Non è raro oggi imbattersi in affermazioni quali: "il tempo è nato con il Big Bang mentre prima non esisteva".
Oppure ancora: "il nostro universo è scaturito da una singolarità, un
punto con densità infinta che, esplodendo, ha consentito la
formazione di galassie, stelle e pianeti, quali li conosciamo".
Non sono invece molti ad azzardare una domanda all'apparenza
banale quanto lecita:
"se tutto è iniziato con il Big Bang, che cos'è che lo ha
provocato? Perché l'universo dovrebbe avere 13.8 miliardi di anni
e non 20 o soltanto 10?".
L'enorme successo mediatico ottenuto dalla teoria del Big Bang -
la cui prima formulazione è da attribuirsi al fisico russo
Alexander Freidmann negli anni 20 del '900 - sembrerebbe aver
messo una pietra tombale sopra i legittimi dubbi che una sua
enunciazione suscita nelle persone curiose; tant'è che da quasi
mezzo secolo è alquanto difficile trovare qualcuno, privo di
competenze specifiche nel mondo della fisica e della cosmologia, disposto a non dare
per scontato il Big Bang quale origine "certificata" sia del
nostro Universo che del Tempo stesso.
Il dogma della "creazione dell'Universo ad opera del Big Bang"
sembra infatti essersi sostituito a quello della "creazione divina" (che
aveva accompagnato i sapiens sin dall'infanzia della nostra
specie).
E' dunque doveroso far subito chiarezza su due punti importanti per
evitare che quanto affermato dalla scienza venga frainteso; lo
farò usando le parole di Max Tegmark (vedi fonte:
"L'universo matematico, la ricerca della natura ultima della realtà"):
1) "… non abbiamo prove dell'esistenza di una
singolarità indicata come Big Bang: la meccanica quantistica ci informa
del fatto che l'estrapolazione che ci conduce ad essa cessi di esser
valida prima di raggiungere la singolarità…".
2) "… non siamo neppure sicuri che l'Universo abbia
avuto un inizio: potrebbe aver trascorso un'eternità in uno stato
di cui non sappiamo nulla, per poi arrivare improvvisamente alla
nucleosintesi del Big Bang...".
Quindi, per la scienza contemporanea il Big Bang costituisce una
mera ipotesi scientifica - forse la migliore che abbiamo oggi a
disposizione per interpretare una parte del nostro passato remoto
- priva tuttavia di alcuna conferma sperimentale.
Tenendo ben presente quanto appena indicato, analizziamo la storia
della teoria del Big Bang e vediamo in quali direzioni ci portano
le più recenti scoperte, osservazioni e misurazioni.
Nel 1916 la pubblicazione della teoria della Relatività Generale
sollevò il problema di conciliare l'evidenza di un Universo
all'apparenza statico - a quel tempo si credeva esistesse solo la
nostra galassia e che l'intero universo coincidesse con essa - con
le caratteristiche dinamiche che invece gli venivano conferite
dalle equazioni di campo.
Resosene conto, Einstein non ci pensò due volte a modificarle
inserendo un valore "ad hoc" (la cosiddetta "costante cosmologica"
indicata con il simbolo λ) nella parte a sinistra del segno di
eguaglianza, forzando pertanto il tensore geometrico in modo tale da
evitare che la gravità provochi il collasso dell'intera galassia su sé
stessa (1).
Trascorso qualche anno, apparvero le prime critiche all'utilizzo
di "lambda" (cosa che Einstein in seguito riconoscerà come il più
grande errore della sua carriera): da parte sia di Georges Lemaître
nel 1927, che, ancor prima, da parte del fisico sovietico Alexander
Freidmann.
Questi nel 1922 pubblicò un articolo dove affermava:
"... condizione naturale del nostro universo è l'essere in
movimento ..."; "... deve esser esistito nel passato un momento
nel quale tutto quanto era concentrato in un punto ..." (2).
Le osservazioni condotte dagli astronomi del tempo - che ancora
non disponevano di una tecnologia in grado di dar conto
dell'esistenza di altre galassie oltre la nostra - non
concordavano con tali estrapolazioni: le stelle - fonti puntiformi
di luce intensa i cui movimenti sulla sfera celeste del cielo
notturno venivano seguiti con telescopi ottici - non sembravano
affatto destinate ad allontanarsi le une dalle altre (3).
Per tale ragione, tanto le obiezioni di Freidmann quanto quelle di
Lemaître non vennero prese in considerazione dalla comunità
scientifica sino al 1929 (anno in cui il fisico morì
prematuramente), quando si scoprirà che le cosiddette "nebulose" -
da secoli osservate dagli astronomi ed erroneamente tutte quante
identificate come composte da polveri interstellari - erano in
realtà galassie come la nostra le cui stelle sono troppo distanti
per esser osservate singolarmente (la "nebulosa di Andromeda" ad
un certo punto verrà riconosciuta come la galassia a noi più
vicina).
Di lì a poco Edwin Hubble, analizzandone lo spettro, descriverà il
fenomeno denominato "red shift", e cioè uno spostamento delle
righe spettrali verso il rosso, indice di un progressivo
allontanamento della fonte di fotoni rispetto all'osservatore.
Scoprì così che le altre galassie si allontanano dalla nostra con una
velocità crescente in proporzione alla distanza, e ricavò la
seguente equazione:
v = H d
e cioè: velocità allontanamento = H *
distanza
dove H è una costante, da allora chiamata "costante di Hubble".
Dividendo la distanza per la velocità possiamo ricavare il tempo
trascorso dall'inizio del processo di allontanamento reciproco
delle galassie, oggi stimato in 13.8 miliardi di anni (4).
Osservare oggetti lontani nel cielo notturno, significa vederli
com'erano nel passato, compiendo un vero e proprio "viaggio nel
tempo".
Puntando i rilevatori di onde elettromagnetiche verso le fonti più
remote nello spazio (5), otteniamo informazioni
relative al momento in cui i fotoni da queste emessi hanno
iniziato il cammino verso i nostri strumenti.
I fotoni di una galassia distante 3 miliardi di anni luce
impiegheranno appunto 3 miliardi di anni a raggiungerci, e
porteranno con sé le immagini di come tale galassia appariva a quei
tempi (non certo il suo aspetto odierno!).
Ricavando dall'analisi del suo spettro la velocità di
allontanamento "a quel tempo",
possiamo derivarne posizione e velocità di
allontanamento "ad oggi" (6).
Fino a dove è possibile "guardare" indietro nel tempo con
gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione?
Prendendo per valida l'attuale stima dell'età dell'universo (ed
ipotizzando che nessuna informazione possa viaggiare più
velocemente della luce ad di fuori del mezzo) non troveremmo
sicuramente nulla di osservabile scrutando ad una distanza
superiore ai 13.8 miliardi di anni luce: i fotoni rilasciati da
oggetti più distanti, per raggiungerci, sarebbero infatti dovuti partire
prima della nascita dell'universo.
Nel corso dell'anno 2020 sono stati identificati due oggetti
celesti davvero arcaici:
- MAMBO-9, una incubatrice stellare tra le più attive
nell’universo, rintracciata dal telescopio ALMA (di stanza in
Cile) ad una distanza di 12.8 miliardi di a.l. che si è dunque
formata soltanto 970 milioni di anni dopo il Big Bang.
- GN-z11, la galassia più antica e più lontana dell'universo
finora osservata, individuata a 13,3 miliardi di a.l. di distanza,
formatasi soltanto 400 milioni di anni dopo il Big
Bang.
Oltre all'età dell'universo esiste un altro limite - questo più vicino a
noi nel tempo - che impedisce a tutta la radiazione elettromagnetica
emessa in precedenza di raggiungere i nostri rilevatori, ed ha a
che fare con le caratteristiche fisiche dell' "universo bambino".
Freidmann aveva immaginato il Big Bang "riavvolgendo il nastro del
tempo": se invertiamo infatti la freccia del tempo, un'espansione si
trasforma in una contrazione dello spazio; e se lo spazio si
contrae - a parità di contenuto di materia ed energia -
l'aumento della densità provoca un pari aumento della temperatura.
Un universo giovane, cioè, deve necessariamente essere un universo molto caldo.
Nel 1946 George Gamow, che fu suo allievo a Leningrado, derivò
quali avrebbero dovuto essere le condizioni dell' "universo
bambino": dal momento della sua nascita sino a quasi 400.000 anni
dal Big Bang tutto lo spazio risultava completamente occupato da
un plasma di idrogeno omogeneo, caldo, brillante ed opaco.
Partendo da una temperatura iniziale superiore al milione di
gradi, il costante incremento del suo volume (dovuto
all'espansione) provocò una diminuzione della densità, e di conseguenza
un
progressivo raffreddamento.
Tale processo continuò sino a quando, raggiunta l'età di circa 375.000 anni, l'Universo
divenne improvvisamente "trasparente" ai fotoni.
Pertanto, guardando in direzione dello spazio profondo (e cioè verso un punto
qualsiasi del nostro cielo), dovremmo scorgere una luce intensa,
testimone di quest'era rovente.
Ma il cielo è nero ...
La ragione sta nel fatto che quei fotoni che per primi hanno attraversato l'Universo appena questo
è diventato trasparente, nel corso del loro lungo viaggio verso i
nostri strumenti sono stati "stirati" dall'espansione dello
spazio: hanno perso energia e visto ridursi la propria lunghezza
d'onda e temperatura.
Tali antichissimi fotoni oggi sono ancora rilevabili quali
microonde con una temperatura pari a 3 gradi sopra lo zero kelvin.
Provengono da ogni direzione, ed al loro insieme è stato assegnato
il nome di "radiazione cosmica di fondo" o "fondo cosmico di radiazione" (7).
Furono rilevati nel 1964 per la prima volta, in modo casuale, da
Penzias e Willson che avevano costruito un radiotelescopio
"artigianale".
Contro questo muro invalicabile si fermano i tentativi di
osservazione diretta del nostro passato condotti tramite l'analisi
delle onde elettromagnetiche, e dunque la possibilità di avere
conferma diretta dei modelli sviluppati relativamente alla nascita del nostro universo (8).
Tuttavia, qualche informazione sul suo stato precedente è comunque possibile ricavarla osservando le tracce che esso ha
lasciato sulla radiazione di fondo: piccolissime differenze di
temperatura testimoniano come l'universo primordiale non fosse per
nulla omogeneo.
Un'esplosione, quale si immagina sia stato il Big Bang, avrebbe
infatti dovuto dar luogo ad una sfera di plasma omogenea che,
raffreddandosi in seguito all'espansione, avrebbe dovuto mantener
intatta tale caratteristica.
Un simile modello non è assolutamente in grado di spiegare il diverso
grado di aggregazione della materia che oggi vediamo intorno a noi: vuoto, nubi
di idrogeno, pulviscolo, corpi celesti.
La gravità - che sicuramente ha contribuito alla formazione di
galassie, stelle e pianeti - da sola non può aver creato
fluttuazioni dal nulla le cui amplificazioni avrebbero dato luogo
alle strutture oggi osservate: se all'inizio l'universo fosse stato
perfettamente omogeneo, lo sarebbe rimasto anche dopo essersi
espanso.
Piccole fluttuazioni dovevano esser presenti sin dai primi momenti
della sua vita, fin da quando tutta la materia e l'energia erano
concentrate in un volume ridottissimo.
La meccanica quantistica ci insegna che, un momento prima di
arrivare alla singolarità del Big Bang, il relativo modello cessa
di esser valido, ed è necessario trovarvi un'alternativa.
Nel suo primo minuto di vita l'universo raggiunse una temperatura
pari a quella riscontrabile nel nucleo del nostro Sole, e di
conseguenza si comportò come un reattore nucleare fondendo tra di
loro gli atomi di idrogeno (unica forma di aggregazione della
materia al tempo esistente) e producendo elio e pochissimi altri tipi di
atomi (9).
L'immediata espansione dello spazio (nei primi momenti
della sua esistenza l'universo raddoppiava le proprie dimensioni in meno di un
secondo) ne provocò il raffreddamento e dunque il repentino
spegnimento del "reattore nucleare cosmico", così da evitare che
tutti gli atomi di idrogeno si trasformassero in elio (10).
Nei primissimi istanti, pressione e temperatura erano così elevate che
neppure gli atomi avevano la possibilità di formarsi: tutto quanto
esisteva in forma di quark ed elettroni ("l'universo era un brodo
di quark" è la definizione cui si ricorre per darne una
descrizione sintetica).
Già in tale "brodo" - ben prima che l'espansione consentisse
l'aggregazione in protoni e neutroni - dovevano esistere
fluttuazioni la cui permanenza avrebbe in seguito disegnato una
ragnatela lungo la quale si sarebbero formate, nel corso della
storia dell'universo, le prime stelle e galassie.
Il satellite COBE, lanciato alla fine degli anni '80 per mappare
il fondo a microonde, dimostrò inequivocabilmente come il livello
di aggregazione riscontrabile appena i fotoni furono liberi di
viaggiare nello spazio risultasse pari ad un misero 0.002%.
Un valore del tutto insufficiente per consentire alla gravità di
assemblare - in poco meno di 13 miliardi e mezzo di anni -
le attuali immense strutture dell'universo, così come lo vediamo oggi.
Fu la conferma indiretta all'esistenza della cosiddetta "materia
oscura" (ipotizzata da Fritz Zwicky nel 1934 e dagli studi di Vera
Rubin in seguito), un'ipotetica sostanza in grado di produrre
attrazione supplementare senza interagire con la materia ordinaria
(11).
Verso la fine del 900 l'analisi delle supernovae di tipo "Ia" (di
cui ho già parlato in nota 5) fornì non solo dati utili a
misurare le distanze che separano le galassie, ma pure a rilevare
le loro velocità di allontanamento in tempi diversi nella storia
dell'universo.
Del tutto inaspettatamente si scoprì che l'espansione del cosmo,
dopo aver decelerato nei primi 7 miliardi di anni in accordo con i
modelli teorici del Big Bang, riprese bruscamente vigore, accelerando
progressivamente fino ad oggi.
Fenomeno che per poter esser spiegato richiede di ipotizzare
l'esistenza di un qualcosa con le seguenti caratteristiche:
- in grado di provocare un effetto repulsivo che si opponga
all'attrazione della gravità (in sua assenza, quest'ultima
provocherebbe un progressivo rallentamento dell'espansione);
- una sua distribuzione uniforme nello spazio (il tasso di espansione varia in
relazione al tempo, non alle coordinate spaziali);
- privo di effetti sull'aggregazione della materia (altrimenti negli
ultimi 7 miliardi di anni non si sarebbero potute formare nuove
stelle o galassie).
Questo "qualcosa" è stato battezzato con il termine (poco elegante)
di "energia oscura".
La realizzazione di una mappa accurata della distribuzione
delle variazioni di temperatura del fondo a microonde permise la
creazione di un grafico denominato "spettro di potenza" ad esso
relativo: la forma della curva descritta dai dati rilevati
sperimentalmente fornisce parecchie informazioni. Tra queste, indicazioni sulla geometria dello spazio tempo che risulta
piatto.
Tale strumento fu integrato con la realizzazione di una mappa 3D
ad alta definizione relativa alla distribuzione delle galassie
nell'universo, ricavata con un lunghissimo lavoro di osservazioni
astronomiche durato 10 anni (12).
Si scoprì così che una differenza di densità del gas nell'universo
primordiale pari allo 0,001% fu in grado di consentire la
formazione di un ammasso di galassie (grazie soprattutto alla gravità, che ne
intensificò l'azione).
Dunque le fluttuazioni del fondo cosmico a microonde rappresentano
un DNA cosmico, lo schema che ha guidato l'evoluzione
dell'universo verso l'aspetto attuale.
L'integrazione dello "spettro di potenza" con la "mappa 3D della
distribuzione delle galassie" consente di determinare la natura
della sostanza che con il suo effetto gravitazionale ha
trasformato le aggregazioni dell'universo bambino nelle strutture
odierne.
Naturalmente, le informazioni disponibili relative al fondo a
microonde riguardano soltanto quelle aree della primordiale sfera di plasma la
cui luce ci ha raggiunti: una parte davvero minuscola dell'originale!
La teoria del Big Bang, pur affinata nel tempo, si scontra con tre
situazioni per le quali non è in grado di fornire una spiegazione
soddisfacente:
- il cosiddetto "problema del bang": cosa lo ha determinato? Da
dove proveniva il gas caldo che si stava espandendo? Perché era
uniforme, pur presentando fluttuazioni nella sua densità pari allo
0.002%?
Le equazioni di Freidmann prevedono esserci stato un momento in
cui l'universo raddoppiava le dimensioni ogni secondo: tuttavia se
ci spostiamo 1/3 di secondo prima di tale momento, la misura
della densità raggiunge un valore infinito ed ogni cosa risulta
allontanarsi reciprocamente a velocità infinita.
- il "problema dell'orizzonte": l'uniformità del fondo a microonde
è una caratteristica osservata anche in regioni lontanissime tra
di loro, regioni che non potrebbero mai essersi scambiate
informazioni perché la luce, dal momento della nascita
dell'universo ad oggi, non ha fatto in tempo a raggiungerle.
Sembra invece che esse abbiano avuto la possibilità in passato di
essere a contatto così da "mescolare" il proprio contenuto ed uniformare la temperatura.
- il "problema della piattezza": le misure più recenti confermano
la geometria "piatta" (euclidea) dell'universo. Secondo il modello
di Friedmann una simile condizione è instabile, e dovrebbe in breve
tempo mutare in una geometria non euclidea condannando l'universo
ad un "big chill" (espansione eterna con riduzione della
temperatura a 0 K) o ad un "big crunch" (una contrazione che lo
riporti alla condizione iniziale con temperatura e densità infinita).
L' "inflazione cosmologica"
Un tentativo di porvi rimedio lo si deve ad Alan Guth ed al modello
dell'inflazione cosmologica che sviluppò alla fine degli anni 70.
Secondo tale teoria in origine è esistito un "grumo minuscolo ed
uniforme" di una sostanza difficilissima da diluire, tale che,
raddoppiando il suo volume, la densità rimane la stessa.
La relatività generale non vieta l'esistenza di una sostanza
simile: qualora essa esista, prevede anzi possa produrre
un'esplosione che Guth definì "inflazione" (da inflation,
"gonfiaggio").
In un tale contesto, il Big Bang consisterebbe pertanto nel raddoppiamento del volume
di questa sostanza per unità di tempo, cioè in una crescita
esponenziale.
Raddoppiando le dimensioni, raddoppia la velocità di espansione:
quindi si assiste ad una espansione accelerata (13).
Tale modello potrebbe risolvere i problemi lasciati aperti dalla
teoria del big bang:
- "il bang" sarebbe stato provocato dal processo di raddoppiamento
ripetuto 260 volte, dopodiché la sostanza che l'ha provocato è
decaduta (come succede per i materiali radioattivi) e si è
trasformata in materia ordinaria; in tale stato essa è ancora in
grado di espandere il volume originario, ma molto più lentamente
ed in costante rallentamento per effetto della gravità;
- le regioni che oggi osserviamo alle estremità opposte
dell'orizzonte erano originariamente in contatto tra di loro: poi
l'inflazione le ha bruscamente separate e soltanto oggi, grazie ai
fotoni del fondo a microonde, stanno per rientrare in contatto.
- la caratteristica "piattezza" che osserviamo nella nostra zona di
universo è solo apparente, e dovuta al fatto che tale area ha dimensioni enormi: se
infatti gonfiamo una palla, una piccola sezione della
sua superficie sembrerà piatta.
Vediamo le caratteristiche che dovrebbe presentare questa
fantomatica sostanza:
- Densità costante: al raddoppio del volume "del contenitore" (lo
spazio) si assiste ad un raddoppio del suo peso.
Viene forse creata una massa dal nulla, in contraddizione con le
leggi della fisica finora conosciute?
Non necessariamente.
Guth ci invita ad Immaginare un elastico teso: la sua massa totale
risulterà maggiore di quella a riposo poiché nell'operazione di
stirarlo abbiamo necessariamente aggiunto energia, la quale
viene convertita in massa secondo l'equazione E = mc^2.
Cioè l'elastico è soggetto a "pressione negativa".
Similmente, la sostanza soggetta ad inflazione dovrebbe possedere
un'enorme pressione negativa, così grande che l'energia richiesta
per raddoppiarne il volume sia pari a quella necessaria per
raddoppiarne la massa.
- Possiede la capacità di innescare un'espansione accelerata.
La gravità è prodotta non solo dalla massa, ma anche dalla
pressione: dato che la massa non può assumere valori negativi, il
suo effetto gravitazionale deve per forza esser attrattivo, così
come una "pressione positiva".
Una pressione negativa produce invece gravità repulsiva, ed una
sostanza soggetta ad inflazione dovrebbe possedere una pressione
negativa enorme.
Guth calcola che la forza gravitazionale repulsiva (generata dalla
pressione negativa) debba risultare pari a 3 volte la forza gravitazionale
attrattiva (generata dalla sua massa), perciò la gravità di una
sostanza sottoposta ad inflazione la fa esplodere.
Parlare in proposito di "un pasto gratis" non è corretto:
l'energia totale, in un universo in evoluzione come il nostro, è
quasi nulla.
L'inflazione è provocata da una sostanza in grado di generare una
forza anti-gravitazionale che ne provoca l'esplosione; l'energia
spesa per quest'ultima crea una massa sufficiente a garantire
(alla sostanza stessa) una densità costante, il tutto avviene in un processo che si
autoalimenta.
Dunque il conto energetico dell'inflazione risulta "pagato" dalla
gravità, che facendo esplodere la materia le ha iniettato energia.
Dal momento che l'energia totale rimane costante e la massa deve
rispettare l'equazione di Einstein E=mc^2, ciò significa che la
gravità si è trovata a disposizione una quantità equivalente di
energia negativa.
Il campo gravitazionale (responsabile della forza di gravità)
possiede un'energia negativa che aumenta ogni qual volta la
gravità faccia accelerare qualcosa.
Tutto ciò dimostra come la creazione della materia che ci circonda ad
opera dell'inflazione, a partire da "quasi nulla", non violi il
principio di conservazione dell'energia: l'energia necessaria è
infatti presa in prestito dal campo gravitazionale.
L'inflazione prevede che l'universo sia piatto, e questo succede
solo se la densità cosmica ha un valore critico preciso, che è
stato indicato con la lettera "Ω".
E' opportuno a questo punto notare come la sfuggente "energia
oscura" risulti possedere la stessa caratteristica di non
diluibilità della sostanza che avrebbe dato luogo all'inflazione.
L'era inflazionaria è finita 13.8 miliardi di anni fa, dopo di che
si è assistito per 7 miliardi di anni ad un rallentamento
dell'espansione delle dimensioni dell'universo; poi l'espansione è
ripresa ed è in accelerazione.
Ci troviamo quindi oggi in una nuova era inflazionaria determinata
questa volta dall'energia oscura, certo molto diversa rispetto alla prima:
invece di un raddoppio al secondo, assistiamo ad un raddoppio ogni
8 miliardi di anni.
La teoria dell'inflazione permette poi di connettere "il piccolo
con il grande".
Il principio di Heisenberg impedisce a qualsiasi
sostanza, compresa quella soggetta all'inflazione, di esser
perfettamente uniforme: le "fluttuazioni-seme" - prodotte dalla meccanica quantistica a
livello subatomico - si sono ingigantite durante l'inflazione
quando l'universo ha raggiunto le dimensioni di un'arancia, e sono
rimaste anche nelle fasi seguenti, quando l'espansione ha
raggiunto il livello delle galassie ed oltre.
L'instabilità gravitazionale ha fatto il resto, amplificandole
dalla dimensione originale (lo 0,002%).
I modelli inflazionistici prevedono i valori assunti da 3
parametri:
- "Ω" =1
- Q = ampiezza delle aggregazioni-seme (proporzionale alla
velocità di raddoppio delle dimensioni)
- n = indice spettrale delle aggregazioni-seme (cioè l'invarianza
di scala, l'universo come un frattale). Sono le condizioni fisiche
locali, che generano le fluttuazioni quantistiche, a cambiare
pochissimo nel tempo poiché la densità ed altre caratteristiche
della sostanza che si espande non variano in maniera apprezzabile
nel tempo. Pertanto "n" risulta la misura dell'invarianza di scala
dell'universo.
Nei modelli inflazionistici, l'inflazione è destinata a finire
(almeno localmente, come vedremo tra poco): la sostanza che si espande, ad
un certo punto deve iniziare a diluirsi, sennò l'inflazione
proseguirebbe per sempre e noi non esisteremmo.
Una diminuzione della densità provocherebbe poi una diminuzione
dell'ampiezza delle nuove fluttuazioni, in accordo con i valori
che osserviamo oggi.
Quindi secondo il modello dell'inflazione il nostro universo si
presenta:
- approssimativamente omogeneo;
- isotropo e piatto;
- dotato di minuscole fluttuazioni nelle immagini del cosmo
neonato, approssimativamente invarianti di scala, adiabatiche e
gaussiane.
Una conferma della correttezza della teoria dell'inflazione
potrebbe esser fornita dal rilevamento di onde gravitazionali lunghissime (14):
sarebbe la dimostrazione del fatto sia esistito un momento nel quale
l'universo aveva dimensioni più piccole di un atomo.
Pertanto, tornando al titolo di questo post, l'inflazione PRECEDE il big
bang e ne è la causa: dunque il big bang non ha segnato l'inizio
del tempo (il quale non sappiamo se abbia avuto veramente un inizio o meno).
Le prime fasi dell'inflazione, poi, non furono particolarmente né
calde né esplosive: mentre il microframmento raddoppiava il
proprio diametro 80 volte, la velocità con cui ogni sua parte si
allontanava dalle altre aumentò di un fattore pari a 2^80, ed il
volume aumentò dello stesso valore (2^80)^3, così come la massa,
mentre la densità in tutto ciò rimase costante.
La temperatura delle particelle rimaste dall'epoca precedente
all'inflazione crollò a zero, e l'unico calore rimanente derivò
dalle fluttuazioni all'origine delle onde gravitazionali.
Quindi ecco la descrizione che ci riporta Max Tegmark relativa
alle prime fasi inflazione:
- non un Big Bang "caldo" (come dalla teoria originale del Big
Bang) ma "little swoosh" (gelido);
- la massa di un'arancia concentrata in un punto di dimensioni
inferiori ad un miliardesimo di un protone.
- neppure così esplosivo come si potrebbe pensare.
Al termine dell'inflazione il calore aumentò di 1000 volte, e la
velocità di espansione aumentò di un trilione di trilioni
(2^18^18).
L'inflazione eterna?
L'inflazione è una teoria della "cosmologia dell'universo
primordiale" in grado di produrre conseguenze decisamente inaspettate: ad esempio, secondo Alex Vilenkin, una volta in atto essa rifiuterebbe
di arrestarsi e continuerebbe a produrre nuovo spazio.
Cosa di cui possiamo esser sicuri è il fatto che l'inflazione sia terminata
almeno da qualche parte nell'universo, e precisamente dove ci troviamo noi: circa 13,8
miliardi di anni fa il suo processo si è concluso nella nostra
regione di spazio permettendo così la formazione dell'universo così
come lo vediamo.
Deve dunque esistere un qualche processo fisico (ancora a noi ignoto) che sia in grado di far
decadere la sostanza soggetta ad inflazione trasformandola in
materia ordinaria, cosicché, durante la successiva fase espansiva
- molto meno irruente della precedente - essa abbia avuto modo di
aggregarsi in atomi, gas, polveri, galassie, stelle e pianeti (e
parecchi miliardi di anni dopo - grazie all'evoluzione - in
materia vivente autocosciente che si interroga sulla propria origine).
Potremmo dunque chiederci quale potrebbe essere il valore dell'emivita di
tale sostanza, cioè il tempo medio necessario affinché una sua metà faccia in tempo a decadere in materia ordinaria.
Per rispondere ad un tale quesito dobbiamo prendere in
considerazione le misure di due effetti contrari:
- il raddoppio causato dall'inflazione, che chiameremo "tempo di
raddoppio" (Trd);
- il dimezzamento causato dal decadimento, che chiameremo "tempo
di decadimento" (Tdc).
Perché possa verificarsi l'inflazione è necessario che Trd >
Tdc, e cioè che il tempo del raddoppio del volume dello spazio sia inferiore alla vita
media della sostanza stessa (altrimenti il processo terminerebbe
subito).
Una delle ipotesi prese in considerazione prevede che l'inflazione
faccia sì che, per ogni ciclo, lo spazio triplichi le proprie
dimensioni in contemporanea al decadimento di un terzo della sostanza
soggetta all'inflazione.
Ne consegue che:
- il volume
totale dello spazio - che continua la sua espansione per effetto dell'inflazione - raddoppia indefinitivamente,
- il decadimento dello spazio in inflazione crea di continuo nuove regioni non più
soggette alla stessa, duplicando così continuamente il volume di
spazio dove essa è terminata (via libera all'aggregazione della materia).
Andrea Linde inventò il termine "inflazione eterna"
per descrivere una tale situazione, e scoprì che in tutti i
modelli di inflazione essa prosegue indefinitivamente attraverso un
meccanismo che la
mette in correlazione alle fluttuazioni quantistiche responsabili
delle fluttuazioni-seme cosmologiche.
"Perché ci sia inflazione" - afferma Linde - "è necessario che la
sostanza coinvolta si espanda più rapidamente di quanto decada,
dunque la materia soggetta ad inflazione aumenta senza limiti".
In tal caso il Big Bang rappresenterebbe la fine di un processo,
non l'inizio: la fine dell'inflazione nella nostra parte di
spazio.
"... e non sarebbe che un'infima parte di una struttura ramificata che sta ancora crescendo...".
Rimane da capire coma si possa creare uno spazio infinito in un volume finito.
Finora abbiamo parlato di un unico spazio connesso:
- alcune sue
parti si stanno espandendo molto velocemente perché contengono
materia inflazionaria,
- altre più lentamente perché al loro interno
l'inflazione si è conclusa,
- altre ancora infine, come la regione di spazio della nostra galassia, non si espandono più.
Le conclusioni che ne possiamo trarre sono le seguenti:
- in quasi tutto lo spazio l'inflazione si concluderà con un Big Bang;
- ci saranno tuttavia aree dello spazio dove l'inflazione non finirà mai;
- il volume totale soggetto ad inflazionario aumenta
indefinitivamente raddoppiando ad intervalli regolari;
- il volume post inflazionario (quello che contiene materia aggregata) aumenta indefinitivamente
raddoppiando ad intervalli regolari.
" ...L'inflazione può creare un volume infinito in uno spazio
finito: può infatti partire da qualcosa più piccolo di un atomo e creare
al suo interno
uno spazio infinito, contenente un'infinità di galassie, senza
alcun
impatto sullo spazio esterno... ".
"... L'inflazione infatti, continuando indefinitivamente, produce un
numero infinito di galassie; secondo la relatività generale un
osservatore appartenente ad una di queste galassie vedrà spazio e tempo
in modo diverso, attribuendo allo spazio una natura infinita già dalla
fine dell'era inflazionaria...".
Note:
(1) a sinistra l'equazione originaria, a destra la stessa
con l'aggiunta di "lamda", la costante cosmologica, modifica
operata da Einstein stesso.
(2) Freidmann nello stesso articolo indicò l'età
dell'universo in 10 miliardi di anni ed il numero totale di stelle
in 5 miliardi di trilioni, valori non distanti dalle stime
attuali.
Non lasciò tuttavia indicazioni su come fosse arrivato a tali
conclusioni.
(3) Tale evidenza è ancor oggi incontrovertibile qualora
ci si limiti ad indagare i corpi celesti che appartengono alla
sola Via Lattea.
Il nostro Sole, come le altre stelle che la compongono, segue un
percorso circolare più o meno regolare intorno al centro di
gravità della galassia, compiendo una rotazione completa ogni 200
milioni di anni circa.
Nonostante un tale "turbinio", non si rilevano mutamenti
significativi nelle distanze reciproche tra le singole stelle.
Il corpo galattico è infatti tenuto saldamente insieme dalla forza
di gravità (cui contribuisce in maniera determinante, come vedremo
più avanti, la presenza della "materia oscura" che lo permea) cui
le singole stelle non possono sottrarsi.
Il modello "espansivo" di Freidmann si basava su un postulato
relativo all'omogeneità nella distribuzione della materia
nell'Universo, condizione che naturalmente non si riscontra a
livello di una singola galassia: siamo oggi consapevoli del fatto
che lo spazio risulti espandersi solo su scale dell'ordine di 100
milioni di AL, alle quali esso risulta infatti omogeneo.
(4) Se v = H d allora d/v = 1/H
Dalle misure più recenti della costante di Hubble si ricava 1/H =
13.8 miliardi di anni.
La "metafora del palloncino".
Errore nel quale i divulgatori scientifici incorrono di frequente
è il paragonare l'espansione dell'universo ad un palloncino sul
quale sono stati disegnati dei punti con una biro a rappresentare
le singole galassie.
Gonfiandolo, tutti quei punti si allontanano reciprocamente e
questo spiegherebbe - riferendo la superficie ad uno spazio 3D -
come si comportino le galassie durante una fase espansiva.
Il fatto è che anche i punti disegnati si ingigantiscono per
effetto dell'aumento della superficie: una cosa che non capita
nell'universo reale dove la dimensione delle galassie rimane
abbastanza costante, mentre ciò che si espande è lo spazio tra di
esse, così che risultano allontanarsi le une dalle altre.
Meglio dunque usare la "metafora del panettone".
Le uvette vengono posizionate molto vicine nell'impasto originale,
tuttavia quando il panettone è pronto per esser consumato la loro
distanza reciproca è aumentata a causa del processo di
lievitazione: ma la dimensione delle uvette-galassie non è mutata.
(5) Per misurare la distanza delle galassie dalla nostra si
usa cercare al loro interno la presenza di supernovae di tipo
"Ia".
Tali supernovae si "accendono" quando una stella "nana bianca" -
categoria molto comune cui appartiene anche nostro Sole -
raggiunge una massa il cui valore sia pari a circa 1.44 masse
solari (in genere ciò avviene in sistemi binari in cui la nana
bianca strappa gas ad una compagna moribonda cui orbita attorno).
Essendo tali esplosioni luminosissime, ed avendo le stelle che le
provocano all'incirca tutte la stessa massa, non è complicato
calcolarne la distanza anche quando si trovano a miliardi di anni
luce da noi (e da qui ricavare la distanza della galassia che le
ospita).
(6) Ecco dunque la ragione per la quale talora si leggono
articoli intitolati
"scoperta una galassia distante 30 miliardi di AL in
allontanamento rispetto a noi con una velocità superiore a quella
della luce".
Una tale galassia è stata osservata ad una distanza inferiore ai
13.8 miliardi di anni luce (quella alla quale si trovava
nell'epoca in cui i suoi fotoni hanno iniziato il viaggio verso di
noi): l'equazione di Hubble ed i dati ricavati dal suo spettro ci
consentono di sapere dove OGGI si trovi e quale sia OGGI la sua
velocità.
I fotoni che con il trascorrere del tempo l'hanno lasciata
viaggiando in nostra direzione, a partire da quando il valore
della sua distanza in anni luce ha eguagliato l'età dell'universo
non ci potranno mai più raggiungere in quanto da quel momento in
poi essa ha superato la velocità della luce allontanandosi da noi.
(7) Chiunque si sia trovato in possesso di una TV dotata
di tubo catodico (come quelle in uso sino alla fine degli anni 70)
hanno avuto occasione di ascoltare il rumore della "radiazione di
fondo": quello che l'apparecchio emanava all'accensione qualora
non sintonizzato sulla frequenza di un canale specifico.
(8) Si conta molto sull'astronomia "multimessaggero" per
aggirare il problema della sfera di plasma che ha intrappolato i
fotoni emessi prima dei 375.000 anni dalla nascita dell'universo:
messaggeri di informazioni relative alla condizione dell'universo
precedenti il limite indicato possono tuttavia essere entità
diverse dalla radiazione elettromagnetica.
Oggetto di studio sono oggi le onde gravitazionali ed i neutrini.
(9) Fenomeno indicato come " nucleosintesi del Big Bang".
(10) Solo il 25% della massa dell'universo fu convertito
in elio (tracce di deuterio e litio).
(11) La materia oscura - si pensa - permea le galassie ed
impedisce alle stelle di disperdersi nello spazio, attraversando
di continuo la materia ordinaria senza altra interazione che la
gravità. Si ritiene costituisca il 27% di ciò che compone il nostro universo
(12) Il progetto Sloan Digital Sky Survey utilizza metodi
automatizzati per ricavare la distanza delle galassie di
principale interesse usando la legge di Hubble ( d = v / H) e
ricavando "v" dall'analisi del red shift ottenuto dal loro
spettro.
Fece sensazione la scoperta di ciò che fu battezzato "Sloan Great
Wall", aggregazione su grandissima scala lunga ben 1,4 miliardi di
anni luce.
(13) Ipotesi di Guth è che si sia verificato un raddoppio
ogni 10^-38 secondi per 260 volte; l'intero processo inflattivo
sarebbe durato 10^-35 secondi.
(14) Le onde rilevate in occasione della fusione di due
buchi neri presentano una lunghezza non superiore alla somma di
quelle emesse da ciascuno di essi in precedenza.
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