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sabato 3 febbraio 2024

8.Stephen Hawking e Thomas Hertog, la "Top Down Cosmology"

Parte 8^: i limiti del multiverso e l'origine della cosmologia quantistica.

Qualche settimana fa, incontrandolo a Torino, ho chiesto a Gian Francesco Giudice, il direttore del dipartimento di fisica teorica del Cern, quale fosse la sua opinione sulla Top Down Cosmology e le idee messe in campo da Stephen Hawking nell'ultimo periodo della sua vita.

Giudice - fautore della cosmologia del multiverso (72) - pur sposando una tesi incompatibile con la proposta di Hertog ed Hawking, riconosce tuttavia a quest'ultimo il merito di aver costretto la comunità dei cosmologi a tener conto dell'importanza di adottare una prospettiva soggettiva nello studio dell'evoluzione dell'universo in quanto noi stessi ne facciamo parte:

"... l’occhio del verme in contrapposizione all’occhio di dio ...”. (73)

Vediamo in dettaglio di cosa si tratti.

La fisica ortodossa distingue tra dinamiche - governate dalle leggi della natura - e condizioni al contorno - costituite dall’apparato sperimentale e dallo stato iniziale del sistema: suo obiettivo è cercare di scoprire quali siano queste leggi tenendo sotto controllo le seconde.

Questa separazione da una parte regala alla scienza una capacità predittiva - replicando un esperimento in un identico contesto esso deve produrre lo stesso risultato - ma al contempo ne limita la portata: com'è infatti possibile applicarla allo studio dell’universo stesso? 

Quali sarebbero le condizioni al contorno che dovremmo cercar di tener sotto controllo?

Hawking ci fa notare che la cosmologia del multiverso evita di affrontare queste domande scomode usando l'artificio di “spostare il punto di osservazione" dall'interno del nostro universo al suo esterno, dando quindi per scontata l'esistenza di uno "sfondo fisso" che di esso non ne fa parte.

Se il nostro universo possiede una storia ed un inizio (prima del quale non esisteva), deve quindi esserci un qualcosa di immutabile all'interno del quale ad un certo punto questi ha iniziato ad esistere:

"... uno spazio di configurazione dei fenomeni fisici integrato in una struttura di fondo fissa che possiamo pensare di afferrare e gestire ...", scrive.

Il multiverso stesso, con tutti i suoi universi isola, viene descritto dalla teoria come se lo si stesse osservando da una posizione elevata posta al suo esterno, una prospettiva che Hawking definisce occhio di dio.

“... Punto debole di tale modello”, continua, “è l'esser costruito come un ibrido tra il pensiero classico e quello quantistico ...”

Pur prevedendo la creazione di una varietà di universi isola quale conseguenza di salti quantistici casuali, nella cosmologia del multiverso tutto quanto "accade" all'interno di un gigantesco spazio vuoto preesistente, in uno stato di eterna espansione inflazionaria.

Si tratta cioè di uno sfondo classico, peraltro simile a quello del modello newtoniano; in entrambe le teorie infatti lo sfondo è costituito da uno spazio vuoto ed infinito, che nel caso del multiverso, invece di rimanere fisso come quello immaginato da Newton, si espande continuamente.

"... Pertanto", conclude Hawking, "quella del multiverso è una filosofia bottom-up della cosmologia in cui immaginiamo l'evolversi del cosmo in avanti nel tempo, così da poter predire ciò che dovremmo vedere ..."

Ogni eventuale "abitante" di un dato universo-isola viene descritto come dotato di un passato unico e ben definito: il multiverso risulta avere una sola storia, dato un punto di partenza l'evoluzione segue un unico percorso. (74)

Per Hawking è invece irrinunciabile considerare l'aspetto quantistico del nostro universo “nel suo complesso”, e cioè non solo a livello di micromondo. (75)

"... viviamo in un universo quantistico che dovrebbe piuttosto esser descritto attraverso una sovrapposizione di storie alla Feynman, ciascuna con il proprio valore di probabilità ..."

Un universo quantistico deve risultare "indeterminato" non solo a scale microscopiche (a livello di particelle o di stringhe), ma anche se considerato a scale che arrivano ben oltre il nostro orizzonte cosmologico.

In quest'ottica, quando pensiamo all'evoluzione del cosmo dobbiamo abbandonare la visione di un universo con una singola storia che si sviluppa su uno sfondo costituito da uno spaziotempo classico; dovremmo piuttosto pensare all'universo come ad una sovrapposizione di molti possibili spazi tempo, ognuno con la propria storia individuale.

È un cambio di paradigma che, come vedremo tra un attimo, comporta conseguenze molto serie e profonde.

Se le storie dell'universo sono più di una, l'indagine cosmologica non può procedere da un inizio (qualunque esso sia) e predire quale sarà l'evoluzione dell'universo a partire da quel punto - prospettiva bottom-up -, si deve piuttosto procedere al contrario, partire dal NOSTRO presente per ricostruire passo a passo il NOSTRO particolare passato - prospettiva top-down. (76)

"... è necessario procedere all'indietro nel tempo a partire dalla superficie delle nostre osservazioni ..."

(dove qui con "superficie" Hawking intende "una fetta" tridimensionale dello spaziotempo immediatamente all'interno del nostro cono di luce passato).

L'elevato prezzo da pagare per questo cambio di prospettiva è la crisi del rapporto causa-effetto.

"... la storia dell'universo non è più oggettiva, ma dipende dalla domanda che gli poniamo ...", continua Hawking.

Intendeva dire che il passato (la nostra storia specifica) dipende dall'atto di osservazione, da quanto OGGI misuriamo.

Sebbene questa asserzione ci faccia sentire disorientati, è in fondo quanto la Meccanica Quantistica, da più di un secolo, ci ha dimostrato essere vero: gli atti di osservare e misurare compiuti dallo sperimentatore entrano esplicitamente nel processo di predizione.

Il senso di fastidio che ci provoca l'asserzione di Hawking è conseguenza della incapacità di comprendere cosa induca le funzioni d'onda della meccanica quantistica a passare da una spettrale sovrapposizione di più realtà a quella singola realtà di cui facciamo ogni giorno esperienza.

La scuola di Bohr ne da un'interpretazione "strumentalista": il collasso della funzione d'onda in un singolo valore è dovuto all'intervento dello sperimentatore.

La cosiddetta interpretazione di Copenhagen sostiene infatti che sia l'atto di osservare a costringere la natura a scegliere tra un set di valori, ognuno con un diverso grado di probabilità, uno solo di essi.

Tuttavia, cosa significhi "osservare" o "misurare", ed il motivo per il quale si assiste al collasso della funzione, non sono chiariti nell'ambito di tale approccio.

Inoltre Bohr si guardò bene dal tracciare una linea netta di confine tra micromondo (nell'ambito del quale si applica la Meccanica Quantistica) e macro mondo (dove invece si applica la teoria classica).


Per capire cosa vuole dirci Hawking dobbiamo partire dalla tesi di dottorato di un fisico che rimase deluso dall'accoglienza del proprio lavoro presso la comunità scientifica, e che di conseguenza lasciò la fisica teorica per dedicarsi - con successo - alla ricerca in campo militare.

Suo figlio, Marc Everett, è frontman degli Eels ed ha imprestato la voce, nella versione anglosassone, al personaggio "Shreck" nell'omonimo film.


Verso la metà degli anni '50 un allievo di John Weeler, Hugh Everett III, propose - a quel tempo con scarso successo - una soluzione che in seguito venne definita l'interpretazione a molti mondi (abbreviata in MWI). (77)

Everett fece notare che l'equazione di Schroedinger non prevede collassi, e poiché ha dimostrato di funzionare benissimo con elettroni e quarks, ritiene non ci sia ragione per cui non debba farlo per gli oggetti più grandi da loro composti, indipendentemente dal numero di particelle coinvolte.

Quindi deve esistere un'unica funzione d'onda dell'universo che non collassa mai e che include ogni cosa, non solo l'oggetto dell'osservazione ma pure la descrizione dell'osservatore e dei suoi strumenti.

In quest'ottica l'universo è un sistema chiuso, non c'è nessuno all'esterno dell'universo che possa interferire e provocare un collasso.

Ogni processo di misurazione - che avviene dunque solo all'interno della "scatola universo" - si limita a produrre una ramificazione della funzione d'onda in ognuno dei possibili risultati, e se mettessimo insieme tutti quanti i diversi rami della funzione d'onda che esistono in un certo istante ci ritroveremmo con la funzione d'onda completa.

Un atto di osservazione quantistico si può descrivere in questo modo: quando gli sperimentatori fanno una misurazione, l'interazione tra questi ed il sistema misurato mette prima in correlazione lo stato quantistico del sistema con alcune particelle, poi con l'apparato sperimentale ed infine con il loro stato mentale.

Ne consegue che la ramificazione della funzione d'onda in più frammenti distinti, uno per ciascuno dei possibili risultati della misurazione, farà sì che anche gli osservatori si duplichino in copie quasi identiche, una per ogni ramo, distinguibili solo dal risultato della misurazione registrato da ciascuna di esse.

Ogni frammento della funzione d'onda si comporta come ramo separato della realtà, e descrive un particolare percorso storico nel quale l'osservatore è inconsapevole dell'esistenza delle proprie copie in quanto queste "... vivono il resto delle loro vite in storie differenti, cavalcando creste diverse dell'onda quantistica universale ..."

"... E' uno schema oggettivamente deterministico con la probabilità che compare solo a livello soggettivo ..." scrisse Everett. (78)

Le probabilità, secondo lui, quantificano l'incertezza e l'equazione di Shroedinger può dunque esser usata per predire in anticipo le altezze relative dei frammenti d'onda che corrispondono a tutti i possibili esiti di una misurazione;

"... i quadrati di tali ampiezze rappresentano la strategia ottimale per fare scommesse ..."

L'osservazione in questo contesto equivale ad una potatura dell'albero dei possibili futuri: la storia si divide ed ogni copia dell'osservatore vede sopravvivere soltanto il proprio ramo.

I rami della storia che non interferiscono più sono definiti disaccoppiati (o decoerenti).

Il classico esempio di storie che non si decoerentizzano è offerto dall'esperimento della doppia fenditura; in assenza di strumenti di misurazione (osservazione) le traiettorie dell'elettrone non si disaccoppino ma si frammischino producendo schemi di interferenza.

Tuttavia qualora l'ambiente sia saturato con un gas di particelle, gli elettroni che emergono da ciascuna fenditura interagiscono col gas e perdono la capacità di interferire ulteriormente tra di loro: sparisce così lo schema di interferenza sullo schermo al termine della loro traiettoria.


"... l'ambiente delle particelle del gas ha compiuto, vicino alle fenditure, un atto di osservazione che provoca la decoerentizzazione dei frammenti d'onda ..." scrive Everett.

Sono due le proprietà chiave dello schema di Everett:

  • la natura esatta delle domande che poniamo determinano la formazione della struttura ad albero con rami indipendenti;
  • è possibile fare predizioni sensate (scommesse ragionevoli dove la somma delle probabilità sia eguale a 1) solo riguardo a percorsi storici indipendenti, decoerenti e che si differenzino in modo sostanziale (un punto importantissimo come vedremo per la cosmologia top down).
E' l'ambiente, in ogni momento, a compiere atti di osservazione, cancellando così interferenza quantistica trasformando innumerevoli potenzialità in qualche attualità (decoerentizzazione); svolge cioè il ruolo di ponte tra micromondo e macromondo, rendendo possibile l'esistenza di una solida realtà classica nonostante le continue fluttuazioni quantistiche che si verificano a scala microscopica.

"... Ogni atto di osservazione insieme agli innumerevoli risultati casuali accumulatisi nel corso di miliardi di anni contribuisce con un po' di informazione al nostro ramo della storia ..." e conferisce specificità al mondo che ci circonda.

E' importante specificare come le due interpretazioni (quella di Bohr e quella di Everett) producano predizioni diverse: l'interpretazione di Everett ci informa che, qualora fossimo in grado di invertire tutte le interazioni che vengono a formare un'osservazione, potremmo ricombinare i diversi rami della funzione d'onda e farli interferire di nuovo.

Saremmo cioè in grado di determinare retrospettivamente il passato, cosa che risulta impossibile in base all'interpretazione di Bohr con il suo modello di collasso. (79)

L'interpretazione a molti mondi, che vede "... l'universo nel suo complesso come un sistema a sé stante non replicato e non contenuto in una scatola ancora più grande ...", è alla base della cosmologia quantistica che sarà sviluppata molti anni dopo da Hawking e dal suo gruppo di Cambridge, con l'abbandono della prospettiva "occhio di dio" in favore di una visione cosmologica dal punto di vista "occhio del verme", dal basso e dall'interno.



(vai alla parte 9)



Note:

(72) Gian Francesco Giudice è autore di un ottimo saggio divulgativo sull'argomento, “Prima del Big Bang”, pubblicato nel 2023.


(73) “... Le nostre teorie fisiche non abitano in un cielo platonico; non siamo angeli che vedono l’universo dall’esterno, ma ne facciamo parte così come le nostre teorie che non sono mai del tutto disaccoppiate da noi: abbandoniamo la prospettiva dal di fuori, l’occhio di dio, per abbracciare quella dal basso, l’occhio del verme ...” (Hawking).

(74) Hawking definisce quella del multiverso una teoria "semiclassica": l'evoluzione dell'universo presenta caratteristiche quantistiche ma sostanzialmente non si discosta da un "racconto classico", come lo sono quello ricavato dalla Relatività Generale e dalla meccanica di Newton.

Anche l'ipotesi assenza di confini, sviluppata in precedenza insieme ad Hartle (abbiamo già raccontato come tale modello fallisca nel descrivere l'evoluzione del nostro universo in quanto predice la creazione di un cosmo sostanzialmente vuoto), pur proponendo una descrizione dell'origine quantistica dello spazio tempo (un universo che si crea dal nulla) presenta lo stesso limite riscontrato per il multiverso: l'essere una visione bottom-up, una sola storia che si dipana dall'origine sino al presente.

(75) Se un elettrone, un quark, un muone, un neutrino o un fotone possono esistere in sovrapposizione di più stati (quindi possedere ciascuno più di una storia), e dunque esser descritti da onde di probabilità (l'esistenza stessa del dispositivo che utilizzate per leggere questo post lo dimostra), se questi sono gli elementi fondamentali con cui l'universo è formato, perché anche l'universo stesso non dovrebbe esser descrivibile con una funzione d'onda (si chiedeva Everett)?

"... Ogni anno che passa" - scrive Brian Greene in "La realtà nascosta" - "gli sperimentatori confermano che l'equazione di Schroedinger funziona per collezioni sempre più grandi di particelle, ed abbiamo ragione di credere che funzioni per collezioni enormi, come quelle che compongono noi e l'universo stesso ...".


(76) Abbiamo già visto Il paragone con la biologia e la storia della vita sulla Terra: risulta inutile la ricerca di una legge deterministica che, partendo dalla prima forma di vita, sia in grado di predire la comparsa dei sapiens perché in tal caso dovremmo disegnare innumerevoli "alberi della vita", uno per ogni possibilità che in ogni istante si sia palesata, che tuttavia non si sono attuati.

Meglio allora partire dal presente dalle estremità dell'albero della vita, e ricostruire a ritroso il percorso evolutivo, prendendo così in considerazione solo i tracciati effettivamente seguiti dall'evoluzione sino a scendere alla sua radice.

(77) The Many-Worlds interpretation of Quantum Mechanic (MWI) prende spunto dal lavoro condotto nel 1957 da Everett per la sua tesi di dottorato, successivamente ripreso da Bryce Seligman DeWitt.

Fu DeWitt a coniare il termine "a molti mondi" per riferirsi all'idea che la misurazione di una proprietà di uno stato quantistico abbia come conseguenza la divisione della storia dell'universo in molti mondi distinti, ciascuno dei quali caratterizzato da diversi risultati della misura.


(78) Un argomento sviluppato poi da Bruno De Finetti:

"... tutti noi quando ci interroghiamo sulle probabilità di qualcosa usiamo le probabilità soggettive per quantificare la nostra incertezza in situazioni di conoscenza incompleta; cioè il grado di credenza nel verificarsi di un evento assegnato da una persona in un dato istante e con un dato insieme di informazioni.

Nel corso della vita acquisiamo confidenza nelle probabilità soggettive perché verifichiamo che gli eventi più probabili si verificano più spesso ...".

Vedi anche i post che ho scritto su di lui:

- 7 ottobre 2023 Il carattere delle probabilità nelle interpretazioni della meccanica quantistica: Copenhagen, Everett e “l’affidabilità” delle probabilità soggettive di de Finetti.;

- 18 ottobre 2019 Probabilità, certezza ed affidabilità: l’incredibile contributo del matematico italiano Bruno De Finetti, un uomo che nella seconda metà del ‘900 ha “salvato" la reputazione della scienza


(79) La capacità di predire retrospettivamente il passato al fine di comprendere come è emerso il presente risulta di centrale importanza in cosmologia.

Il modello di collasso di Bohr ci dice invece che non serve a nulla far girare l'equazione di Shroedinger all'indietro nel tempo per scoprire com'era il passato in quanto gli atti di osservazione passati hanno interferito con l'evoluzione prescritta dall'equazione.

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