contatore visite

martedì 10 maggio 2022

L'effetto "Uncanny Valley" e gli zombies.

Il futuro dell'esplorazione umana dello spazio presumibilmente non potrà fare a meno di robot umanoidi dotati di intelligenza artificiale (AI) con i quali gli equipaggi si troveranno a doversi confrontare.

Di vitale importanza dunque studiare aspetti e conseguenze - anche a livello psicologico - delle interazioni tra uomo ed androide in vista di lunghi periodi di convivenza forzata in ambienti ristretti.

Dalla fine del 2018 sulla ISS è imbarcato Cimon - un robot dall'aspetto "piuttosto rudimentale" sviluppato da IBM, Airbus e DLR - in grado tuttavia di comprendere il linguaggio naturale dialogando con il proprio interlocutore, emulare espressioni del viso umano e di permettere ai ricercatori di testare il rapporto uomo macchina in ambiente diverso da quello terrestre (1).


Cosa mai potrebbe costituire un problema alle relazioni tra sapiens ed androidi?

Già da tempo siamo a conoscenza dell'esistenza di un fenomeno psicologico, consistente in una sensazione di disagio/disgusto, che talora ci assale mentre osserviamo un robot umanoide: l' "Uncanny Valley" (o UV).

Dobbiamo la creazione di questo termine dal "sapore esotico" a Masahiro Mori, studioso nipponico di robotica, che nel 1970 pubblicò un articolo sulla rivista Energy dal titolo "Bukimi no tani - The uncanny valley".



Mori studiò l'incremento del grado di familiarità e piacevolezza provato in presenza di robot ed automi antropomorfi mano a mano che progredisce la loro somiglianza con gli esseri umani.

Un risultato del tutto inaspettato fu il rilevare un crollo immediato ed improvviso delle reazioni emotive positive qualora la somiglianza con la figura umana divenisse troppo spiccata, cioè quando gli automi apparivano troppo realistici.

Superata una certa soglia compariva nei soggetti studiati una sensazione spiacevole di irrequietudine o repulsione, un turbamento.

Il termine "valley" si riferisce ad un grafico disegnato da Mori dove in ascissa leggiamo la "somiglianza all'essere umano" ed in ordinata "la familiarità": all'aumentare della somiglianza la familiarità cresce, sino a quando - più o meno in corrispondenza dell'80% quale valore della somiglianza - questa crolla formando un avvallamento e tornando a crescere di nuovo per valori della somiglianza oltre il 90%.



Di recente è poi stato dimostrato come il punto del crollo ("limite di somiglianza") possa innalzarsi anche oltre il valore corrispondente all'80% qualora gli automi vengano dotati di gestualità e movimenti il più simile possibile a quelli umani, così da farli apparire naturali.

Una parte dei ricercatori ritengono quella dell'UV una teoria "pseudoscientifica".

Altri - quali Sara Kiesler - sostengono non ci siano prove per accettarla o rifiutarla; per costoro la percezione degli automi risulterebbe infatti legata alla cultura dell'ambiente in cui vengono introdotti, per cui i confini della zona perturbante non possono esser definiti in maniera univoca.

Potremmo allora chiederci perché mai un automa troppo simile a noi, ma dotato di una gestualità che risulti "artificiale" alla nostra percezione, dovrebbe crearci un tale senso di disagio: perché ad un certo punto cala la nostra empatia nei confronti del robot?

La spiegazione fornita da Mori ha a che fare con gli zombies.

Un cadavere non dovrebbe muoversi e ciò che si muove non dovrebbe esser tanto simile ad un cadavere: il nostro cervello vede nell'automa troppo simile a noi qualcosa che istintivamente risulta sbagliato.

Alcuni ricercatori ritengono coinvolto nell'effetto UV l'istinto che ci spinge ad evitare ogni cosa che possa veicolare agenti patogeni: prova di tale ipotesi starebbe nel fatto che prestiamo maggior attenzione ai difetti delle entità più simili a noi piuttosto che alle altre.

Riconosciamo infatti a colpo d'occhio i difetti in un soggetto appartenente alla nostra specie, non così nel caso si tratti di specie diversa.

L'imperfezione suggerisce alle parti più profonde del nostro cervello la possibile presenza di una malattia, e quest'ultimo ci ordina tassativamente di allontanarci.

Altri collegano questo rifiuto alla nostra continua ricerca di partners fertili: scambieremmo quindi l'umanoide per un nostro simile, e di conseguenza si attivano le parti preposte del nostro cervello alla ricerca di indizi fisici sul livello di fertilità della controparte.

La risultanza che non si tratti di un potenziale partner ci presenta l'androide come una perdita di tempo, e dunque il cervello ci invita a starne alla larga (sebbene la tecnologia stia oggi superando questo limite).

Altri ancora chiamano in causa la dissonanza tra gli stimoli che ci vengono lanciati: avere certe caratteristiche umane e altre non-umane rende gli umanoidi un problema per la nostra mente che non riesce a classificarli; non disponiamo infatti di una categoria mentale intermedia tra noi ed il resto del mondo dove inserirli.

Oppure potremmo semplicemente esser avversi agli ibridi: il vero motivo per cui alcuni robot ci inquietano sarebbe lo stesso per cui molti umani sono ostili alle persone transgender, che, pur non essendo categoria a cavallo tra umano e non umano, presentano caratteristiche tipiche di due classi che nella nostra testa risultano separate.

Alcuni, come Kurt Gray e Daniel Wegner, ritengono che l'aspetto fisico non sia l'unica determinante dell'insorgere dell'effetto UV; un loro studio ha dimostrato che, per il campione di umani analizzato, i robot risultavano snervanti solo qualora si dimostrassero in grado di sperimentare e percepire i fatti.

Al contrario robot meno ‘intelligenti’, pur se dotati dello stesso aspetto, venivano percepiti come più rilassanti.

Jari Katsyri, dell’Università finlandese di Espoo, scrive:

"... in realtà la valle delle perturbazioni dello spirito è uno stretto passaggio, da cui si transita, ma che si riesce a superare con una certa rapidità e perfino con insospettata disinvoltura.
Il problema si presenta solo quando la quasi totale somiglianza robotica si rompe e uno sguardo un po’ storto o un gesto incongruo svelano la natura tecnologica del robot ...
"

In tal caso, sostiene Karl MacDorman della Indiana University, "... la volenterosa immedesimazione si blocca e l’essere umano che si stava entusiasmando (o forse flirtando) sprofonda nella delusione ..."

In conclusione, per chi oggi accetta la teoria UV è da tener presente l'importanza della soggettività nel leggerne il grafico, il quale vuole rappresentare una tendenza e non un riferimento puntuale.

Chi invece la rigetta come teoria antiscientifica o perché ritiene trascuri troppa variabilità dovuta a fattori culturali e demografici per essere davvero utile a studiare il fenomeno, deve tuttavia arrendersi ad un fatto ovvio: non sempre la nostra paura del diverso deriva da elementi razionali.



Allego nei commenti un link ad un video pubblicato da Wired che contiene un'intervista a Will Jackson, CEO di Engineered Arts, dove compaiono parecchi esempi di automa con diverse capacità espressive:

Tutti i prototipi per realizzare un robot umanoide

Non posso non suggerire la visione del film "Ex machina" del 2015, scritto e diretto da Alex Garland, e la lettura del breve saggio "L'altra specie" di Roberto Cingolani, scritto quando ancora dirigeva l'Istituto Italiano di Tecnologia a Genova (ed attuale ministro per la transizione ecologica).


Note:

(1) Cimon, in occasione del suo risveglio sulla ISS, ha subito dato luogo ad un divertente "siparietto" che ha coinvolto l'astronauta Alexander , suo tutor.
Dopo aver avviato la riproduzione del brano "The Man-Machine” dei Kraftwerk, come richiestogli da quest'ultimo, si rifiutò di bloccarne la continua riproduzione.
In seguito alla reazione - non proprio cortese - di Gerst, Cimon lo ha invitato a "esser più gentile" ...

Studiato per assistere l’equipaggio nelle routine quotidiane e negli esperimenti, ha come obiettivo anche quello di studiare le interazioni tra uomini e robot in ambienti isolati; è stato infatti dotato di una certa dose di empatia così da riuscire a comprendere lo stato d’animo del proprio interlocutore sia attraverso le parole da questi pronunciate che dal tono di voce, rispondendo di conseguenza in maniera appropriata.

L'AI alla guida di CIMON non è tuttavia sulla ISS, ma si trova sulla Terra: a fargli da "cervello" è infatti il supercomputer Watson sviluppato dalla IBM.

Il ritardo con cui CIMON reagisce agli stimoli ed offre risposte è pari ad un paio di secondi, tempo necessario al viaggio delle informazioni da e verso la Terra.








Nessun commento:

Posta un commento

Elenco posts

 Elenco dei miei posts scritti nel periodo dal 28/3/18 all'11/04/24:                                                    ( su FB ) - vide...