory and Computational) insieme a Ed Turner (astrofisico di Princeton) si chiedevano come fosse possibile individuare prove della presenza di luce prodotta artificialmente in zone dello spazio lontane dalla Terra, una sorta di “firma luminosa” rivelatrice della presenza di una civiltà aliena.

Su suggerimento di Freeman Dyson i due capovolsero il problema chiedendosi fino a che distanza la luminosità generata da una megalopoli terrestre si sarebbe potuta rilevare con strumenti a disposizione dell'attuale tecnologia; in dettaglio provarono a rispondere al quesito se un osservatore da Plutone fosse in grado di distinguerla da un riflesso naturale.

Conclusione di tale studio fu che un osservatore, qualora si trovasse alla stessa distanza che separa Plutone dalla Terra e disponesse di uno strumento con prestazioni pari a quelle dell’Hubble Space Telescope, avrebbe potuto certamente identificare come luminosità intrinseca quella prodotta dall’area di Tokyo osservando il modo in cui la sorgente si affievolisce all’aumentare della distanza dal Sole.

Le ricerche di Loeb e Turner attirarono l’attenzione dei media.

Nel maggio 2015 Yuri Milner, laurea in fisica teorica ai tempi dell’URSS ed oggi imprenditore con interessi nella Silicon Valley (1), insieme a Pete Worden, ex direttore dell’Ames Research Center della NASA, contattarono Avi Loeb proponendogli di partecipare ad una iniziativa visionaria cui obiettivo era progettare, costruire e lanciare un veicolo spaziale in grado di raggiungere il sistema stellare a noi più vicino, Alpha Centauri (2), in non più di un paio di decenni di navigazione: si trattava della “Breakthrough Starshot Initiative”, che, tra molti altri, vide la partecipazione di Stephen Hawking e di Mark Zuckenberg.

Già nel 2012 Milner insieme alla moglie - cui si aggiunsero in un secondo tempo in veste di finanziatori Zuckenberg (FB), Brin (Google) e Wojcicki (23andMe) - avevano fondato il “Breakthrough Prize”: un importo pari a 3 milioni di dollari assegnati ogni anno a ricercatori meritevoli in ciascuno dei seguenti campi:

  • fisica fondamentale
  • Scienze della vita
  • Matematica

Nei primi mesi del 2015 Milner vi affianca il progetto “Breakthrough Initiative” volto a rispondere a due interrogativi fondamentali:

- siamo soli nell'universo?
- siamo in grado di compiere un balzo verso le stelle?

L’articolo di Loeb e Turner sulla “firma luminosa” cui abbiamo accennato convinse Milner a rivolgersi al primo per commissionargli uno studio preliminare sulla fattibilità di una missione da inviare verso il sistema Alpha Centauri: una sonda automatica dotata di strumentazione in grado di rivelare se da qualche parte in quella regione di spazio fossero rintracciabili segni di vita.

C'era tuttavia una condizione tassativa che era stata posta: il primo volo doveva concludersi “nel corso della vita di Yuri Milner”.

Milner all’epoca aveva 56 anni, dunque la sonda avrebbe dovuto esser costruita e raggiungere il suo obiettivo in non più di tre decadi.

Non si trattava - come in molti hanno scritto - dello sfrenato egocentrismo di un miliardario abituato a soddisfare ogni proprio desiderio, quanto piuttosto di una sua riflessione più che ragionevole: investitori disponibili a finanziare imprese a rischio, quale quella di cui si sta trattando, esigono almeno un orizzonte temporale di riferimento (relativo ai ritorni) per decidere l’ammontare dei finanziamenti da elargire.

Loeb, galvanizzato dalla prospettiva di partecipare alla progettazione della prima sonda interstellare, si diede un termine di sei mesi per la presentazione delle sue conclusioni preliminari, ed insieme al suo team iniziò ad esaminare le alternative possibili.

Si trattava di progettare una sonda in grado di coprire una distanza pari ad oltre 2000 volte quella raggiunta dopo 36 di navigazione dai Voyagers, in un tempo compreso tra i 20 ed i 30 anni.

Un mezzo quindi in grado di viaggiare ad 1/5 della velocità della luce, dotato di una tecnologia che gli permetta, nel corso di un fly-by con il sistema di Alpha Centauri a 60.000 chilometri al secondo (un tempo utile inferiore ai 120 minuti prima che la sonda si lasci alle spalle l’obiettivo), di scattare fotografie e raccogliere dati utili a capire se la vita sia presente su eventuali pianeti orbitanti intorno ad una delle 3 stelle (dotandolo quindi di strumenti adatti al compito), ed inviare via radio le informazioni raccolte verso la Terra (oramai distantissima) che le riceverà dopo oltre 4 anni dal momento della loro trasmissione.

Una sfida complessa!

Loeb decise che primo tra i problemi da risolvere fosse quello relativo al tipo di propulsione da adottare per il mezzo.

L’utilizzo di un razzo a propellente chimico fu subito scartato: richiederebbe infatti un tempo pari all’incirca a 100.000 anni per completare il viaggio.

Persino un razzo a propellente nucleare che - antimateria a parte - dispone del più alto grado di densità di energia rispetto a tutti gli altri tipi di combustibile, non consentirebbe alla sonda di raggiungere la meta nel tempo richiesto (Andreas Tziolas, presidente dell'organizzazione Icarus Interstellar, ritiene sia necessario un viaggio di un secolo utilizzando questa tecnologia).

Unica soluzione percorribile con la tecnologia a disposizione risultò quella di costruire una sonda leggerissima (con un carico utile pari a qualche grammo) cui fornire una spinta dall’esterno: una "vela fotonica" in grado di assorbire meno di 1/100.000 della luce incidente (per evitarne la distruzione in conseguenza dell’enorme energia termica che verrebbe a svilupparsi), sospinta da un laser di grande potenza (un milione di volte più potente di quelli attualmente in uso).
In sostanza una vela riflettente, del tipo che verra poi sperimentato dalla Planetary Society nel luglio 2019 (missione “Lightsail 2”).

Il raggio laser da utilizzare per l’accelerazione della sonda dovrebbe esser dotato di una potenza pari a 100 gigawatt (i grandi laser “in continuo” oggi arrivano soltanto alle centinaia di kilowatt), e di una precisione di puntamento tale da centrare per non più di una decina di minuti una vela delle dimensioni di una persona in rapidissimo allontanamento.
Si tratta del tempo stimato necessario ad accelerare vela, fotocamera e dispositivo di comunicazione (miniaturizzati, vedi i dettagli nella foto allegata che rappresenta un allegato al progetto originale di Loeb) sino ad 1/5 della velocità della luce, obiettivo che si prevede essa raggiunga ad una distanza pari a 2.000.000 Km dalla sorgente del raggio.

A tali velocità gli impatti con pulviscolo del mezzo interstellare sono serio problema da risolvere: sia per il rischio di distruzione della sonda (contenibile con l’applicazione di uno scudo protettivo sulla superficie della vela) che per il rischio di subire una deviazione dalla rotta (la quale, seppur minima, su distanze così enormi potrebbe far si che l’obiettivo del volo venga mancato).

Certo non si tratterebbe di un’impresa facile ed economica, tuttavia, ad opinione di Loeb, non troppo distante dalla portata dell’attuale livello tecnologico.

Il costo stimato da Loeb per tale missione risulta non diverso da quello sopportato per la realizzazione del LHC al Cern, un importo inferiore agli investimenti stanziati negli anni ‘60 dagli USA per il programma Apollo.

Un vantaggio evidenziato da Loeb sta nel fatto che l’infrastruttura realizzata per l’accelerazione della sonda può esser riutilizzata per accelerare molti altri veicoli simili costituiti da una vela fotonica cui vengano fissati degli “StarChips”, dispositivi elettronici leggeri delle dimensioni di qualche centimetro contenenti celle solari, giroscopio, magnetometro, microprocessore, radio ed antenna, ed una fotocamera miniaturizzata.



La conclusione del gruppo di studio, che Loeb comunicò a Milner incontrandolo a Palo Alto negli ultimi mesi del 2015, fu la seguente:

“da un punto di vista tecnologico risulta possibile inviare un veicolo che raggiunga il sistema Alpha Centauri nell’arco della nostra vita; tutto il resto dipende dalla capacità di raccogliere investimenti sufficienti ad adattare e migliorare tecnologie già esistenti".

Il 12 aprile dell’anno seguente, in occasione del 55^ anniversario del volo spaziale di Yuri Gagarin, nella cornice della sala dell’osservatorio panoramico del One World Trade Center a NYC, la Breakthrough Initiatives presenta alla stampa mondiale “Breakthrough Starshot”, un progetto finanziato con 100 milioni di dollari il cui scopo dichiarato consiste “nell’accelerare notevolmente la ricerca e lo sviluppo di una sonda spaziale in grado di compiere un viaggio verso il sistema Alpha Centauri in un paio di decenni”.



Al concept di tale sonda venne assegnato il nome di Starchip.

Sei mesi prima Loeb e Guillochon avevano scritto un saggio sulle vele fotoniche dove suggerivano agli scienziati impegnati nella ricerca di segnali provenienti da eventuali civiltà aliene (progetto SETI) di concentrare la propria attenzione nel rilevamento di particolari fasci di microonde, un mezzo che potrebbe esser usato anche altrove nell’universo per l’esplorazione dello spazio profondo.

Nell’ambito del progetto Breakthrough Starshot a Loeb venne affidato il ruolo di “Advisory Board” mentre a Pete Worden quello di “Project's Executive Director”.

Ulteriore impulso a tale progetto fu fornito nell’agosto 2016, pochi mesi dopo la sua presentazione, dall’identificazione di un nuovo esopianeta, dalle dimensioni vicine a quelle della Terra, nella “fascia abitabile” (3) di Proxima Centauri, la stella a noi più vicina (4), cui fu assegnato il nome di “Proxima b”.


L'evoluzione del progetto Breakthrough Starshot

Negli anni seguenti il progetto preliminare di Loeb venne sviluppato ed arricchito di particolari (5)

La dimensione ottimale dei chips - collocati al centro di una vela circolare o quadrata larga circa 4 metri - è stata calcolata in un centimetro quadrato per un peso totale di appena un grammo.

Le vele saranno rilasciate da un veicolo spaziale ordinario in orbita alta e qui dispiegate.
Solo in un secondo momento verranno accelerate, una dopo l'altra, da una batteria di laser installati a Terra che operano congiuntamente, in modo da ottenere il raggiungimento dei 100 Gigawatt necessari (6)

A causa dell’estrema potenza dei fasci laser che colpiscono la vela durante i pochi minuti necessari a portarla alla velocità di crociera, per evitare danneggiamenti si rende necessario che questa sia realizzata utilizzando materiali altamente riflettenti.
Obiettivo raggiungibile migliorando le caratteristiche di alcuni prodotti esistenti (7)

In fase di accelerazione ogni vela deve rimanere estremamente piana e conservare l’assetto per evitare deviazioni di rotta: soluzione è impostarne la filatura così da creare una forza centrifuga in grado di tenerla tesa e compensare le irregolarità del fascio sulla superficie velica (8)

La struttura della vela dovrà inoltre essere molto resistente per sopportare l’enorme accelerazione impressa nei primi minuti di volo; sono stati testati in ambito militare alcuni scudi da artiglieria sottoposti a forze simili, ma per intervalli di tempo brevissimi (meno di un secondo).

Una volta terminata la fase di accelerazione i problemi non sono finiti: la navigazione a velocità relativistiche presenta un alto grado di rischio a causa di possibili scontri accidentali con il mezzo interstellare (grani di polvere ed atomi di idrogeno, ad esempio) che potrebbero risultare fatali per il mezzo.

Per ridurre il rischio di fallimento della missione si è pensato di lavorare in 3 direzioni:
  • ricoprire il lato frontale della vela con un rivestimento dello spessore di 1 mm realizzato in una lega rame-berillio;
  • operare affinché il costo unitario di ciascuna vela fotonica sia ridotto al massimo, così da consentire l’invio simultaneo di un migliaio di starchips, contando così sul fatto che almeno qualcuna di esse raggiunga l'obiettivo;
  • dotare la sonda di un sistema di navigazione e direzione alimentato da un generatore leggero che sfrutti un isotopo radioattivo quale il plutonio-238, gestito da una intelligenza artificiale in grado di affrontare le emergenze in autonomia.

L'avvicinamento a Proxima Centauri è previsto intorno al 2060, ed il fly-by richiede la soluzione di altri problemi:
  • scattare una foto entro il raggio di 1 UA del pianeta Proxima Centauri b; alla velocità a cui si muove la vela, è necessario prevedere una rotazione della telecamera per mantenerla puntata sull'obiettivo e, una volta acquisiti i dati, bisognerà tener conto degli effetti relativistici che distorcono l'immagine;
  • sarebbe opportuno avere a bordo uno spettrometro per sondare eventuali atmosfere planetarie alla ricerca di molecole quali ossigeno, metano ed idrocarburi complessi (considerati "firme" della vita), insieme a strumenti per la misura del campo magnetico;
  • infine la sfida più difficile: trasmettere i dati raccolti alle stazioni d'ascolto sulla Terra utilizzando un fascio laser da meno di 1 watt.
    Nonostante l'ottimismo della relazione di Loeb, ad oggi non abbiamo idea di come fare.
    Philip Lubin, autore di “A roadmap to interstellar flight”, suggerisce da una parte di costruire una serie di rilevatori che si estenda per chilometri nella stessa area dove sarebbero installati i laser di accelerazione, dall'altra di utilizzare la batteria nucleare per alimentare dei condensatori rendendo così il fascio il più luminoso possibile, e la vela stessa come antenna per amplificarlo.

I tempi previsti per vedere un manufatto terrestre solcare i cieli di un esopianeta sono pari ad un ventennio necessario alla realizzazione delle sonde cui se ne aggiunge un altro per il completamento del volo.

I costi stimati per l'impresa si aggirano sui 10 miliardi di dollari.

Ad oggi Breakthrough Starshot non è il solo progetto in studio che preveda un viaggio interstellare; nonostante alcuni critici ritengano sia destinato al fallimento a causa delle numerose incognite che troverà sulla sua strada, è unanime l'opinione che sia l'unico in grado di raccogliere le somme ingenti necessarie allo sviluppo delle tecnologie richieste per tale impresa.

Going to the Stars – Dr. Pete Worden (Breakthrough Initiatives)

Breakthrough initiatives home page

Articolo su Le Scienze

Dalla Terra a Proxima Centauri in venti anni?


Note:

(1) Yuri Milner con i suoi investimenti a rischio elevato svolse un ruolo fondamentale nella Silicon Valley: contribuì all’affermazione di aziende quali FB, Twitter, WA, Airbnb, Alibaba.

(2) Alpha Centauri è un gruppo di 3 stelle, in orbita l’una intorno all’altra, che ospita la stella a noi più vicina: Proxima Centauri a 4.24 anni luce da noi (1.3 parsec), una nana dotata di una massa pari a poco più di un decimo di quella del nostro sole.

(3) Circa i limiti del significato “fascia abitabile” vedi quanto ho scritto nel post “La vita al di fuori della Terra: cosa cercare e dove? I limiti della definizione di fascia abitabile e l'ipotesi superterre e tettonica a zolle” pubblicato sul mio blog il 20/1/2023 e nella stessa data sul mio profilo FB.

(4) Il pianeta "Proxima b" fu scoperto nell’agosto 2016; con una massa compresa tra quella della Terra ed il suo doppio, presenta una temperatura superficiale simile a quella riscontrabile sul nostro mondo.
Tuttavia risultando la sua orbita molto vicina alla sua stella (1/8 della distanza Sole-Mercurio, compie un'orbita completa intorno alla sua stella in 11 giorni), è probabile presenti una rotazione sincrona (una faccia sempre rivolta verso il suo sole e l’altra in buio perenne).

(5) I dettagli rintracciabili nella pubblicazione del 2016 “A roadmap to interstellar flight” di Philip Lubin

(6) Quella dei laser è la tecnologia che necessita maggiore sviluppo per questa missione: una proposta presentata consiste nel combinare la luce di centinaia di milioni di raggi laser meno potenti disposti in una matrice di almeno un chilometro di larghezza, con l’accortezza di far sì che essi siano in fase tra loro.

(7) Oggi disponiamo di materiali costituiti da strati sottili di isolanti elettrici che possono riflettere fino al 99,999 per cento della luce in entrata.

(8) L’agenzia spaziale giapponese (JAXA) ha già sperimentato una soluzione promettente.


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