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domenica 30 maggio 2021

La trappola della meritocrazia: davvero l'utilizzo di un criterio meritocratico è il mezzo ottimale per ottenere una società più "giusta"?

Le crisi economiche che si sono rapidamente succedute dal 2008 ad oggi hanno duramente scosso il tessuto sociale del nostro paese.

In tale periodo abbiamo assistito ad una ulteriore divaricazione della forbice dei redditi, con conseguente incremento della disparità sociale, cosa che mette continuamente a prova la tenuta della nostra società.

In tutto questo tempo la politica, incapace di esprimere una classe dirigente in grado di dare risposte efficienti a problemi vecchi e nuovi, ha contribuito ad aggravare la situazione, aprendo così le porte a populismo ed improvvisazione dei quali l'elettorato, stufo di ascoltare ricette di arroganti presunti "esperti" (nominati dall'alto e dimostratisi inconcludenti ed affabulatori), è diventato facile preda.

Scarso incremento della produttività, poca professionalità tra i funzionari pubblici, casi di nepotismo, imprese che non innovano, la scuola che non funziona e non prepara al futuro le nuove generazioni, difficoltà di accesso al mercato del lavoro da parte dei più giovani, fughe di cervelli: l'elenco delle "cose che non vanno" nel nostro paese è ancora molto lungo.

Sporadicamente, tra le tante soluzioni che vengono suggerite spunta il termine "meritocrazia".

Incentivare con avanzamenti di carriera, premi e aumenti di stipendio coloro che "se lo meritano" sembra infatti la soluzione ottimale per far sì che posizioni di responsabilità vengano occupate da soggetti dotati delle migliori capacità.
Un modo per rimettere in moto l'ascensore sociale, cosicché chiunque disponga di doti naturali e buona volontà possa aver successo.

Nulla di nuovo sotto il sole: si tratta infatti di un criterio base della filosofia confuciana (la famosa "cultura degli esami") che per millenni ha regolato le nomine nella burocrazia dell'impero cinese.  
Un criterio che ha attraversato la storia, ancor oggi utilizzato nella Repubblica Popolare Cinese, pur se affiancato a quello della fedeltà al partito comunista.

Ma davvero la meritocrazia può costituire il mezzo ottimale per il conseguimento di una società più "giusta"?

Se lo chiede Daniel Markovits, giurista e professore all'università di Yale, che nei giorni scorsi ha tenuto a Torino una conferenza dal titolo: "Basta! La vita felice dopo l'età della crescita".

La società nordamericana, a differenza della nostra, è fortemente competitiva e basata fin dalle sue origini sul principio meritocratico.
Analizzandone gli sviluppi nella storia recente, Markovits conclude che la meritocrazia rappresenti una trappola per l'intera società, finendo per produrre effetti dannosi che non risparmiano nessuna delle sue classi: l'esatto contrario di un modello efficiente.

La meritocrazia - afferma - oggi promuove "il capitalismo umano", una condizione dove formazione e competenze costituiscono la principale fonte di ricchezza dell'intera società.
Per disporre di un adeguato grado di formazione si rende necessario per prima cosa un costoso investimento nell'istruzione, qualcosa che solo i figli delle élites possono permettersi di affrontare (è vero che la presenza di numerose borse di studio messe a disposizione da fondazioni, industrie, esercito e governo offrono la possibilità a molti studenti di frequentare corsi ai quali altrimenti non potrebbero accedere, ma si tratta comunque di una minoranza).

Gli atenei si sono così progressivamente separati in due gruppi:
- le università di serie "A", dotate di importanti fondi (proporzionali alle rette pagate) che permettono loro di ingaggiare il miglior personale docente ed organizzare laboratori di ricerca con strumentazione all'avanguardia;
- le università di serie "B" che si devono accontentare di quanto rimanga disponibile sul mercato, affrontando costi che necessariamente non possono superare le proprie entrate.

Effetto spesso trascurato dalle indagini sociologiche è quello relativo alla "ristrutturazione del lavoro": oggi le élites sono addirittura in grado di "piegare" l'innovazione tecnologica così da favorire le sole professionalità fornite dall'istruzione di élite.
Si crea così un circolo vizioso che impedisce ai soggetti appartenenti alle altre classi di accedere a vantaggi sociali ed economici che soltanto tali professionalità sono in grado di offrire.

Si tratta dunque di una "trappola per poveri", in grado tuttavia di produrre effetti negativi anche su coloro che appartengono alle élites: per usufruire dei vantaggi offerti da questo tipo di professionalità è infatti necessario, per i figli delle élites, un impegno costante durante tutto il periodo della formazione scolastica. 
Ritmi alienanti che necessariamente devono continuare ad esser sostenuti una volta approdati al mondo del lavoro: la specializzazione richiede infatti continui corsi di aggiornamento ed un impegno crescente nella professione per reggere la concorrenza.

Tutto ciò con la prospettiva che, un giorno non lontano, all'improvviso una Intelligenza Artificiale renda obsolete le competenze acquisite (è già successo in alcuni campi).

Markovits accenna all' "aristocrazia del talento" (riferendosi a Thomas Jefferson ed al periodo in cui gli USA si liberarono dell'aristocrazia ereditaria europea) quale nobile obiettivo, che nelle intenzioni dei padri fondatori avrebbe progressivamente contribuito a rimuovere le diseguaglianze. 
Risultato è invece stata la comparsa di un diverso tipo di aristocrazia, che tende a trasformarsi un mondo chiuso, esattamente come quello dal quale voleva distinguersi.

Al giorno d'oggi negli USA la meritocrazia è vista non soltanto come ostacolo alle pari opportunità, ma pure come causa di una gerarchia iniqua.

Gli atenei del paese sono ben consci di tale problema, ma si trovano ad affrontare un dilemma: scegliere tra uguaglianza ed elitarismo.
Nel caso decidano di perseguire il primo, si manifesta la necessità di smantellare dalle fondamenta l'attuale modello di business dell'educazione americana.

Guardando all'altra parte del Pacifico, la situazione non risulta poi così differente: la meritocrazia ha creato nei decenni danni enormi alle società, non ultimo il mancato contenimento della recente pandemia (che ancor oggi limita la libertà di movimento a gran parte dell'umanità e miete vittime in ogni paese).

I ritardi nel render pubblica la situazione allarmante conseguente la comparsa di un nuovo virus - originariamente i contagi erano limitati alla città di Wuhan - sono da imputarsi al tradizionale metodo di selezione dei leaders cinesi: solo risultati positivi conseguiti nella gestione di una unità territoriale minore consentono all'amministratore pubblico (e membro del partito) di aspirare ad una carica più importante.    In mancanza di questi la sua carriera è destinata ad interrompersi.

Segnalare con prontezza allo Stato centrale l'insorgenza di una nuova malattia contagiosa avrebbe comportato l'immediato isolamento della regione (previsto dai piani di sicurezza nazionale elaborati dopo l'esperienza con la SARS nel 2003), un distanziamento sociale insieme al blocco della produzione di tutti i beni non considerati essenziali.   In conseguenza il risultato economico per l'anno 2020 sarebbe risultato lontano dalle previsioni, costituendo una macchia sul curriculum delle autorità di Wuhan e dell'Hubei in grado di bloccare definitivamente la loro ascesa politica.
Si sono dunque trovate a scegliere tra un'autodenuncia (con conseguenze negative certe), oppure tacere ed attendere gli sviluppi degli eventi, confidando in una seppur minima probabilità di regressione spontanea dell'epidemia.

Anche in Cina la meritocrazia adottata come unico criterio può esser causa di problemi sociali di grande portata.


In questo contesto mi sembra corretto trattare di un recente articolo a firma del fisico Carlo Rovelli scritto per il Corriere della Sera.
Ha come argomento la discussa proposta del nuovo capo della sinistra, Enrico Letta, relativa alla costituzione di un "tesoretto" di 10.000 euro destinato a ciascun giovane che raggiunga la maggior età, ed i cui fondi necessari sarebbero da reperirsi attraverso la tassazione delle eredità relative ai grandi patrimoni.

Rovelli non entra nel merito sulla consistenza dei patrimoni e neppure sulle modalità di prelievo: si limita ad analizzare le possibili conseguenze a livello economico di una tale manovra, evidenziando come risultino essere positive per tutte quante le classi sociali.

"la vera differenza che distingue le opportunità delle diversi classi sociali nel nostro Paese non è il reddito, bensì il patrimonio" - sostiene.  

Rovelli proviene da una famiglia benestante della borghesia veronese; non gli è mai mancata la possibilità di "scegliere":

"... ho vissuto con pochissimi soldi per la maggior parte della mia vita, ma alle mie spalle c’era, grazie alla mia famiglia, una sicurezza finanziaria non certo vasta, ma sufficiente per permettermi di fare le scelte cruciali: continuare a studiare, vivere un anno senza stipendio alla fine degli studi, per giocare le mie carte e sviluppare la mia ricerca scientifica, senza dover essere costretto cercarmi subito un impiego ...".

Racconta di come sia lui che la cugina abbiano potuto beneficiare di una pausa al termine dei corsi di studio: cosa che è stata determinante per le scelte sul futuro di entrambi.

Il privilegio di avere le spalle coperte, un piccolo capitale di partenza, è stata caratteristica comune a moltissime persone che negli anni seguenti hanno prodotto cose utili per la società: "... ha loro permesso di prendersi dei rischi..." afferma ancora Rovelli.

Un privilegio di cui la maggior parte dei giovani italiani è privo, anche a causa dell'allungamento della vita media:

"... in passato le eredità (una casa, un'attività, un conto) erano raccolte quando ancora i beneficiari si trovavano nella prima parte della propria esistenza, e tali risorse potevano esser utilizzate per finanziare progetti che sarebbero in seguito stati sviluppati nel corso della vita adulta.  Oggi invece la maggior parte delle persone raccoglie l’eredità dei genitori a cinquanta o sessant’anni, quando non serve più a tale scopo... "

Da qui si evince l'importanza di fornire ai giovani che si affacciano alla maturità una limitata copertura, 10.000 euro di "tesoretto", che ad un adulto non cambierebbero la vita, ma ad un giovane possono servire come punto di partenza per costruirsi un futuro, un "capitale sociale" spendibile per qualcosa di concreto.

"... giovani brillanti, che potrebbero dare contributi vitali alla società, non lo fanno perché sono intrappolati dalle ristrettezze economiche, da un livello di educazione insufficiente, o dalla mancanza di flessibilità nella loro vita..., conseguenza del blocco della mobilità sociale che ha origini negli ultimi decenni del secolo scorso..."

Da tutto ciò si evince la convenienza per l'intera società ad adottare una qualche misura redistributiva che consenta di liberare questi potenziali in grado di aumentare la produzione di ricchezza, e dunque, in definitiva, di costruire una maggior dote per tutti i cittadini.

In Italia come negli USA - e tanto meno in Cina dove elezioni e nomine sono cosa interna al partito - "... il potere non è nei cittadini che votano, ma nelle mani di chi in una forma o nell’altra detiene la ricchezza, indispensabile al potere per funzionare e vincere le elezioni convincendo talvolta la maggioranza a votare addirittura contro il proprio interesse ...".

La disaffezione alla politica e la perdita del consenso di larghe fette della popolazione sarebbero da imputarsi - secondo Rovelli - all’ambiguità che scaturisce da questa situazione.


Possiamo non esser d'accordo su molti punti del discorso di Rovelli, tuttavia è innegabile la presenza di un trend, comune a tutte le economie occidentali, che spinge verso la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.
La diminuzione progressiva del numero delle piccole iniziative imprenditoriali, un tempo artefici della fortuna del nostro paese, non può che esser contrastata da misure in grado di fornire alla maggior parte dei nostri giovani un mezzo per accedere ad un futuro che non sia già disegnato.

Se ci fa scandalo pensare ad un sistema di finanziamento del progetto legato ad una tassa di successione (come quello prospettato da Letta) dovremmo comunque riflettere sulla validità dell'obiettivo, e piuttosto impegnarci nella ricerca di misure meno impopolari in grado di produrre gli stessi effetti.
Tagli alle spese improduttive, riorganizzazione del pubblico impiego, semplificazioni burocratiche, forme agevolate di accesso al credito per i più giovani, rimodulazione del welfare: non mancano le misure alternative, magari da modulare insieme ad un prelievo ridotto sulle successioni.

Bisogna poi considerare come nel nostro paese - purtroppo! - il numero di coloro che ogni anno raggiungono la maggior età non sia così elevato:  il costo finale per finanziare una tale iniziativa non supera quello richiesto per molte altre, i ritorni delle quali potrebbero non dimostrarsi altrettanto "convenienti" alla società nel suo complesso.


Fonti:

1) "La meritocrazia? Una trappola per i poveri ma anche per le élites che sembrano beneficiarne", Daniel Markovits, La Stampa 27/05/2021

2) "Oriente ed Occidente: massa e individuo", Federico Rampini, 2020

3)  "Un tesoretto per i giovani", Carlo Rovelli, il Corriere della Sera:

https://www.corriere.it/editoriali/21_maggio_25/tesoretto-giovani-ed039702-bd70-11eb-b697-2f07a77e389d.shtml?fbclid=IwAR1gTfFcSOrZOvf9EYPnanoxaDgP8tb6URPAdgjlkV9FQruxIGNgVnkEDEg




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