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sabato 30 dicembre 2023

Leonard Susskind e la sua guerra per la salvezza della Meccanica Quantistica - parte seconda: complementarietà e principio olografico.

Nel precedente post siamo arrivati all’anno 2000 con il calcolo dell’entropia di un buco nero di Hawking - sempre crescente - che non si concilia con la curva a collina di Page che garantirebbe la sopravvivenza dell’informazione relativa a tutto quanto caduto in un buco nero ed al corpo che gli ha dato origine con il suo collasso.
Nonostante tutti gli sforzi profusi non si trova un errore nel calcolo di Hawking che permetta di risolvere il paradosso dell’informazione (vedi post precedente).
Una svolta parte da lontano...

All’inizio degli anni ‘90 Gerardus t’ Hoff e Leonard Susskind svilupparono un’intuizione che sarà poi nota come “complementarietà del buco nero” (8)

Nella nota 6 del post precedente abbiamo affermato che i buchi neri si comportano come gli atomi poiché emettono radiazione in seguito alla stimolazione da parte del vuoto (9)
In realtà c’è una profonda differenza tra l’emissione di fotoni da parte di oggetti caldi e la radiazione di Hawking rilasciata dai buchi neri: nel secondo caso sono infatti gli effetti gravitazionali a render reali le fluttuazioni del vuoto, e tale meccanismo produce tre proprietà (attribuite alla radiazione di Hawking) che, prese insieme, appaiono inconciliabili:

1. Per il principio di equivalenza di Einstein, un osservatore in caduta libera che attraversi l’orizzonte di un buco nero abbastanza grande (se di piccola taglia verrà invece distrutto prima dalle forze mareali) non se ne accorgerebbe, fino a quando, nel suo futuro, verrà spaghettificato avvicinandosi alla singolarità.    

Nessuna radiazione in prossimità dell’orizzonte verrà quindi da lui percepita. 

2. Un osservatore che voglia fermarsi appena al di sopra dell’orizzonte (accelerando per evitare di esser trascinato verso il buco nero, come farebbe un'imbarcazione avvicinandosi al bordo superiore di una cascata per sfuggire alla corrente che si fa via via più impetuosa) dal suo punto di vista sarà bombardato da tutte le particelle reali (con energia positiva) della radiazione di Hawking (10).
Quanto più sarà vicino all’orizzonte, tanto più la spinta necessaria a contrastare la gravità del buco nero sarà intensa, e così il flusso di particelle reali (con energia positiva) che lo investe: l’osservatore verrà quindi bruciato da un flusso di radiazioni caldissime.

3. Un osservatore in caduta libera molto distante dall’orizzonte e dal buco nero registra invece una radiazione fredda (alla temperatura di Hawking).


Possiamo farci un’idea di come si manifesti tale radiazione da un punto di vista molto lontano pensando alle forze gravitazionali di marea.

Le maree sulla Terra sono determinate dalla differenza tra l’attrazione gravitazionale della Luna in due posti diversi, e si avvertono solo se questi sono molto lontani (niente maree nella vasca da bagno!).

Così la radiazione di Hawking si produce perché l'attrazione gravitazionale del buco nero varia da un capo all'altro di una fluttuazione del vuoto: tale fluttuazione deve risultare abbastanza grande da rendere reali le particelle, e cioè esser estesa approssimativamente sulle dimensioni del buco nero. Un osservatore molto distante percepirà dunque un flusso di particelle a grande lunghezza d'onda (cioè a bassa energia).

Ciascuna di queste tre esperienze è una descrizione legittima di quanto accade, ma da un diverso punto di vista:

- un osservatore in caduta libera verso un buco nero (abbastanza grande) ne attraversa l’orizzonte senza accorgersene, e solo quando arriva vicino alla singolarità si troverà spaghettificato;

- un osservatore posto a grande distanza vedrà invece il primo ridursi in cenere per effetto della radiazione di Hawking appena prima che questi attraversi l’orizzonte.

Due storie diverse che, secondo il principio di complementarietà, non sono in contraddizione: il motivo sta nel fatto che, una volta attraversato l’orizzonte, l’osservatore caduto nel buco nero non può più comunicare con qualcuno che ne sia all’esterno.

Nessun osservatore può cioè essere testimone di entrambi gli eventi (11).

L’informazione per l’osservatore esterno non attraverserà mai l’orizzonte (risolvendo così il paradosso che la riguarda), ma esiste anche un altro punto di vista, altrettanto valido, secondo il quale essa invece cade nel buco nero con il primo osservatore.

Il principio di complementarietà ci dice in pratica che quanto accade all'interno dell'orizzonte sia una descrizione della realtà fisica altrettanto valida quanto quella di ciò che accade al suo esterno: le due descrizioni sono rappresentazioni equivalenti della medesima fisica.

Come dire che l’interno di un buco nero risulti in qualche modo «identico» al suo esterno.

Abbiamo così introdotto una nuova idea della fisica, battezzata “principio olografico”, che comporta conseguenze rilevanti e rappresenta una “chiave di volta” per l’interpretazione della realtà (ne tratterò in modo diffuso nella terza parte di questo post).

Esclusa la possibilità che l’orizzonte possa in qualche modo “creare una copia” di ciò che vi cade dentro cosicché l’originale bruci appena al suo esterno e la copia venga in seguito spaghettificata al suo interno (un evento proibito dal “teorema di non clonazione” della fisica quantistica), non rimane che accettare l’olografia se non vogliamo esser costretti a rinunciare o alla Relatività Generale oppure alla teoria quantistica (12).

L’olografia dello spazio tempo fu proposta inizialmente da 't Hooft nel 1993 e sviluppata l’anno successivo da Susskind.


Nata in relazione allo studio dei buchi neri, si propone oggi quale caratteristica universale della natura: il principio olografico arriva a supporre che l’universo intero, quale lo percepiamo, sia in realtà un ologramma.


Nella nostra quotidiana esperienza un ologramma è una rappresentazione di un oggetto tridimensionale costruita utilizzando un’informazione immagazzinata su una superficie bidimensionale: l’informazione, stimolata da un mezzo (la luce laser), “fa emergere” una dimensione aggiuntiva.

Sappiamo, dal calcolo dell’entropia di Bekenstein (13), che un buco nero è l’oggetto con la massima densità di informazione possibile, e che la quantità di quest’ultima è proporzionale all’area della superficie del suo orizzonte e non al suo volume (14).

Quindi ne consegue che all'interno di qualunque regione dello spazio non ci possa stare più informazione di quanta ne sia codificabile sul contorno della stessa regione.

't Hooft e Susskind giunsero pertanto ad affermare che il contenuto d'informazione di una qualunque regione dello spazio sia codificato sul suo contorno.

Un osservatore vicino ad un buco nero ne può esplorare il contorno sotto forma della membrana infuocata prossima all'orizzonte degli eventi, ma qualora si trovi invece a grande distanza non potrebbe aver accesso a questa informazione codificata olograficamente in quanto risulta impossibile «ritagliare un pezzo di spazio vuoto» per svelare che l'informazione contenuta all'interno è codificata sulla sua superficie.

L'olografia è quindi un esempio perfetto di complementarità in azione: due descrizioni, una sul contorno di qualunque regione data dello spazio, l’altra nello spazio interno al contorno.

Di conseguenza la nostra esperienza ed esistenza può essere descritta con assoluta fedeltà in termini di informazione archiviata su un contorno lontano, la cui natura ancora non comprendiamo bene.

Ma nel 1997 …




Note:


(8) Vedi: “the stretched horizon and black hole complementarity” (Physical Review 1993) e “the black hole interpretation of string theory” (Nuclear Physics 1990).


(9) L’esempio riportato era quello relativo ai tubi al neon ed agli atomi contenuti.
Ricevendo energia, i loro elettroni vanno ad occupare livelli energetici più elevati rispetto allo stato fondamentale, ma dopo un istante ritornano ai livelli inferiori emettendo fotoni (la luce che vediamo emessa dai tubi al neon) che portano via l’energia precedentemente fornita al gas.


(10) Sul numero di ottobre 2023 di Le Scienze, l' articolo a firma di Manon Bischoff (vedi pag. 50 "Particelle dal nulla") tratta dell’effetto Davies-Unruh, scoperto negli anni 70, che è molto simile a quello che ho descritto.

In una regione di spazio tempo piana, lontano da ogni corpo celeste, un’astronave accelera e sperimenterà un bagno termico di particelle la cui temperatura è proporzionale all’intensità dell’accelerazione.

Per il principio di equivalenza la stessa cosa succede ad un corpo accelerato per resistere all’attrazione gravitazionale di un buco nero.

Poiché nelle immediate vicinanze dell’orizzonte la velocità “di fuga” è prossima a quella della luce, il corpo verrà vaporizzato.


(11) L’obiezione secondo la quale il secondo osservatore fuori dal buco nero potrebbe raccogliere le prove della riduzione in cenere del primo, attraversare a sua volta l’orizzonte, raggiungerlo ed informarlo su ciò che ha visto - creando così una situazione inconciliabile tra RG e MQ - è stata smontata in quanto, per compiere tutte queste azioni, è necessario del tempo.

Tempo durante il quale il primo osservatore, caduto nel buco nero, è giunto nei pressi della singolarità ed è stato spaghettificato dalle forze mareali.


(12) L'ipotesi AMPS.

In realtà c’è ancora una possibilità: che il buco nero non abbia un interno e che Einstein si sia sbagliato.

Tale prospettiva fu indagata nel 2013 da “AMPS”, acronimo per Almheiri Marolf Polchonski e Sully, che pubblicarono un articolo su ArXiv il 13 luglio 2012 intitolato “Black Holes: complementarity or firewalls?”.

Il ragionamento seguito (un esperimento mentale) parte dall'assunzione che l'informazione venga trasferita alla radiazione di Hawking dopo il tempo di Page, cioè all'incirca superata la metà della vita del buco nero (quando la sua massa si è oramai dimezzata).

Ho allegato un'immagine a questo post per meglio spiegare la logica di AMPS.

Le particelle virtuali create dal vuoto quantistico sono sempre in entanglement tra di loro: prendiamone una coppia formata dalle particelle A e B.


La radiazione di Hawking consiste nella particella A sfuggita all'orizzonte che tuttavia rimane legata in entanglement con la B che ora è nel buco nero.

Secondo il calcolo originale di Hawking: l'entanglement tra le particelle della radiazione ed il buco nero aumenta sempre al passare del tempo sino a quando il buco nero evapora completamente e l'entaglement "sparisce": l'informazione è persa per sempre.



Per superare il paradosso che comporta la perdita dell'informazione, abbiamo sostenuto che successivamente al tempo di Page le particelle della radiazione di Hawking divengano sempre più entangled tra di loro: in pratica stiamo dicendo che la particella B, creatasi quando il buco nero era giovane e sfuggita all'orizzonte (ma ancora in entanglement con la A al suo interno), diventi ora entangled con una particella D (appartenente alla coppia C e D) sfuggita all'orizzonte DOPO il tempo di Page.


Quindi B sarebbe entangled contemporaneamente con il buco nero (dove è caduta A) e con un'altra particella della radiazione di Hawking (D appena sfuggita all'orizzonte).


Ma questa situazione non può verificarsi perché la teoria quantistica stabilisce che "l'entanglement sia monogamo", e cioè che se una particella è già entangled con una seconda, non possa esserlo contemporaneamente con una terza (che tra l'altro risulterebbe creata dal vuoto quantistico miliardi di anni dopo la creazione delle prime due!).

La possibilità che DOPO il tempo di Page la particella B, ora in entanglement con D, abbia perso l'entanglement con la A (immaginiamo un osservatore che, quando il buco nero ha superato la mezz'età, attraversi l'orizzonte e scopra che A non è più entangled con B) comporta conseguenze drammatiche: distruggere l'entanglement nel vuoto ha un costo elevatissimo in termini di energia necessaria, in quanto equivale ad una lacerazione dello spazio vuoto.


Si creerebbe pertanto un firewall intorno all'orizzonte che provocherebbe la distruzione dello spazio interno all'orizzonte: l'interno del buco nero cesserebbe del tutto di esistere.

Si potrebbe obiettare che ci si trovi in una condizione simile a quella che abbiamo esaminato in precedenza (dove un osservatore attraversa senza accorgersene l'orizzonte di un buco nero ed in seguito viene spaghettificato quando incontra la singolarità, mentre un secondo osservatore, distante, lo vede bruciare prima di aver attraversato l'orizzonte), e quindi invocare la complementarietà degli orizzonti per risolvere anche questa contraddizione.

La differenza qui sta nel tempo a disposizione: nel caso richiamato in precedenza l'osservatore all'esterno non ha modo di comunicare con quello che per primo ha attraversato l'orizzonte, perché quand'anche questi si lasciasse cadere nel buco nero dopo aver raccolto le prove dell'incenerimento del primo "tuffatore" a causa della radiazione di Hawking, l'altro sarebbe già stato spaghettificato dalla singolarità.


Invece in questo caso 
l'osservatore esterno avrebbe a disposizione un sacco di tempo per rilevare l'entaglement B con D e poi attraversare l'orizzonte dove il primo confermerebbe di aver visto l'entanglement A con B oltre l'orizzonte nell'atto stesso di attraversarlo.

Secondo AMPS 
sorgerebbe pertanto una contraddizione che mette in discussione l'esistenza dell'interno di un buco nero:

"... La complementarietà richiederebbe troppo entanglement per preservare l'informazione e l'integrità del vuoto quantistico oltre l'orizzonte: buco nero e radiazione di Hawking dovrebbero trovarsi in uno stato quantico impossibile (dopo il tempo di Page) esigendo che codifichino più informazione di quanta il sistema ne possa fisicamente sopportare ..."

Interviene l'olografia a salvare "capra e cavoli": siccome l'interno del buco nero è in relazione di dualità con l'esterno, la radiazione di Hawking quando il buco nero è giovane (B) e le particelle cadute nel buco nero (A) sono in realtà la stessa cosa; il firewall viene così evitato.


(13) Beckenstein, per salvare il secondo principio della termodinamica, ipotizzò che i buchi neri dovessero avere un’entropia proporzionale all’area dell’orizzonte, e con un calcolo ingegnoso ne ricavò il valore.

Immaginò di far cadere un singolo bit di informazione oltre l'orizzonte: un fotone, particella priva di massa che immaginiamo dotato di rotazione in senso orario oppure in senso antiorario (0/1).


Il fotone trasferisce al buco nero una quantità di energia inversamente proporzionale alla sua lunghezza d'onda.


Poiché la posizione di un fotone non può esser risolta su distanze minori della sua lunghezza d'onda, il fotone che cade nel buco nero deve avere una lunghezza d'onda minore o uguale al raggio di Schwarzschild (altrimenti resterebbe al di fuori dell'orizzonte).


Il calcolo restituisce il numero massimo di fotoni N che un buco nero può contenere, che risulta pari all'area dell'orizzonte moltiplicata per il quadrato della lunghezza di Planck.


Il significato è che l'entropia di un buco nero e cioè il numero totale di bit di informazione che nasconde al suo interno - 

risulta calcolabile tassellando la superficie del suo orizzonte con pixels della dimensione della lunghezza di Planck, ipotizzando che ciascuno di essi possa contenere soltanto un singolo bit.


Conseguenza di tale assunzione è curiosa.

Lasciamo cadere nel buco nero un oggetto a bassa entropia: per obbedire al secondo principio della termodinamica l'entropia del buco nero aumenta di misura pari all'entropia dell'oggetto inghiottito.

L'area dell'orizzonte aumenta, ma solo in proporzione alla massa dell'oggetto (l'area dell'orizzonte è infatti proporzionale alla sola massa del buco nero).

Cosa succede lasciando cadere un oggetto di pari massa ma di entropia elevata?

In base a quanto affermato, l'aumento di area dell'orizzonte sarà la stessa che nel caso precedente.


Questo significa che ogni volta che aumenta la massa del buco nero, la sua entropia aumenta della massima quantità possibile.

Quindi un buco nero presenta la massima entropia possibile: immagazzina cioè in una data regione dello spazio la massima quantità di informazione, data dall'area della superficie della regione misurata in unità di Planck.


Ne consegue l'evidenza controintuitiva che "tutto ciò che esiste in un certo volume di spazio può esser descritto completamente da informazione localizzata su una superficie che circonda la regione": è il principio olografico.


(14) Sembra un qualcosa di contro intuitivo, ma possiamo fare un esempio pratico.

Prendiamo una sfera cava e procediamo ad inserire al suo interno 3 sfere più piccole in modo che la loro dimensione sia la massima possibile compatibilmente con le pareti interne della prima.

Sicuramente il volume della sfera più grande è maggiore della somma di quello delle tre contenute al suo interno, ma non così la superficie!

Sommando le superfici delle 3 sfere interne possiamo ottenere un valore più grande di quella della sfera esterna.







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