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giovedì 7 aprile 2022

I giorni sul nostro pianeta sono sempre stati di 24 ore? Come siamo riusciti a misurare sperimentalmente la durata di un giorno di 400 milioni di anni fa.

Oggi sappiamo che la velocità di rotazione del nostro pianeta non è mai stata costante, e che in futuro i giorni dureranno sempre di più.

Le leggi della fisica e le nozioni acquisite di astronomia ci permettono di ricavare un valore teorico per la durata del giorno terrestre riferito ad un qualsiasi momento del passato o del futuro, a condizione naturalmente di non esser all'oscuro di alcun evento verificatosi nella storia del nostro pianeta in grado di incidere sulla sua velocità di rotazione.

Di qui la necessità di trovare un riscontro sperimentale ai dati teorici misurando in qualche modo la durata del giorno terrestre in un periodo sufficientemente lontano nel passato.

Prima di raccontare nei dettagli il metodo ingegnoso ideato dai ricercatori, spieghiamo come si sia arrivati a stabilire che la durata dei giorni si riduce progressivamente; e per far questo siamo costretti a rivolgere la nostra attenzione al nostro satellite, la Luna.

Le missioni Apollo che vi hanno portato l'uomo alla fine degli anni 60 del secolo scorso, hanno permesso sia di stabilirne l'età (grazie all'analisi di campioni di rocce riportati sulla Terra sappiamo che la Luna si è formata circa 4.5 miliardi di anni fa), sia di determinare con precisione millimetrica la sua distanza dal suolo terrestre.

Per ottenere questo risultato sono stati infatti posizionati sulla superficie lunare 5 specchi angolari retroriflettori - ciascuno di essi costituito da più schiere di riflettori - delle dimensioni di una valigia (vedi nota 1).


Illuminando con un impulso laser lanciato dalla Terra uno di questi specchi è possibile ricavarne la misura della distanza in base al ritardo con il quale tale raggio viene rifratto verso il punto di partenza (vedi nota 2).

A tal scopo sono stati finanziati esperimenti di lunga durata che hanno prodotto moltissime misure.
Miglioramenti tecnologici hanno permesso negli ultimi tempi l'utilizzo di apparati più piccoli, quali l'osservatorio della Costa Azzurra di Grasse in Francia e l'APOLLO (Apache Point Observatory Lunar Laser-ranging Operation) del Nuovo Messico negli USA.

Nelle notti chiare viene puntato un telescopio ottico su uno dei riflettori lasciati sul suolo lunare e verso di esso vengono inviati impulsi laser molto intensi.
Il segnale di ritorno è minuscolo: spesso meno di un migliaio tra i 10^17 fotoni inviati.
Tuttavia bastano circa 400 fotoni per considerare il segnale chiaro ed individuabile dai rilevatori (vedi nota 3).
Oggi la misura del tempo impiegato nel tragitto è accurata al trilionesimo di secondo.

Maggie Aderin-Pocock - autrice dell'interessante saggio "Il libro della Luna", ha tenuto una Lectio Magistralis sull'argomento in occasione del festival della Scienza di Genova edizione 2021 - ha raccontato di una misurazione effettuata in sua presenza nel 2018 presso il già citato APOLLO; in quell'occasione la misura rilevata fu pari a 393.499 kilometri, 257 metri e 798 millimetri.



Negli ultimi 50 anni sono state effettuate moltissime misure che hanno dimostrato inequivocabilmente come la distanza tra la Luna ed il nostro pianeta aumenti ogni anno di circa 3,78 cm.
"La Luna si allontana da noi con la stessa velocità con cui ci crescono le unghie", ha affermato Maggie, usando un'immagine ben comprensibile al grande pubblico.

Riavvolgendo il nastro del tempo al contrario si ricava che, appena dopo la sua formazione, il nostro satellite doveva essere molto più vicino a noi, e, come vedremo tra poco, la durata del giorno terrestre non superava le 5 ore.
Il suo progressivo allontanarsi provoca un rallentamento della velocità di rotazione della Terra, e di conseguenza un allungamento nella durata delle giornate.

Tra circa un miliardo di anni la Luna si troverà sufficientemente lontana dal nostro pianeta da far sì che questi divenga instabile: l'estremo rallentamento della sua rotazione potrebbe infatti provocare un moto a spirale con un progressivo scivolamento dei poli verso l'equatore.
In tali condizioni si assisterebbe ad un clima estremo caratterizzato da estati caldissime ed inverni freddissimi.
E' quanto oggi si pensa sia successo a Marte miliardi di anni fa, quando da possibile culla di vita aliena si è trasformato nel deserto che esploriamo attualmente con i nostri rover.
E' quindi corretto chiederci cosa potrebbe accadere alla vita sulla Terra quando nel futuro remoto si verificheranno tali condizioni.
La risposta che gli scienziati ci forniscono sull'argomento è possibilista: se il fenomeno di migrazione dei poli dovesse manifestarsi in tempi lunghi la vita terrestre potrebbe adattarvisi come già ha fatto in passato (vedi nota 4).

Resta a questo punto da spiegare perché mai i giorni dovrebbero allungarsi a causa del progressivo allontanamento della Luna.

La risposta sta nel sistema Terra-Luna  (venuto a crearsi con la formazione del nostro satellite) governato dalla legge di conservazione del momento angolare: se la Luna accelera la Terra è costretta a rallentare.

Proviamo a spiegarne il motivo.

Terra e Luna si attraggono reciprocamente a causa della forza di gravità.
Il nucleo della Luna risulta "fuori centro" a causa la gravità della Terra, e questo fatto ha determinato una protuberanza significativa del profilo del satellite.
Sulla Terra per la stessa ragione osserviamo il movimento delle acque durante le maree (anche il profilo del nostro pianeta risulta irregolare perché le maree lo gonfiano in alcuni punti e lo sgonfiano in altri).

Tuttavia le caratteristiche dei liquidi fanno sì che, a differenza di quanto succede alla Luna, essi si spostino con più facilità rispetto alla massa solida sottostante; mentre le acque sono attirate verso l'alto (movimento verticale) i fondali continuano a ruotare sotto di esse, trascinandole in avanti (moto orizzontale).
Terra ed acque, muovendosi a velocità diverse, sviluppano attrito; è tale attrito a provocare la riduzione progressiva della velocità di rotazione terrestre.

Abbiamo indicato il motivo del rallentamento della rotazione terrestre, ma sappiamo che per conservare il momento angolare la Luna deve per forza accelerare: quale meccanismo provoca questo aumento della velocità orbitale della Luna?

La Terra è in rotazione e "trascina con sé" le acque; dunque la protuberanza di marea non risulta mai allineata alla Luna, ma la precede.
Si tratta di enormi masse d'acqua che esercitano anch'esse un'attrazione nei confronti del nostro satellite "trascinandolo" così un pochino avanti nella sua orbita.

Le protuberanze di marea sulla Terra provocano quindi due effetti:
- rallentano la rotazione terrestre a causa dell'attrito tra acque e parte solida del nostro pianeta;
- accelerano la velocità con cui la Luna gli orbita intorno.

Tale processo è definito "conservazione del momento angolare": due corpi connessi preservano il momento angolare, per cui se uno rallenta l'altro deve accelerare.



Possiamo ora occuparci di come sia stato possibile verificare la stima della lunghezza dei giorni in un passato remoto del nostro pianeta (ottenuta dalle equazioni che governano i fenomeni descritti) tramite una misura empirica.

A quanto ne sappiamo ad oggi non c'è modo di "tornare indietro nel tempo" ed osservare direttamente il nostro oggetto di studio (la durata del giorno) perché le leggi della fisica e l'entropia impediscono i viaggi nel passato (vedi nota 5).

Tuttavia possiamo pensare di avvalerci dell'aiuto di testimoni, e cioè di esseri viventi presenti sul nostro pianeta già 400 milioni di anni fa nel periodo Devoniano, un intervallo di tempo sufficientemente lungo per misurare l'accuratezza delle previsioni ricavabili dalle nostre equazioni.

Prima di chiederci come hanno fatto i ricercatori ad interrogare "i testimoni", parliamo di "vita", un fenomeno riscontrabile solo sulla Terra (e non sulla Luna).

Ancora una volta dobbiamo partire dal nostro satellite.

Dalla legge di Newton sappiamo che la sua attrazione gravitazionale, che causa le maree, è proporzionale al quadrato della distanza Terra-Luna.
Qualora la Luna in un passato remoto sia stata molto più vicina alla Terra, non solo sarebbe apparsa molto più grande nel cielo ed enormemente più luminosa (anche l'intensità della luce diminuisce con il quadrato della distanza della sorgente), ma le maree dei nostri oceani sarebbero state mostruose! (vedi nota 6).

Una Luna 20 volte più grande nel nostro cielo avrebbe un aspetto imponente e sarebbe 400 volte più luminosa rispetto ad oggi, rendendo le notti di luna piena non troppo diverse come luminosità da quella dei giorni nuvolosi (vedi nota 7).
Le basse maree lascerebbero scoperti gran parte dei fondali marini mentre le alte maree forzerebbero gli oceani a coprire aree cospicue delle terre emerse.

Oggi sono in molti a pensare che la formazione della Luna abbia innescato il fenomeno "vita" sul nostro pianeta (vedi nota 8);
Appena dopo l'impatto con "Theia" (vedi nota 9) o con altro corpo celeste, la Terra primordiale - un paesaggio vulcanico con fumarole, gas, pozze di fango, lava che fuoriesce dalle fratture della crosta terrestre - subì maree di proporzioni enormi ed un'intensa attività vulcanica che contribuì a modificarne la composizione dell'atmosfera con il rilascio di nuovi gas quali idrogeno libero, acido solforico e metano.
L'esperimento Miller-Urey degli anni '50 rivelò infatti che mescolando questi 3 gas riscaldati alle temperature che dovevano esserci a quei tempi, aggiungendo scariche elettriche ed "aspettando", si veniva a formare una melma marrone composta da amminoacidi che costituiscono le basi delle proteine.
In pratica dimostrò che da materia inorganica era possibile ottenere componenti organici della vita.

Mancava tuttavia una spiegazione di come sia stata possibile la comparsa spontanea di ciò che rende possibile il trasferimento dell'informazione genetica di generazione in generazione, e cioè dell'RNA (RiboNucleicAcid).
Sappiamo che l'RNA è il messaggero cellulare che permette al DNA di comunicare con le "fabbriche di proteine" dell'organismo; sappiamo pure che esso si "autocatalizza", cioè che contiene le proprie informazioni genetiche e quindi può riprodursi spontaneamente.

Ma come è apparso l'RNA sul nostro pianeta?

Circa 500 milioni di anni dopo la formazione della Luna, l'aspetto della Terra non era poi troppo dissimile da quello attuale; e cioè abbastanza fredda da ospitare oceani di acque sulfuree interrotti da rocce emerse.
Quattro miliardi di anni fa la Luna era molto più vicina a noi, e le maree erano quindi enormi.
Nelle vastissime aree chiamate "intertidali", cioè zone esposte in bassa marea che venivano ricoperte d'acqua con l'alta marea, si formavano pozze in cui si accumulavano sostanze organiche.
Il sorgere del sole le faceva evaporare e contestualmente aumentava la concentrazione delle molecole organiche.
La successiva marea apportava ulteriori molecole organiche che si sarebbero depositate sulle precedenti, e così il processo di concentrazione proseguiva.
Questo "brodo chimico", la cui formazione è causata dall'attrazione gravitazionale della Luna, si ritiene sia stato "il padre" dell'RNA (vedi nota 10).

Bene, chiarito il meccanismo attraverso il quale la vita potrebbe esser comparsa spontaneamente sul nostro pianeta, siamo pronti a scoprire come sia stato possibile calcolare la durata del giorno nel periodo devoniano.

Il metodo è stato ideato da biologi marini e si basa sull'osservazione di campioni fossili di una specie di coralli ancora oggi esistenti, dotata di una particolare caratteristica.


L' "Eusmilia fastigiata" è un corallo tropicale (si può trovare ad esempio nelle scogliere delle isole Bermuda) che secerne un nuovo strato di carbonato di calcio ogni giorno.
La sua osservazione al microscopio permette il conteggio degli strati, e di conseguenza di ottenere informazioni sulla sua età espressa in numero di giorni da cui "risulta vivo".
Nei periodi invernali la crescita rallenta; è quindi possibile ricavare gli anni di vita del corallo confrontando lo spessore degli strati.
Contando "quante crescite giornaliere" si sono succedute in un anno è pertanto possibile ricavare il numero di giorni da cui è composto l'anno stesso.

L'osservazione di un campione fossile del periodo devoniano (ca. 400 milioni di anni fa) ha restituito un conteggio di 400 crescite giornaliere rispetto alle attuali 365.
Poiché l'orbita terrestre - e la velocità di rivoluzione del nostro pianeta intorno al Sole - non è cambiata negli ultimi 4 miliardi di anni, se ne deduce che invece a mutare sia stata la velocità di rotazione del nostro pianeta.

Di quanto?

In un anno ci sono 8760 ore (24x365); dividiamo questo dato per 400 (il numero di strati del corallo) e così otteniamo la durata del giorno Devoniano: 21 ore e 54 minuti, cioè il 10% in meno rispetto alla durata odierna 
(vedi nota 11).

I conti tornano rispetto al valore atteso.
Pertanto, utilizzando le stesse equazioni, calcoliamo la durata del giorno terrestre nel momento in cui la Luna si è formata 4,5 miliardi di anni fa: il risultato è sorprendente, soltanto 4,7 ore.
A quel tempo la durata dell'anno, misurata in cicli alba/tramonto (rotazioni intorno al proprio asse), risulta pari a 1827 giorni.

Che cosa può significare un ritmo così frenetico per il fenomeno "vita"?

La ISS (la Stazione Spaziale Internazionale) si muove a 27.000 km/h e completa un'orbita ogni 90 minuti.
Gli astronauti, come tutti gli esseri viventi, sono programmati per mangiare, dormire, metabolizzare e rigenerare cellule secondo il "ritmo circadiano" che si sincronizza con i cicli luce/buio.
Questo tipo di orologio si trova nell'ipotalamo, una regione del cervello controllata da ormoni: la luce percepita dall'occhio provoca il rilascio di cortisolo (l'ormone dello stress) che causa aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca.
Il buio provoca invece il rilascio di melatonina, l'ormone del sonno.

Test condotti oramai da molti anni su astronauti e speleologi dimostrano che quando il ciclo luce/buio ha una durata molto diversa dal ciclo di 24h, il corpo non vi si adatta; il cervello rinuncia cioè alla sincronizzazione.

Problemi di salute insorgono invece quando la differenza non è esagerata.

Tra un miliardo di anni la distanza Terra-Luna aumenterà solo del 10%, ma la durata dei giorni e delle notti di ben 12 volte (la Terra ruoterà su sé stessa in 288 ore).

Domanda interessante è se la vita, come la conosciamo oggi, potrebbe adattarsi ad un tale scenario?

Riscontriamo esempi di condizioni simili nelle estreme regioni artiche ed antartiche, dove la durata del giorno varia sensibilmente nel corso delle stagioni.
Orsi e scoiattoli hanno trovato soluzione nel ricorso al letargo, periodo durante il quale azzerano l'orologio biologico riducendo la temperatura corporea, dormendo e risparmiando energia.
Renne ed alci invece bypassano il ritmo circadiano dormendo a brevi intervalli anche quando non è buio: hanno adottato la strategia del sonno polifasico.

Potrebbe l'uomo adattarsi a queste condizioni?

I Sami sono un'etnia che per migliaia di anni ha convissuto con renne ed alci nell'ambiente artico, e potrebbero costituire un ottimo oggetto di studio per verificare l'adattabilità dei sapiens al sonno polifasico ... se non che l'arrivo della corrente elettrica circa 50 anni fa ha reso questo "campione di indagine" contaminato.

Studi sul sonno polifasico sono comunque oggi condotti sui navigatori in solitaria che tentano la circumnavigazione del globo.
Per quanto se ne sappia oggi, la nostra specie potrebbe adattarsi al sonno polifasico.

Altro effetto di un allontanamento del nostro satellite, pur nell'ordine di un solo 10%, è la perdita di stabilità dell'inclinazione dell'asse terrestre (oggi pari a 23 gradi con variazioni +/- 2°).
In assenza dell'effetto stabilizzatore determinato dalla prossimità la Terra potrebbe inclinarsi a piacere tra 0° e 90°.
Rallentando la velocità di rotazione verrebbe a mancare l' "effetto giroscopio" che possiamo osservare guardando una palla girare vorticosamente sul dito del giocoliere; quando la palla smette di ruotare essa si rovescia su un lato.

Come anticipato, pare che lo scivolamento dei poli all'equatore sia un evento che ha interessato Marte milioni di anni fa: in conseguenza di ciò, l'acqua, che un tempo era abbondante, evaporò e la superficie divenne arida e secca.

Se la stessa cosa succedesse al nostro pianeta i fiumi si prosciugherebbero, i deserti sarebbero inondati da piogge, ai tropici troveremmo ghiacci come quelli dei poli, mentre i ghiacci polari, inondati dalla luce solare costante per 3 mesi all'anno, si scioglierebbero in breve provocando l'innalzamento di circa 60 metri del livello dei mari (e mutando così per sempre la nostra geografia).



Note:

(1) Tre di questi sono stati installati dagli equipaggi delle missioni Apollo 11, Apollo 14 ed Apollo 15 nelle rispettive zone di allunaggio, mentre i rimanenti dai due rover lunari sovietici Lunochod 1 e Lunochod 2.
Lo specchio di Lunochod 1 venne perduto nel 1971, anno dopo il quale non risultò più ricevibile il segnale riflesso; nell'aprile del 2010 un team dell'Università della California San Diego, utilizzando le immagini provenienti dal Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA, ha localizzato nuovamente l'apparato perduto.

(2) La distanza dello specchio rifrattore si stima come:

   (Velocità della luce × Tempo impiegato dal riflesso del laser a raggiungere la Terra) / 2

Il tempo necessario al ritorno dei fotoni sparati verso la Luna è pari a circa 2,5 secondi, ma questo valore è influenzato da parecchi fattori di cui è necessario tener conto:

- il moto relativo della Terra e della Luna;
- la rotazione terrestre;
- la librazione lunare;
- effetti relativistici;
- condizioni atmosferiche;
- ritardo di propagazione attraverso l'atmosfera terrestre;
- spostamento dei poli terrestri;
- movimento tettonico della crosta terrestre su cui poggia la stazione di osservazione.

La distanza cambia di continuo per vari motivi, ma la media è pari a circa 384.467 chilometri.
Lo sviluppo di tecnologie avanzate ha permesso misure sempre più accurate, tant'è che dal 2002 l'accuratezza risulta prossima al millimetro, nonostante il degrado delle prestazioni dei pannelli riflettenti dovuto all'età.

(3) Il raggio laser emesso dalla Terra raggiunge la superficie della Luna con un diametro di circa 6,5 chilometri; i fotoni riflessi dagli specchi possono essere identificati facilmente perché il laser emette una luce altamente monocromatica.
Tuttavia la luce riflessa risulta troppo debole per essere vista ad occhio nudo ,anche nelle condizioni migliori: solo uno su 1017 fotoni emessi, al suo ritorno sulla Terra, viene rilevato dai sensori presso il punto di partenza.

(4) Naturalmente l'ipotesi è che qualcosa divergerà tra quanto successo a Marte in passato e quanto potrebbe succedere alla Terra tra un miliardo di anni: o la vita marziana era meno flessibile nell'adattarsi rispetto a quella terrestre, oppure la migrazione dei poli di Marte è avvenuta in tempi più brevi di quelli che si spera saranno necessari alla Terra.

(5) Qualcuno potrebbe osservare che le cose circa la possibilità di viaggi nel passato non stiano proprio così;  rimando alla lettura dei post sul mio blog dove ho trattato di "curve-tempo chiuse" (previste da Kurt Goedel) e di multiverso quantistico (all'interno del quale un viaggio a ritroso nel tempo non risulterebbe di massima vietato, in quanto il viaggiatore oltre a spostarsi nel tempo si sposterebbe anche in un universo parallelo nel quale potrebbe anche non nascere mai).
Un prossimo mio post tratterà dei buchi bianchi e della Quantum Loop Gravity dove sarà invece l'entropia - che oggi riteniamo caratterizzi la direzione del tempo - ad esser messa in discussione da Rovelli.

(6) Quando la Luna si trovava alla metà della distanza odierna le maree avevano un'intensità pari a 4 volte quelle attuali.

(7) Ho specificato "giorni nuvolosi" perché il Sole è comunque 400.000 volte più luminoso della Luna piena ai nostri tempi.

(8) Oltre ad aver svolto una funzione di protezione dal bombardamento di meteoriti e comete, aver determinato l'alternarsi delle stagioni stabilizzando l'asse terrestre ed aumentato la durata dei giorni, la Luna ci ha probabilmente "regalato la vita" permettendo la concentrazione di molecole organiche e la spontanea apparizione dell'RNA.

(9) Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare la formazione della Luna 4,527 ± 0,010 miliardi di anni fa, e cioè circa 50 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare.
Tra queste prende piede oggi la "teoria dell'impatto gigante" (Big Thwack) proposta nel 1975 da William Hartmann e Donald Davis.
Un corpo delle dimensioni di Marte, chiamato Theia formatosi in un punto di Lagrange relativo alla Terra, in seguito ad una perturbazione gravitazionale (forse causata da Giove) avrebbe impattato con quest'ultima generando abbastanza materiale da permettere la formazione della Luna.

(10) Usando la "wet chemistry" è possibile simulare il processo di formazione dell'RNA: si posizionano sostanze chimiche primordiali in una beuta, si riscaldano e si elimina vapore acqueo facendo concentrare i reagenti.
Ripetendo parecchie volte il processo applicando raggi UV inizierà ad apparire un liquido bianco contenente filamenti di RNA autoreplicante.

(11) Nel periodo Devoniano la Luna distava circa 15.000 km in meno rispetto ad oggi, cioè era più vicina alla Terra del 4%.





Al termine della Lectio Magistralis "Raggiungere le stelle" tenuta al Festival della Scienza Genova 2021, Maggie Aderin-Pocock risponde alla mia domanda circa il progetto di utilizzare laser per accelerare vele solari:

Maggie Aderin-Pocock risponde alla mia domanda circa il progetto di utilizzare laser per accelerare vele solari:












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