Lo scorso 30 giugno ho pubblicato su Spazio Astronomia un lungo post (Cosa c'era prima dell'inizio: il Big Bang, origine del tutto o la fine di qualcosa? L'inflazione eterna di Alex Vilenkin) il cui fine era quello di "familiarizzare" con la teoria dell'inflazione, ad oggi il miglior modello cosmologico che abbiamo a disposizione relativamente all'universo primordiale.
Tale teoria ha risolto brillantemente le difficoltà contro le
quali si scontrava l'ipotesi di un universo nel quale tempo e
spazio si siano generati spontaneamente con il Big Bang, fornendo
previsioni in seguito verificate tramite l'osservazione del fondo
a microonde.
Le buone notizie finiscono qui.
Se prendiamo per buona una teoria, non possiamo infatti scartarne
alcune implicazioni soltanto "perché non ci piacciono": e la
teoria dell'inflazione eterna è foriera di moltissime "conseguenze
logiche", ai più sgradite.
Partiamo dalla conclusione del post in oggetto, dove accennavo al
fatto che l'inflazione è un processo che prosegue
indefinitivamente, ed è in grado di generare un volume infinito in
uno spazio finito ("...partire da qualcosa più piccolo di un atomo
e creare al suo interno uno spazio infinito, contenente
un'infinità di galassie, senza impatto alcuno sullo spazio
esterno...").
Di conseguenza lo spazio deve essere infinito, e la materia al suo
interno - anch'essa in quantità infinita - distribuita in modo
complessivamente uniforme.
Di tutto questo spazio e materia - che potremmo definire col termine "realtà
fisica" - abbiamo la possibilità di fare esperienza soltanto di
una minuscola parte: il cosiddetto "universo osservabile" (nota 1), la regione all'interno della quale
le galassie recedono con velocità inferiore a quella della luce.
Si tratta di una regione di forma sferica dai
cui punti la luce ha potuto giungere sino a noi nei 13.8 miliardi
di anni successivi al Big Bang.
Al centro di questa regione ci siamo noi, mentre il suo confine (nota 2) si trova ad una distanza di 5 x 10^26 metri: è un valore maggiore di 13.8 miliardi di anni luce (AL) in quanto
- sempre a causa dell'inflazione - la luce ha ricevuto "un aiutino"
dall'espansione dello spazio.
L'universo osservabile contiene all'incirca 10^11 galassie, 10^23
stelle, 10^80 protoni e 10^89 fotoni: possiamo ricavare questi
dati, seppur in modo approssimativo, in quanto postulato della teoria dell'inflazione è
l'omogeneità della distribuzione della materia a grande scala.
Ma al di là di questi confini l'inflazione ci assicura esista
altro spazio dotato delle stesse caratteristiche del nostro - stesse leggi fisiche e
distribuzione omogenea della materia - dal quale non abbiam modo di
ricevere alcuna informazione: i fotoni da esso provenienti non
hanno infatti ancora fatto in tempo a raggiungerci.
Max Tegmark definisce "multiverso di livello I" l'insieme di tutti
questi universi "paralleli".
Poiché lo spazio infinito è stato creato dall'inflazione "pieno di
materia" - la quale in seguito al Big Bang si è raffreddata ed
aggregata dando luogo alla formazione di atomi, gas, nebulose,
stelle, galassie, pianeti e ... esseri viventi -, gran parte degli
"universi paralleli" avrà avuto una storia cosmica quasi
coincidente con la nostra (nota 3).
Tuttavia, a causa delle condizioni iniziali diverse, con il passar del tempo
le piccole differenze vengono amplificate e producono "storie
diverse".
Tegmark richiama a questo proposito un esempio chiarificante: "gli
studenti dei vari universi paralleli imparano le stesse cose nel
corso di fisica ma cose diverse in quello di storia".
Gli eventi casuali che ci hanno portato ad esser ciò che siamo
"qui ed oggi" sono innumerevoli.
La probabilità che essi siano accaduti nella stessa sequenza in un
altro universo è certamente minuscola, ma diversa da zero: ora, se
il numero degli universi paralleli è infinito, un evento pur
improbabile è comunque destinato a verificarsi.
Una copia esatta di noi stessi DEVE quindi esistere "là fuori" da qualche parte.
Ma non è finita qui.
Poiché una qualsiasi frazione di un numero infinito, per quanto
piccola, è sempre un numero infinito, abbiamo la garanzia di
esistere in una infinità di universi paralleli: ci saranno
nostre copie fedeli ed altre che presentano invece lievi
differenze.
Tra l'infinità di tutte queste nostre copie ce ne sarà almeno
una identica a noi stessi, con una storia indistinguibile dalla
nostra ed in grado di provare le nostre stesse sensazioni, di
"decidere come noi" (nota 4)
"In uno spazio infinito creato dall'inflazione tutto quello che
può accadere nel rispetto delle leggi fisiche accade, e per
un'infinità di volte: certi eventi tuttavia avverranno in una
frazione di universi più grande rispetto ad altri".
Non sono pochi coloro che rifiutano l'esistenza degli universi
paralleli: l'idea che nostre copie conducano un'esistenza simile
alla nostra "altrove" nell'universo (nel multiverso) è
controintuitiva e destabilizzante.
Tuttavia è bene ricordare ancora una volta che gli universi
paralleli non sono una teoria, ma una previsione di alcune teorie.
La relatività generale ha fornito previsioni testabili e più volte testate,
ragion per cui viene considerata una teoria "attendibile"; ma oltre a queste
fornisce previsioni relative a fenomeni non osservabili, tipo
l'interno dei buchi neri, che tuttavia prendiamo sul serio in quanto "molte altre sono state verificate".
Nello stesso modo l'inflazione ha fornito previsioni rivelatesi corrette (ad es. sul fondo a
microonde): la sua matematica tuttavia ci porta a fare altre
previsioni relative a fenomeni non osservabili, quali gli universi
paralleli.
Qualora volessimo rifiutarne una conseguenza logica - gli universi
paralleli e le nostre copie - dovremmo esser in grado di
sostituire l'inflazione con una teoria matematica che risolva i
problemi sollevati dal Big Bang, dall'orizzonte e dalla piattezza
locale, in grado di spiegare come vengano generate le fluttuazioni-seme cosmiche.
Il tutto senza provocare
necessariamente l'esistenza di universi paralleli.
Ora, per onestà, dobbiamo chiarire che non siamo sicuri l'inflazione
continui per sempre, e neppure che si sia mai verificata nella nostra
regione di spazio 13.8 miliardi di anni fa; possiamo semmai affermare
che si stanno accumulando prove in tal senso (così come successe con la
relatività nel corso del secolo scorso).
Secondo Tegmark, per escludere il multiverso di livello I quale sua
conseguenza è sufficiente sostenere l'opinione secondo la quale non
esista altro spazio al di là dei confini dell'universo osservabile: è
questa un'affermazione forte che sembra smentita dai fatti in quanto
ogni anno le sue dimensioni aumentano di ... un anno luce! (nota 5)
La possibilità che esistano nostre copie rimane plausibile, anche
qualora facessimo a meno dell'inflazione, in quanto conseguenza di due
assunzioni logiche:
- spazio e materia sono infiniti: cioè in principio esisteva uno spazio
infinito pieno di plasma caldo in espansione.
- la presenza di semi casuali: in principio esisteva un meccanismo tale che ogni
regione fosse in grado di accogliere ogni sorta di fluttuazioni-seme in maniera
apparentemente casuale.
Proviamo a verificare i limiti di queste due assunzioni.
Lo spazio euclideo è per definizione "infinto in ogni direzione" (nota 6); tuttavia esistono altri tipi di spazio che, pur illimitati, non lo sono: la sfera 4D (o 4-sfera) e quello "toroidale".
In entrambi i casi, partendo da un qualsiasi punto e procedendo
abbastanza a lungo in una direzione qualunque, prima o poi ci
ritroveremmo al punto di partenza.
Se fossero poi abbastanza estesi, avremmo comunque l'impressione della "piattezza" a livello locale (nota 7).
Nel caso della 4-sfera "la piattezza" riscontrata negli esperimenti
condotti sul fondo cosmico a microonde potrebbe esser giustificata
qualora il volume totale dello spazio risulti pari ad un valore 100
volte quello relativo all'universo osservabile: in tal caso, pur vivendo
in uno spazio "finito", esisterebbero comunque almeno 100 universi
paralleli di livello I.
La matematica di uno spazio toroidale esige invece che le sue dimensioni
siano sicuramente superiori a quelle della nostra galassia (altrimenti
tutte le altre galassie che osserviamo con i nostri telescopi dovrebbero
risultare simili in quanto trattasi della nostra vista da prospettive
diverse), ma sicuramente inferiori a 10 miliardi di AL (10 miliardi di
anni fa la Via Lattea non esisteva ancora).
Nei primi anni del nuovo millennio Tegmark, insieme alla sua prima
moglie Angelica, analizzò il fondo a microonde alla ricerca di "aree
simili", indizio della presenza di uno spazio con questa forma: una
ricerca che ha fornito esito negativo.
Altra situazione a sfavore dell'ipotesi di uno spazio finito è l'estrema
variabilità delle frequenze nelle quali si presentano le perturbazioni:
qualora l'ipotesi fosse corretta, dovremmo infatti rilevarne soltanto
alcune, cosa che succede quando ad esempio suoniamo un flauto.
Negli ultimi anni è stata calcolata quale dimensione dovrebbe avere
l'universo - qualora fosse "finito" - per soddisfare le condizioni
riscontrate dalle osservazioni:
esattamente la dimensione dell'attuale universo osservabile AD OGGI.
Poiché l'universo osservabile cresce continuamente di dimensioni, una tale coincidenza è del tutto improbabile.
Riguardo invece al presupposto relativo alla materia "infinita e
distribuita uniformemente", se davvero così non fosse dovremmo osservare
un "universo-isola" dove questa si trovi concentrata in una regione.
La mappa galattica 3D realizzata dallo Sloan Digital Sky Survey mostra
gruppi, ammassi, super ammassi e pareti di galassie che, se guardati a
grandissima scala, lasciano il posto all'uniformità: non si riscontrano
cioè strutture coerenti con estensione superiore ad un miliardo di AL.
La seconda assunzione, relativa all'esistenza di semi casuali,
procede direttamente dall'osservazione: la struttura dell'universo
risulta infatti compatibile con un "campo gaussiano casuale".
Dunque, solo se
esiste un qualcosa in grado di spiegare perché l'universo sia fatto così senza
ricorrere alla teoria dell'inflazione possiamo far a meno di quest'ultima.
Se esistono, gli "universi paralleli di livello I" non sarebbero altro
che regioni del nostro spazio di dimensioni paragonabili a quelle del
nostro universo osservabile: cioè regioni dalle quali la luce non ha
ancora fatto in tempo ad arrivare sino a noi.
Ne consegue che tra universi adiacenti non esistano confini fisici: ogni
osservatore posto in un punto qualsiasi dello spazio "disegnerà" una
sfera il cui raggio sarà eguale a quello di tutte le altre (pari cioè
alla distanza massima percorsa dalla luce per raggiungerlo).
Questi universi sono pure in parte sovrapponibili: un osservatore posto a
metà tra me ed il limite dell'universo osservabile, vedrà solo metà del
mio universo, ma in compenso potrà osservare la metà di un altro
universo al quale io non ho accesso.
Quindi, se l'inflazione eterna ha creato un numero infinito di universi
paralleli di livello I, siamo in grado di calcolare quanto disti la più
vicina fotocopia del nostro grazie alla fisica quantistica.
La fisica classica prevede che un universo possa organizzarsi in
un'infinità di modi diversi (disposizioni della materia e del vuoto);
quindi, pur essendo gli universi infiniti, non v'è modo di esser sicuri
che due di essi siano identici tra di loro.
La distanza tra due particelle può infatti assumere un'infinità di valori essendo infinite le cifre decimali che la definiscono.
Tuttavia i nostri cervelli ed i nostri computers sono in grado di
gestire soltanto una quantità limitata di informazione: oltre un certo
limite di dettaglio non riusciamo a distinguere due oggetti, che pur
diversi ci sembrerebbero eguali.
Ad oggi in fisica le misure di una quantità non superano le 16 cifre decimali.
La meccanica quantistica invece contribuisce a limitare
considerevolmente la varietà di organizzazioni anche ad un livello
fondamentale: l'incertezza ad essa connaturata fa sì che non abbia senso
chiedersi dove si trovi un corpo al di là di un certo livello di
precisione.
Dunque il numero totale di "possibili varianti del nostro universo"
risulta - incredibilmente! - un numero finito (seppur enorme): una sua
stima prudenziale lo da pari a 10^10^118.
Quindi per spiegarci in soldoni:
- la fisica classica ci mette in mano un dado con un numero di facce
infinito; la probabilità di ottenere la stessa faccia anche con un
numero di tiri infinito è incredibilmente minuscola.
- la fisica quantistica ci offre un dado con moltissime facce, ma il cui
numero è limitato e calcolabile; in conseguenza di ciò la possibilità
di ottenere più volte la stessa faccia aumenta al crescere del numero
dei tiri (che abbiamo visto esser infinito).
Ma come è stato possibile calcolare il numero totale di "varianti del nostro universo"?
Contando tutti i possibili stati quantistici più freddi di 10^8 gradi
che un universo - definito come volume dell'orizzonte - può assumere.
Il valore 10^118 rappresenta pertanto il massimo numero di protoni che
il principio di esclusione di Pauli permette di racchiudere in un
universo a temperatura inferiore a 10^8 gradi.
Il nostro universo contiene tuttavia solamente 10^80 protoni: la ragione
va ricercata nel fatto che se ognuna delle 10^10^118 "caselle" può
essere sia occupata che non occupata, dunque il numero di possibilità da
considerare sta nell'intervallo tra 2^10^118 e 10^10^118.
Sono state calcolate stime ancor più prudenti: tra le altre gode di
considerazione "il principio olografico", che stima un massimo di
10^10^124 configurazioni possibili (nota 8); per ottenere un valore superiore a questo dovremmo comprimere la materia ottenendo il buco nero più grande dell'universo.
Se dunque il numero delle configurazioni di universo è limitato, in uno
spazio infinito sarà possibile trovare infinite copie identiche: il
nostro dado, che la meccanica quantistica ci assicura aver un numero
limitato di facce, dopo un numero sufficiente di lanci mostrerà una
faccia "già uscita" in precedenza.
E' giunto quindi il momento di chiederci a che distanza troveremo una copia a noi identica.
Lo spazio creato dall'inflazione eterna contiene un'infinità di universi paralleli di livello I.
Per trovare una copia di un determinato tipo di universo abbiamo visto sarà necessario controllare in media 10^10^118 universi.
Il diametro del nostro universo misura 10^27 metri.
Se per trovare una sua copia dovremo spostarci di 10^10^118 diametri, ne
consegue che la nostra copia più vicina disterà da noi 10^10^118 x
10^27 metri.
Tuttavia non sarà necessario andare così lontano: "a circa 10^10^91
metri di distanza da noi
dovrebbe esserci una sfera di raggio pari a 100 AL identica a quella al
cui centro siamo noi" - afferma Tegmark - "... nei prossimi 100 anni le
nostre controparti al suo interno
proveranno le nostre identiche sensazioni...".
Dunque a "soli" 10^10^91 metri di distanza dovremmo trovare una
nostra copia identica (nota 9).
Per concludere vorrei evidenziare una conseguenza interessante dell'esistenza di un multiverso di livello I:
Non risulta infatti possibile prevedere il futuro - anche conoscendo nei minimi dettagli tutta la storia del passato - in quanto non possiamo determinare quale delle nostre copie NOI siamo (ognuna di esse crede di essere l'originale).
Ma poiché abbiamo asserito che prima o poi le vite di ciascuna copia inizieranno a differire, ne consegue che - pur senza certezza - potremmo comunque stimare la probabilità di ciò che sperimenteremo in futuro.
Note:
(1) Chiamato anche "volume dell'orizzonte", "regione all'interno del nostro orizzonte di particella" o "volume di Hubble".
(2) Si intende naturalmente la distanza dall'osservatore. Se ci trovassimo su Proxima Centauri vedremmo "tre anni luce più in là" rispetto ad un osservatore sulla Terra, ma non potremmo vedere una parte di universo pari alla stessa dimensione che invece è visibile dal nostro pianeta.
(3) "Quasi" perché leggermente diversi in quanto le condizioni iniziali non erano le stesse a causa delle fluttuazioni-seme generate dalle fluttuazioni quantistiche casuali.
(4) Ci sarà tuttavia sempre una piccola differenza che - magari tra un secondo - la porterà a fare qualcosa di diverso da noi.
(5) Naturalmente durante il periodo dell'inflazione il ritmo di crescita era enormemente più elevato.
(6) "Infinito in ogni direzione" è anche il titolo di un bel saggio scritto negli anni '90 da Freeman Dyson, all'interno del quale si possono trovare stupefacenti indicazioni sui futuri sviluppi di alcune tecnologie.
Freeman Dyson:un fisico extraterrestre?
(7) Spingendo quindi lo sguardo abbastanza lontano vedremmo, oltre la
nostra, la nuca di un'infinità di copie di noi stessi ad intervalli
regolari in ogni direzione.
(8) Tale valore è calcolato elevando 2 ad un esponente pari all'area
della superficie del nostro universo misurata nelle unità di Plank (cioè
il quadrato della lunghezza di Plank).
(9) Ancora Tegmark: "...E' probabile che una nostra copia sia in realtà molto più vicina a
noi dato che i meccanismi della formazione planetaria e
dell'evoluzione che hanno favorito la nostra comparsa sono all'opera
ovunque; solo nel nostro universo osservabile esistono infatti almeno 10^20
pianeti abitabili..."
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