contatore visite

venerdì 15 maggio 2020

I medici comprendono la (matematica) statistica?

I medici sono in grado di comprendere correttamente i risultati degli esami clinici cui vengono sottoposti i loro pazienti?

William Kremer (per BBC World Service) ha intervistato in merito Gerd Gigerenzer - direttore dell'Harding Center for Risk Literacy di Berlino ed esperto di "incertezza e processo decisionale" - autore del saggio "Imparare a rischiare, come prendere decisioni giuste" (2015).

Gigerenzer sostiene che medici e specialisti in medicina, ai quali deleghiamo le decisioni inerenti la nostra salute, siano piuttosto confusi quando si tratta di utilizzare la statistica per interpretare correttamente le informazioni fornite dai test diagnostici.
Di conseguenza risulta molto difficile al paziente capire ciò che gli viene spiegato: il colloquio con il medico dovrebbe infatti servire a procurargli gli elementi indispensabili a prendere decisioni consapevoli circa le cure o gli esami cui verrà sottoposto, ma il più delle volte ne esce con una gran confusione in testa senza averci davvero capito molto.

Il primo esempio che l'autore presenta a sostegno della propria tesi è autobiografico.
Nel 1992, appena trasferitosi a Chicago, accompagnò la figlia di 6 anni alla prima visita odontoiatrica: doveva essere un semplice controllo, visto che la bambina non mostrava alcun sintomo o dolore.
Invece di procedere con l'esame clinico, il dentista suggerì di farle preventivamente una radiografia.
Di fronte alle rimostranze del padre insinuò che un esame radiologico avrebbe potuto rilevare particolari importanti circa la sua salute dentale, dati impossibili da ottenere altrimenti.
Solo la firma di una liberatoria, finalizzata ad esentarlo da responsabilità derivanti da eventuali problemi futuri, avrebbe convinto il dentista a procedere soltanto con la visita tradizionale.

Gigerenzer, certo non uno sprovveduto, gli fece subito notare che la FDA (Food and Drug Administration) suggerisce di non procedere con radiografie senza una diagnosi preventiva ottenibile con una semplice visita odontoiatrica, e contrattaccò chiedendo al medico se lui fosse informato sui potenziali danni causati ai bambini dalle radiografie dentali, quali ad esempio il cancro alla tiroide od al cervello.
Nel caso lo fosse, chiese di fargli avere un qualche riferimento - il titolo di un testo o gli estremi di un articolo pubblicato su una rivista specializzata - per poter controllare la correttezza delle risposte fornite.
Il dentista non aveva una risposta pronta sull'argomento: condizione indispensabile prima di proporre ad un paziente un esame non previsto dalle linee guida della FDA nel frangente di una semplice visita di controllo.

Secondo l'autore - che nel 2006 e 2007 ha organizzato seminari cui hanno partecipato oltre 1000 ginecologi - i medici, anche se in possesso di complete informazioni statistiche, non sarebbero comunque in grado di comprenderle.

Per dimostrare questa affermazione categorica è solito aprire il confronto con i medici che partecipano ai suoi incontri con un semplice quesito molto "pratico".

Una donna di 50 anni - senza sintomi - si sottopone ad una mammografia di routine.
Qualora il responso del test risulti positivo - e la donna si trovi in un comprensibile stato di agitazione - il medico dovrebbe saper rispondere ad una domanda ovvia: quante donne, allertate dal risultato della mammografia, hanno davvero il cancro?

a) 9 su 10,
b) 8 su 10,
c) una su 10
d) una su 100?

Gigerenzer fornisce poi tre informazioni aggiuntive la cui conoscenza è indispensabile per fornire una risposta corretta:
- per una donna di 50 anni, la probabilità di aver sviluppato un cancro al seno è pari all' 1% (la cosiddetta "prevalenza")
- se una donna ha un carcinoma mammario, la probabilità di risultare positiva al test è pari al 90% ("sensibilità")
- se una donna sana si sottopone al test, la probabilità di risultare positiva è pari al 9% ("falso positivo")

Circa la metà dei ginecologi ha risposto "9 su 10" mentre soltanto il 20% di loto ha indicato la risposta corretta: "una su dieci"
Rispondendo a caso, la percentuale di chi avrebbe indovinato sarebbe stata maggiore.

Gigerenzer ritiene che la ragione di questa confusione sia da attribuirsi all'abitudine di indicare le probabilità in termini percentuali; propone perciò come rimedio, qualora si debba calcolare un rischio, di usare il numero delle persone coinvolte, accompagnando i dati, quando possibile, con diagrammi o grafici.
Da questo semplice grafo infatti si intuisce subito che le donne con un cancro al seno il cui test è positivo sono soltanto 9, mentre il numero totale delle donne che risultano positive al test è molto più alto in quanto include anche 89 falsi negativi (donne sane il cui test risulta erroneamente positivo).

9 sono le donne positive al test con il cancro da rapportare al totale di 98 donne positive (9 + 89)
La probabilità di avere il cancro qualora la mammografia restituisca un risultato positivo è pari a circa una donna su 10.   (vedi nota 1)


Gigerenzer ritiene che un'altra frequente fonte di confusione per i medici sia rappresentata da un indicatore chiamato "tasso di sopravvivenza", che al contrario di quanto potremmo pensare non è l'opposto del "tasso di mortalità".
Mentre quest'ultimo indica la percentuale della popolazione che muore per una determinata patologia, il tasso di sopravvivenza ritorna "la percentuale di persone (cui è stata diagnosticata una certa patologia) ancora vive dopo un dato lasso di tempo (in genere 5 anni) calcolato a partire dal momento della diagnosi".
Il tasso di sopravvivenza non ci fornisce cioè alcuna informazione se successivamente allo scadere del lasso di tempo i pazienti moriranno a causa della patologia o meno.


Un esempio delle conseguenze di questo fraintendimento sono le frequenti notizie, talvolta riportate anche da specialisti, circa l'efficacia degli screening di massa eseguiti in alcuni paesi su maschi per diminuire l'incidenza del cancro alla prostata.

Gli approcci seguiti da USA ed Inghilterra sono diversi:
- in America i medici sollecitano tutti i maschi, raggiunta una certa età, a sottoposi a PSA, uno screening per individuare la presenza di antigeni specifici della prostata, indicatore della presenza della patologia.
- in Inghilterra il PSA viene prescritto soltanto qualora siano stati riscontrati in precedenza dei problemi: di conseguenza il momento in cui il cancro viene diagnosticato può esser ritardato rispetto a quanto avviene negli USA.

Il "tasso di sopravvivenza a 5 anni" dalla diagnosi di carcinoma alla prostata in Inghilterra è pari all' 81%, negli USA al 99%.

Se consideriamo il tasso di mortalità (la percentuale dei decessi causati da cancro alla prostata sul totale) non troviamo invece differenze significative tra i due paesi.
Il motivo è che esiste un tipo di carcinoma prostatico, identificato con il termine "non progressivo", che consente a chi ne è colpito di conviverci a lungo, e spesso la morte interviene in seguito per altre cause.
Chi ha sviluppato questo tipo di cancro verrà annoverato tra coloro che sono sopravvissuti a 5 anni dalla diagnosi - migliorando così il tasso di sopravvivenza - soltanto in quei paesi dove sarà stato possibile diagnosticarlo, nazioni come gli USA dove vengono eseguiti screening di massa.
Essendo in generale un disturbo asintomatico, in paesi quali l'Inghilterra non viene rilevato, e non contribuisce ad un aumento del tasso di sopravvivenza.

Prendendo in esame il tasso di mortalità (numero di decessi per carcinoma alla prostata sul totale) i valori riscontrati per i due paesi sono quasi identici: su 1.000 decessi sono da imputarne a questa malattia 24 in Inghilterra e 23 negli USA.
L'introduzione di uno screening di massa ha permesso cioè di salvare una vita ogni 1000 decessi.

Pertanto, quando nel 2007 Rudy Giuliani dichiarò che le probabilità di sopravvivenza ad un cancro alla prostata fossero decisamente superiori negli USA rispetto all'Inghilterra (tentava così di dimostrare la superiorità del sistema sanitario americano rispetto a quello europeo) aveva torto: la mortalità legata a tale patologia dipende da molti fattori, tra i quali l'efficienza del sistema sanitario dello stato in questione. 

Ma tra le due sponde dell'Oceano i dati dimostrano inequivocabilmente non ci siano differenze apprezzabili.



Otto anni prima un errore simile era stato commesso nel corso di un'indagine focalizzata sul cancro al colon: il fatto che in Inghilterra il tasso di sopravvivenza a 5 anni risultasse la metà di quello rilevato negli USA (35% contro il 60%), aveva condotto i ricercatori a conclusioni errate: anche in questa occasione non era stato preso in considerazione il tasso di mortalità, più o meno lo stesso in entrambi i paesi.

I medici dunque non hanno ben chiaro i significati di "tasso di sopravvivenza" e di "tasso di mortalità": un sondaggio condotto negli USA su questa categoria ha rivelato come addirittura il 75% sia convinto che un tasso di sopravvivenza più alto significhi automaticamente che più vite vengano salvate.
Un gran numero di medici si trova nella condizione di raccomandare un test, magari invasivo come il PSA, ai propri pazienti basandosi su evidenze di un maggior tasso di sopravvivenza, invece di concentrarsi su un tasso di mortalità inferiore.

La confusione che si registra tra i medici amplifica poi la diffusione di idee sbagliate tra i pazienti: oltre il 96% degli uomini e delle donne intervistate sopravvaluta i benefici sia della mammografia che del test PSA.

Il 25% delle donne inglesi è infatti convinto che, su 1.000 donne testate con la mammografia, 200 di loro si siano salvate grazie ad essa, quando (purtroppo) il dato reale è ben diverso (soltanto una su 1.000).
Infatti:
- 4 donne su 1.000, sottoposte a mammografia, muoiono comunque per il cancro;
- 5 su 1.000 sono le donne che muoiono in conseguenza del cancro senza esser state sottoposte a mammografia.

La differenza in termini di numero di decessi (dovuti alla patologia) tra coloro che si sono sottoposte al test e chi non l'ha fatto è una donna ogni mille; tuttavia se parliamo di riduzione di mortalità dovuta all'utilizzo della mammografia in termini percentuali il valore corretto è 20%:

          (5-4) / 5 è pari ad 1/5 cioè il 20%.

Il messaggio "la mammografia riduce la mortalità del 20%" pur corretto risulta confuso.
Il pubblico (e talora gli stessi medici) lo interpretano come "il 20% delle donne si salva grazie alla mammografia", frase che ha un significato decisamente diverso.


(
vedi nota 2)

L'esempio forse più noto di incapacità da parte del pubblico di calcolare correttamente un rischio risale all'ottobre 1995 
(ne ho già parlato in un post al mio blog il 23 luglio del 2018, vedi nota 3)

In occasione del lancio sul mercato di nuova pillola contraccettiva orale di terza generazione, il comitato per la sicurezza dei medicinali del Regno Unito, seguendo le consuete procedure, avvertì medici e ginecologi che il prodotto raddoppiava il rischio di trombosi rispetto alle generazioni precedenti. 
Si trattava di passare da una probabilità su 7.000 a due su 7.000: il doppio di un valore molto piccolo rimane infatti un valore molto piccolo.

La notizia fu rilanciata dai media e trasformata più o meno così:
"la nuova pillola uccide: raddoppiando il rischio di trombosi, una patologia che può avere come conseguenza una embolia polmonare mortale, le donne che decideranno di assumerla rischiano grosso".

Migliaia di donne spaventate abbandonarono l'utilizzo della pillola come mezzo contraccettivo, e l
'anno seguente in Inghilterra furono registrati 13.000 aborti in più (interventi nei quali il rischio di esiti fatali è decisamente più elevato).


Migliorare la comprensione delle statistiche da parte dei medici per Gigerenzer non è difficile.  Scrive infatti: "non è un problema inerente il loro tipico modo di pensare, semmai un problema di formazione: nelle università e nei dipartimenti di medicina i giovani studenti vengono formati in molti ambiti, tranne che in matematica statistica".

Tuttavia non è solo questo il motivo che ostacola la collaborazione tra medico e paziente nel prendere decisioni sulle cure da seguire: nei servizi sanitari dei paesi avanzati è talora d'uso praticare una "medicina difensiva".
Per ridurre la probabilità di esser querelati, parecchi medici prescrivono esami non strettamente necessari per il paziente, ma utili a loro stessi come difesa nel caso fossero accusati di negligenza (abbiamo già visto l'episodio autobiografico dell'autore e del dentista, dove oltre alla medicina difensiva ha pesato senz'altro il fattore economico: una prestazione aggiuntiva giustifica infatti una parcella più alta).

La medicina difensiva è molto diffusa (circa il 93%) specialmente tra i medici che lavorano in campi "ad alto rischio di contenzioso", quali l'ostetricia e la neurochirurgia.
Relativamente alla PSA, 3 medici su 4, pur ritenendo i danni eventualmente provocati superiori ai benefici che se ne possono trarre, prescrivono questo test ai loro pazienti.

Il consiglio che Gigerenzer ci offre per far uscire il nostro medico dalla "forma mentis" della medicina difensiva è quello di lavorare molto sulle parole.
Invece di chiedere "lei cosa mi consiglierebbe", dovremmo provare con qualcosa del tipo "se io fossi sua madre o suo fratello, lei cosa mi consiglierebbe?"

La risposta potrebbe esser ben diversa nei due casi!

Uno studio svizzero del 1993 ha confrontato le percentuali di isterectomie praticate a dottoresse o alle mogli di medici rispetto alla media nazionale: 10% contro il 16%.

Altre domande che dovremmo fare al nostro medico per comprendere meglio la situazione:
"Quali sono le alternative?"
"Quali sono i vantaggi e quali potrebbero esser i danni?"
"Per favore, evitiamo le percentuali e parliamo di numeri assoluti: se 100 persone assumono questo farmaco ed altre 100 no, cosa succede ai due gruppi dopo cinque anni?"

Ricordandoci che una volta ottenute le risposte, spetta sempre al paziente prendere la decisione definitiva.

Il dottor Glyn Elwyn del Dartmouth Center (US) approva il metodo suggerito da Gigerenzer, tuttavia nota come spesso anche pazienti dotati di un elevato grado di istruzione si sentano a disagio nel porre domande complesse ai propri medici o nel mettere in discussione le loro raccomandazioni, soprattutto per paura di esser da loro etichettati come "pazienti difficili".

Elwyn suggerisce perciò di formulare le domande in modo tale che il medico non senta sé stesso come un antagonista messo nell'angolo.

Usare espressioni tipo: "mi è capitato di fare delle ricerche sull'argomento, e sono a conoscenza che riguardo a questo suo suggerimento ci sia una controversia. Magari lei potrebbe non esserne ancora a conoscenza, tuttavia le sarei grato qualora mi indichi una lettura di approfondimento".

Se poi il medico cerca di schivare la domanda o si mostra adirato... meglio rivolgersi altrove!

Elwyn raccomanda ai medici un comportamento molto sincero e trasparente, specie nelle occasioni in cui ignorano qualcosa.
Suggerisce loro di avvalersi di strumenti con una struttura semplice, quali le tabelle con elencate in modo chiaro tutte le opzioni di cura e le loro conseguenze: sono un aiuto indispensabile per prendere decisioni difficili insieme ai pazienti.


Gigerenzer si stupisce come ancora al giorno d'oggi ci sia chi guarda ai medici come a degli dei; "un medico - dice - è sicuramente qualcuno che ha la possibilità di aiutarti, ma è anche qualcuno che devi sfidare per ottenere la miglior cura possibile".



Note:
-------

(1) La domanda posta è in realtà "quante donne positive al test hanno realmente il cancro"?

Il conto esatto da fare è il seguente.
su 1.000 donne l'1% ha il cancro, e cioè 10 di loro (prevalenza = 1%) mentre 990 sono sane.

La mammografia non è un test completamente affidabile:
- solo il 90% delle donne con un cancro risulta positiva al test (sensibilità = 90%): cioè delle 10 donne con il cancro, 9 risulteranno positive ed 1 negativa (falsi negativi = 1);
- il 9% delle donne sane risulta invece positiva al test (falsi positivi = 9%): cioè delle 990 donne sane, 89 risultano positive (e si preoccuperanno per nulla)

Il totale delle donne positive al test sarà dato da 89 (sane false positive) + 9 (malate che risultano positive) = 98;

Di queste 98 soltanto 9 hanno il cancro, quindi una su 10 circa.

Espresso in percentuale, 9 / 98 = 9.2% (è la probabilità di avere un cancro una volta che la mammografia ha restituito un responso positivo)



 (2) Esempio di come si potrebbe evitare la confusione: un'idea della dott.ssa Lisa Schwartz e della dott.ssa Steven Woloshin della Dartmouth Medical School




(3) https://davidemolinapersonale.blogspot.com/2019/01/23-luglio-2018-la-difficolta-di.html


Altri links:

www.bbc.com/news/magazine-28166019


https://en.wikipedia.org/wiki/Gerd_Gigerenzer


Nessun commento:

Posta un commento

Elenco posts

 Elenco dei miei posts scritti nel periodo dal 28/3/18 all'11/04/24:                                                    ( su FB ) - vide...