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mercoledì 1 aprile 2020

Scott ed Amundsen, il fly-by di Urano e la tragedia del Challenger: una visione di Freeman Dyson sulle modalità di progettazione di un'impresa.

Scott ed Amundsen, il fly-by di Urano e la tragedia del Challenger, Eniac ed i PC: Freeman Dyson indaga su un filo conduttore che lega questi successi e fallimenti che hanno segnato il secolo scorso, e la cui comprensione deve guidare la progettazione delle grandi imprese del futuro.

La pagina Facebook di Focus in questi giorni ricorda con un video l'epopea dello Space Shuttle (aprile 1981 - luglio 2011), lo spazio-plano STS (space transportation system) sviluppato dalla NASA alla fine degli anni '70, che decollava come un razzo (agganciato ad un grande serbatoio di combustibile liquido affiancato da 2 boosters a combustibile solido) e, al rientro in atmosfera, planava come un aliante atterrando su una apposita pista. 

Il programma è stato concluso nove anni fa dopo aver portato a termine 135 viaggi nel corso dei quali due navette sono esplose uccidendo l'intero equipaggio (una al momento della partenza ed una durante il rientro in atmosfera). 
Il pensionamento degli Shuttles, sostiene pubblicamente la NASA, è stato deciso in conseguenza degli alti costi operativi, pari a circa 500 milioni di dollari per lancio. 

Tutti coloro che oggi hanno più di 40 anni ricorderanno le immagini televisive trasmesse ossessivamente relative alla deflagrazione dell'STS Challenger il 28 gennaio 1986: qualche attimo dopo la partenza, neppure erano passati 5 anni dall'inizio del programma Shuttle, la navetta si consumò in una palla di fuoco uccidendo tutti e sette i componenti dell'equipaggio. 
La successiva indagine sull'incidente si concentrò sulla tenuta alle basse temperature dei "giunti di gomma" ("O" rings), la cui funzione era connettere le diverse sezioni che componevano i boosters a combustibile solido. 

Freeman Dyson, il fisico matematico deceduto alla fine di febbraio 2020 di cui ho già parlato nel precedente post, nel suo libro pubblicato nel 1988 intitolato "Infinito in ogni direzione" offre una spiegazione alla tragedia dell'STS Challenger quanto meno originale. 

Qualche giorno prima dell'incidente, il 24 gennaio, la tecnologia spaziale americana avrebbe compiuto qualcosa di apparentemente miracoloso, un'impresa della quale pochi, tranne gli addetti ai lavori, ricordano o ne sono a conoscenza. 

Mentre la sonda Voyager, lanciata alla fine degli anni '70, si apprestava al fly-by di Urano il JPL (Jet Propulsion Laboratory di Pasadena) utilizzando a pieno la rete DSN (Deep Space Network, potenti antenne sparse intorno al mondo) per riceverne i deboli segnali contenenti fotografie e dati - importante era la ricezione completa di tutti i segnali perché impossibile farli reinviare dalla sonda in un secondo tempo - arrivò una richiesta di aiuto dall'ESA. 
L'antenna ad alto guadagno della sonda Giotto in viaggio verso la cometa di Halley aveva perso l'orientamento verso la terra: senza poter inviare immediatamente istruzioni per farla ruotare, la missione rischiava il fallimento.
I tecnici del JPL, che avevano progettato e programmato parecchi "piani B" per ogni evenienza, in pochi minuti riuscirono ad elaborare con successo una strategia completamente innovativa che salvò entrambe le missioni. 

Dyson si chiede come sia possibile un grande successo ed un fallimento di quella portata da ascriversi entrambi alla stessa tecnologia. 

Per rispondere a questa domanda richiama un evento di quasi 70 anni precedente, la conquista del polo Sud: due contendenti, Robert Scott e Roald Amundsen, si disputarono l'impresa che finì in tragedia per il primo e fu invece un successo per il secondo.
La spedizione di Scott era "tecnologicamente più avanzata" rispetto a quella del concorrente: dotata di un convoglio in parte motorizzato, ponies e uomini per il traino, provviste in abbondanza.
Amundsen per contro usa slitte trainate da cani, velocissimo raggiunge il polo sud e rientra senza neanche una perdita: si tratta di un mezzo tradizionalmente utilizzato dagli Inuit e pertanto più "affidabile".

La discussione, ci sottolinea Dyson, non è se usare o meno una tecnologia avanzata, indispensabile per certe missioni dove i mezzi tradizionali non hanno possibilità di operare, ma sulla scelta di cosa utilizzare per un obiettivo specifico: se i mezzi tradizionali (più affidabili) possono esser sufficienti per un'impresa, ha poco significato sperimentarne dei nuovi mettendo a rischio vite umane.

Ci sono molte analogie tra gli esiti opposti di queste due missioni di inizio novecento ed il successo del JPL / fallimento dello STS Challenger. 

Dyson ritiene che causa di quest'ultimo sia da ricercarsi non tanto nella tenuta dei famosi "O" rings (la cui tendenza a rompersi alle basse temperature fu magistralmente dimostrata nel corso di una conferenza pubblica da un altro grande fisico, Richard Feynmann, che immerse un anello di gomma in un bicchiere di acqua cui era stato aggiunto ghiaccio), ma nella scelta di utilizzare lo STS come lanciatore non solo per quei programmi che avessero come scopo primario l'attività umana nello spazio. 

Lo shuttle veniva praticamente utilizzato per quasi tutti i lanci di satelliti per telecomunicazioni, militari, metereologici, commerciali, tra l'altro con la pesante limitazione di dover seguire orbite specifiche in quanto era necessario tenere conto delle possibilità di rientro degli astronauti (due piste, una in California ed una in Florida).
Per portare in orbita questi satelliti sarebbe stato sufficiente utilizzare dei lanciatori classici quali gli Scouts, i Delta od i Titan: sperimentati per un periodo molto più lungo, dunque più affidabili, se pure fossero esplosi alla partenza non avrebbero causato perdita di vite umane. 

In aggiunta a tutto ciò, l'uso quasi esclusivo delle navette come mezzo per accedere allo spazio comportava la pianificazione di un calendario molto rigido dei decolli per evitare sovrapposizioni: proprio questa rigidità impedì il rinvio del lancio del Challenger in occasione della famosa "gelata" verificatasi in Florida la notte precedente lo sfortunato decollo. 

Dyson nota come ad inizio secolo nessuna commissione d'inchiesta abbia mai domandato "per quale stupido motivo Scott non ha utilizzato i cani?": esattamente come nessuno, all'indomani dell'esplosione, ha chiesto ai responsabili perché mai si fosse deciso di utilizzare lo Shuttle per missioni che potevano essere assolte in modo differente, tra l'altro a costi inferiori. 

La morale che se ne può ricavare è che dobbiamo fare molta attenzione a cosa chiedono i clienti prima di imbarcarci in un'impresa. 

la NASA ha sbagliato a ritenere che lo STS "potesse prendersi cura di tutti i clienti, senza riguardo alle loro necessità specifiche".
"Privati e militari" - continua Dyson - "non amavano lo Shuttle perché li privava di frequenti e flessibili finestre di lancio, altrimenti disponibili con i razzi tradizionali".
"L'insistenza nel ritenere lo STS come il solo sistema di lancio disponibile fu il vero responsabile del disastro del gennaio 1986: forti pressioni dall'alto imponevano il rispetto della rigida programmazione dei lanci, cosa che non si sarebbe verificata se lo Shuttle fosse stato utilizzato solo per missioni per le quali era richiesta la presenza di un equipaggio umano. Maggiore flessibilità sui tempi di lancio avrebbe ritardato il take off evitando la rottura degli O-rings dovuta all'eccezionale bassa temperatura verificatasi in quella notte".

A conferma della sua tesi Dyson allega anche due esempi chiarificanti: 

1) le ferrovie da tempo hanno separato il trasporto merci da quello passeggeri. 

2) il fallimento delle previsioni di Von Newmann circa l'uso e l'evoluzione dei computers, dei quali aveva contribuito alla creazione. 
Von Newmann, nei materiali che ci ha lasciato, immaginava la creazione di enormi computers che sarebbero serviti prima di tutto per la metereologia e le scienze che necessitano alte prestazioni di calcolo, ed in secondo luogo per progettare bombe H ed i loro lanciatori; ne escludeva un uso ludico o legato alle piccole necessità d'ufficio. 

Oggi esistono i supercomputers, ma in numero limitatissimo; per contro su ogni scrivania abbiamo un PC con una potenza di calcolo decisamente inferiore ma sufficiente per i compiti generici (la flessibilità!) che gli affidiamo.
L'evoluzione che ha seguito l'industria delle macchine da calcolo non è stata quella prevista da Von Newmann perché ad un certo punto quest’ultima si è chiesta quali siano le necessità del cliente: a quel punto ha abbandonato lo sviluppo di computers giganteschi, per i quali la domanda è limitata, e si è buttata sulla produzione di dispositivi economici in grado di soddisfare la domanda di un numero grandissimo di consumatori. 

Questa è stata la strategia vincente che è mancata alla NASA.

Infine Dyson si chiede quali caratteristiche avrebbe dovuto avere un veicolo spaziale qualora la sua progettazione fosse stata realizzata tenendo conto delle necessità del cliente: un veicolo sicuramente più piccolo e meno costoso, privo di una grande stiva (i Titan possono trasportare carichi maggiori con meno rischi e ridotto impegno economico). 

Trasportare 7 persone per volta è quasi sempre inutile e troppo oneroso: meglio un equipaggio limitato a 2 o 3 persone che così possono rimanere nello spazio per periodi più lunghi; un veicolo in grado di attraccare (docking) ad un altro simile, di muoversi su un più ampio spettro di orbite. 

In una parola dotato di più "flessibilità", una caratteristica determinante per il successo dell'impresa di Amundsen, per la diffusione dei PC e per la missione Voyager, il cui software di bordo è riprogrammabile: tant'è che, ad esempio, le risoluzioni delle foto di Urano sono superiori a quelle di Saturno sebbene scattate dalla stessa macchina anni prima, in virtù di una riprogrammazione del software effettuata da miliardi di km di distanza!

Il futuro dell'esplorazione secondo Dyson? 

Per il 2016 immaginava sonde automatiche piccole e veloci. Circa 1 kg di peso (invece di una tonnellata) ed una velocità pari a quasi 5 volte quella dei Voyagers, con la capacità di atterrare, muoversi su superfici solide, volare nelle atmosfere degli altri pianeti. 

Tutto questo, pensava nel 1988, sarà possibile grazie allo sviluppo di tre tipi di tecnologia: ingegneria genetica, intelligenza artificiale e propulsione elettrico-solare.
- L'ingegneria genetica farà sì che la sonda non venga "costruita" in modo tradizionale, ma “cresca” ad imitazione di un organismo vivente. Sarà “organizzata biologicamente”, con i suoi progetti scritti in un linguaggio digitale nel DNA: una simbiosi di pianta, animale e componenti elettronici dove la componente vegetale "offrirà il sistema di supporto della vita "usando biochimica a ciclo chiuso con la luce solare come fonte di energia", quella animale "sensori nervi e muscoli per osservare, orientarsi e navigare", infine quella elettronica per "comunicare con la Terra".

- L'intelligenza artificiale coordinerà le 3 componenti, ed il dispositivo fisico atto a contenerla peserà non più di qualche grammo. Sarà un computer reso compatibile con un sistema nervoso vitale, dotato di un’interfaccia tra circuiti neurale ed elettronico. 

- La propulsione elettrico-solare dovrà fornire "una spinta pari a 50 km/secondo, troppo grande per razzi chimici e vele fotoniche": un'antenna raccoglierà l'energia solare e la convertirà in una modesta spinta propulsiva. Sarà montato un piccolo motore a reazione a ioni che imprimerà un'accelerazione minima, nell'ordine di 1/1000 di g".

Dyson si spinge a pronosticare che la tecnologia per la propulsione elettrico-solare maturerà prima della IA e dell'ingegneria genetica. 

Da buon progettista - ricordiamo il suo impegno nel progetto Orion di cui ho parlato nel post precedente - immagina soluzioni brillanti per la frenata aereodinamica una volta raggiunto il pianeta obiettivo (sfruttando il collettore solare), per un "rifornimento" (attingendo ai materiali ed ai gas disponibili ed utilizzando il sistema biologico per trasformarli in carburante), per la propulsione del veicolo una volta atterrato su un suolo alieno (copiando la biologia del coleottero bombardiere che qui sulla terra utilizza componenti chimiche ricavate dall'ambiente per colpire i nemici con un getto di liquido bollente). 

Soprattutto una caratteristica secondo Dyson deve accomunare le nuove sonde: la flessibilità. 

Oggi, nel 2020: cosa ne è stato del sogno di Dyson? 

Si sbagliava sicuramente sulla velocità di sviluppo delle tre tecnologie da lui indicate: oggi è infatti l'Intelligenza Artificiale quella in vantaggio. 

La propulsione solare elettrica SEP (Solar Electric Pulse), basata sulla combinazione di celle solari e propulsori elettrici per la spinta di un velivolo spaziale, non ha ancora raggiunto il livello di miniaturizzazione / efficienza necessario dal progetto di Dyson; tuttavia è attualmente sfruttata per fornire una spinta nel vuoto a parecchi velivoli spaziali, e costituisce una tecnologia sulla quale oggi si punta con ingenti investimenti. 
Montano - o hanno montato - un SEP i seguenti veivoli:
- la sonda BepiColombo diretta verso Mercurio dell'ESA (Agenzia spaziale Europea);
- la sonda Hayabusa della JAXA (Ag spaziale giapponese) diretta verso l'asteroide Itokawa dal quale dovrebbe prelevare campioni da riportare indietro;
- le sonde della NASA Deep Space 1, che nel corso della missione 1998-2001 ha raggiunto un asteroide ed una cometa, e Dawn che dovrebbe raggiungere il pianeta nano Cerere e l'asteroide Vesta. 

L'ingegneria genetica è l'unica delle 3 tecnologie indicate da Dyson che, nonostante gli incredibili traguardi raggiunti in 40 anni (quali il sequenziamento del genoma umano e l’editing genetico) sembri ancora molto distante dalle prestazioni immaginate per il 2016.  
Per il momento sembra concentrarsi su obiettivi diversi rispetto all'esplorazione spaziale; nonostante ciò ricerche e sperimentazioni per integrare materiale biologico e circuiti elettronici risultano attualmente in corso.
Una sorpresa potrebbe arrivare dalla robotica: la ricercatrice Barbara Mazzolai, autrice del testo "la natura geniale" (2019) costruisce robots che imitano le strategie di adattamento messe in campo dalle piante e dagli animali: un bio-robot in grado di esser alimentato dalla luce solare costituirà forse nei prossimi anni il nucleo di una sonda del tipo di quelle sognate da Dyson. 


Fonti:
https://www.facebook.com/focus.it/videos/1385416858297889
https://it.wikipedia.org/wiki/Propulsione_solare_elettrica
https://www.tomshw.it/altro/propulsione-solare-elettrica-per-le-future-missioni-nasa/


Post Scriptum:
In occasione di un incontro, ho chiesto a Tommaso Ghidini (capo della divisione strutture, meccanismi e materiali dell' Agenzia Spaziale Europea), e ad Umberto Guidoni (astronauta), come oggi vengano calcolati i rischi di una missione. 
Il ricordo degli anni in cui la NASA parlava dello Shuttle come "del veicolo più sicuro mai utilizzato dall'uomo nello spazio", affermazione smentita dall'incidente del Challenger e subito sostituita dalla stima prudenziale "un incidente ogni 100 viaggi", era ancora vivo in me, e mi chiedevo con quali parametri oggi venga valutata la sicurezza degli astronauti. 

Mi è stato risposto che oggi viene utilizzato un diverso concetto di rischio: non si parla più di "un incidente ogni tanti voli", ma viene calcolato un "rischio ingegneristico" per l’intero apparato.
In pratica si tratta di calcolare per ogni componente del veicolo spaziale (dalle parti più grosse al singolo bullone) quale sia la probabilità di rottura, ottenibile sottoponendolo a tests in cui si sperimentano condizioni limite.
Ad esempio, se 100 bulloni dello stesso tipo vengono sottoposti allo stesso test ed uno di essi si incrina, il rischio per quella parte del veicolo risulterà pari ad 1 su 100.
Consolidando poi i risultati per ogni parte del veicolo si ottiene il rischio totale relativo alla missione.
Ho trattato l’argomento del rischio nel seguente post al mio blog:

https://davidemolinapersonale.blogspot.com/2019/10/probabilita-certezza-ed-affidabilita.html




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