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lunedì 7 maggio 2018

“L’utopia libertaria del web è fallita nel neoliberismo: e ora?”

In questo periodo in cui ci si pongono forse per la prima volta domande su quale sia il reale business dei social network, sul valore economico dei big data che contribuiamo (quasi sempre a titolo gratuito) a creare rinunciando a parte della nostra privacy, mi sento di consigliare la lettura dell’articolo tratto dal blog “The Vision.com” che potete leggere al seguente link:

Il fallimento del WEB

Fino a qualche tempo fa eravamo tutti contenti di barattare qualcosa cui non davamo valore (i nostri dati personali) con la gratuità di motori di ricerca, social network, servizi di emails e quant’altro.
Oggi di colpo ci sentiamo defraudati, ingannati,...bidonati insomma, e - almeno in parte giustamente - accusiamo le big companies tecnologiche.

Ma esattamente di che cosa?
Ho già postato un link ad un blog dove si spiega che la mission di Facebook non è quella di “rubare” i dati, ma di crearne dei nuovi: dai big data (che forniamo noi) vengono ricavati dati nuovi, correlazioni e connessioni causali spesso del tutto inaspettate (rimando alla lettura del saggio “L’algoritmo definitivo” di Pedro Domingos per un approfondimento sui temi del "machine learning", delle IA, delle reti neurali e del deep learning) che ci permettono di organizzare il nostro sapere in modo più efficace e trovare soluzioni alla complessità.
Questo secondo post tratta invece la storia dell’informatica riletta da un punto di vista originale:
I computer sono stati creati a prezzo di enormi investimenti da Stati sovrani e colossi economici per un uso funzionale ai propri fini.
Intelligence, calcoli di traiettorie di missili balistici, centrali telefoniche, e cosi via.
Internet è nato dal programma militare Arpanet che offriva una soluzione al problema di come ripristinare le comunicazioni tra centri di comando militari in seguito ad un attacco nucleare.
I moderni Prometeo che hanno permesso la diffusione dei PC anche al grande pubblico (artefici di una rivoluzione mondiale nel modo di comunicare che forse in futuro sarà paragonata al rinascimento) sono ricercatori universitari che avevano intuito si potessero utilizzare i grossi computer degli anni 60 anche per altri compiti.
Di fatto rubavano costosissimo “tempo macchina” per sviluppare linguaggi, interfaccia e - perché no - anche games!
Senza questi “pirati” (tutt’altro che famosi) non esisterebbero Microsoft, Facebook, Google ecc.
Insomma il PC è figlio dell’anarchia, cosi come internet!
Il liberismo che ha caratterizzato lo sviluppo della prima fase della rivoluzione informatica - gli Stati hanno rifiutato di assumersi l’onere di una regolamentazione di questo settore - ha però generato un oligopolio, che a sua volta ha “ucciso” lo spirito anarchico originale.
.... vi lascio alla lettura dell’articolo senza rivelarvi altro.

                           L'utopia libertaria del web è fallita nel neoliberismo: e ora?




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