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domenica 10 dicembre 2023

Il limite intrinseco alla capacità degli acceleratori di particelle di sondare distanze sempre più brevi aumentando le energie.

 "Spero davvero che creerete dei buchi neri!" (Stephen Hawking a Rolf Heuer, il direttore del CERN, in occasione della sua visita all'LHC nel 2009).



L'acceleratore LHC, costruito nella prima decade del XXI secolo, fu progettato principalmente per ricreare le condizioni adatte alla formazione di bosoni di Higgs, a quel tempo tessera mancante del Modello Standard.

Tuttavia, ancora tre anni prima della scoperta di tale bosone, Hawking ed Heuer non escludevano la possibilità che, aumentando le energie in gioco, venissero prodotti buchi neri nelle zone di collisione dei fasci; anzi, il primo lo sperava vivamente per poter poi dimostrare l'esistenza della radiazione termica che porta il suo nome (e finalmente vincere il nobel).

Forse fu proprio il venire a sapere di questo episodio che ispirò Dan Brown ad inserire nel suo romanzo "angeli e demoni" il riferimento al CERN ed alla possibilità che gli esperimenti ivi condotti portassero alla creazione di un buco nero in grado di distruggere la Terra (e dare inconsapevolmente visibilità mondiale presso il grande pubblico all'attività di tale ente).

Certo i due fisici erano sicuri di non correre il rischio di innescare l'apocalisse: di solito si pensa ai buchi neri come a resti collassati di stelle di grande massa, ma, come già Matvej Petrovič Bronštejn indicò verso la metà degli anni 30 del '900, un qualsiasi oggetto, se compresso a sufficienza, può diventare un buco nero.

Il principio di indeterminazione afferma che una particella non possa esser localizzata in un punto per un periodo più lungo di un solo istante, dopodiché si sarà sicuramente spostata.
Quanto più piccola è la regione di spazio dove cerchiamo di localizzare la particella, tanto maggiore risulterà la velocità con la quale la particella ne "scapperà fuori".
Poiché la sua velocità è proporzionale all'energia posseduta, e poiché l'energia (che come sappiamo equivale alla massa in base all'equazione E=mc^2) contribuisce a curvare lo spaziotempo, c'é un limite minimo alla dimensione dello spazio preso in considerazione oltre il quale l'ammontare di energia fa si che la particella sprofondi in un buco nero diventando pertanto invisibile.

Sia la Meccanica Quantistica che la Relatività Generale, prese insieme, implicano un limite alla divisibilità dello spazio: al di sotto di una certa scala non esiste più nulla di accessibile, dunque di esistente.

Per calcolare un tale valore bisogna considerare la dimensione minima possibile di una particella prima che "precipiti" nel buco nero da lei stessa creato.

Esso è noto come "lunghezza di Planck", e risulta direttamente proporzionale alla costante di Planck (che fissa la ganularità quantistica), alla costante di Newton G (che determina la scala della forza di gravità), ed inversamente proporzionale al cubo della velocità della luce nel vuoto c.




Dunque anche una singola coppia costituita da un protone ed un antiprotone, accelerati fino a quasi la velocità della luce e fatti scontrare in un potente acceleratore di particelle, potrebbero creare un buco nero se tale collisione venisse a concentrare abbastanza energia in un volume sufficientemente piccolo.

Il buco nero così prodotto sarebbe davvero minuscolo e dotato di un'esistenza effimera: in un tempo brevissimo evaporerebbe attraverso l'emissione della radiazione di Hawking.


Ma quali serie conseguenze avrebbe comportato l'avverarsi della speranza di Hawking?


La ricerca dei mattoni costitutivi della materia passò nel secolo scorso dall'utilizzo dei microscopi a quello degli acceleratori di particelle quando si rese necessario esplorare la natura su distanze sempre più corte.

Ad oggi l'unica via percorribile per osservare elementi sempre più piccoli è quella di progettare acceleratori più potenti, in grado di far scontrare particelle con energie via via più alte.

Ma, come per i microscopi le cui osservazioni sono limitate dalla lunghezza d'onda della luce, anche i collisori presentano un punto di crisi, un limite fondamentale alla loro risoluzione:

la gravità!

Aumentando l'energia oltre un certo limite, nel tentativo di osservare volumi sempre più piccoli, verrebbe a prodursi un microscopico buco nero, ed ogni ulteriore aggiunta della stessa non provocherebbe un aumento del fattore d'ingrandimento del collisore, ma semplicemente un buco nero più grande.

Il paradigma "le energie più alte consentono di sondare distanze più brevi" incontra dunque un limite, ed il punto finale della costruzione di acceleratori sempre più grandi non sarà la scoperta di un nuovo piccolissimo elemento costitutivo fondamentale (obiettivo dei riduzionisti) ma l'emergere di un macroscopico spaziotempo curvo.

Thomas Hertog, che fu collaboratore di Hawking, e che terrà una conferenza il prossimo 3 novembre al Festival della Scienza a Genova afferma:

"Riportando indietro le distanze brevi a quelle lunghe, la gravità si fa così beffe dell'idea profondamente radicata secondo la quale l'architettura della realtà fisica è un sistema ben definito di scale nidificate l'una nell'altra, che possiamo sbucciare una alla volta fino ad arrivare a un piccolissimo elemento costitutivo fondamentale".

La gravità, e dunque lo stesso spaziotempo, presentano un elemento antiriduzionista intrinseco.










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