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venerdì 12 dicembre 2025

Usare il sole per ottenere immagini dettagliate della superficie di pianeti in orbita intorno ad altre stelle.

Oltre cento anni fa la Relatività Generale ha dimostrato che la gravità non agisce come forza ma come curvatura dello spazio-tempo prodotta dalla massa e dall’energia; tale curvatura contribuisce a determinare la traiettoria della luce, che viene dunque deflessa qualora si trovi ad attraversare regioni influenzate da campi gravitazionali intensi.

Questo fenomeno, noto come lente gravitazionale, consente l’amplificazione e la distorsione di sorgenti astronomiche molto lontane. Negli ultimi anni le osservazioni ottenute con telescopi avanzati hanno rivelato numerosi esempi di anelli di Einstein, configurazioni in cui un allineamento quasi perfetto tra sorgente, lente ed osservatore produce una struttura luminosa ad anello (in realtà gli anelli perfetti sono rari, spesso si osservano archi).


Queste immagini forniscono non solo conferme dirette delle previsioni della Relatività Generale, ma anche un mezzo per sondare l’universo profondo con una precisione senza precedenti, consentendo l’analisi della distribuzione di materia (visibile ed oscura) e l’osservazione di galassie a grande redshift (molto lontane nello spazio e nel tempo).

In questo contesto la possibilità di sfruttare una lente gravitazionale naturale, quale lo è il Sole, emerge come una prospettiva innovativa: a distanze superiori a circa 550 unità astronomiche, la curvatura dello spazio-tempo generata dalla nostra stella concentra la luce proveniente da sorgenti remote in un fuoco gravitazionale, offrendo potenzialmente fattori di amplificazione in intensità e risoluzione irraggiungibili con l’ottica convenzionale. L'idea di usare il Sole come lente gravitazionale (Solar Gravitational Lens, o SGL) apre la strada a missioni dedicate per l’osservazione diretta di esopianeti e di strutture cosmologiche deboli (1), introducendo un nuovo paradigma nell’osservazione astronomica.

Una serie di articoli pubblicati tra il 2017 e il 2022 ha consolidato la base teorica della lente gravitazionale solare (2), mentre studi concettuali ed analisi di missione (3) hanno esplorato la fattibilità tecnica ed il potenziale scientifico di future missioni dedicate. La lente gravitazionale della nostra stella comincia a focalizzare la luce a partire da 550 unità astronomiche dalla posizione del Sole - una distanza davvero enorme, pari ad oltre 80 miliardi di km, circa 14 volte l'orbita di Plutone (4) - là dove la linea focale della SGL si trova a distanze ancora maggiori.


Si parla di linea focale - e non di punto focale - perché c'è una differenza fondamentale tra una lente ottica ed una lente gravitazionale.

In ottica convenzionale una lente convessa focalizza i raggi paralleli in un solo punto focale mentre una lente gravitazionale piega i raggi luminosi secondo la legge di Einstein.

Prendendo come esempio la nostra stella, la deflessione della luce dipende dalla distanza dal suo centro: quanto più un raggio passa vicino al Sole, tanto più viene deviato (mentre I raggi che passano più distanti dal bordo solare vengono deviati meno e quindi focalizzati più lontano).

Non esiste un singolo punto focale in cui tutti i raggi convergono, bensì una regione estesa lungo un asse radiale con origine nel Sole - la cosiddetta linea focale - che inizia a circa 550 AU e prosegue teoricamente all’infinito. (5)

Un telescopio spaziale che voglia sfruttare l’SGL deve quindi esser posizionato lungo tale linea: ogni suo punto consente di catturare un’immagine amplificata e ingrandita di un oggetto molto distante.

La linea focale è poi molto stretta in termini di sezione trasversale, assomiglia ad un tubo: per restare nel “raggio utile” del fuoco gravitazionale, un veicolo che la raggiungesse dovrebbe esser in grado di posizionarsi e sostare entro alcune centinaia di metri dal suo centro (il diametro utile varia tra uno e 2 km).

E' stata presa in considerazione l'ipotesi di portare un telescopio spaziale, dotato di uno specchio da 1 metro di diametro, nella regione focale tra le 550 e le 900 AU al fine di catturare l’anello di Einstein prodotto dalla luce di un esopianeta che si trovi dalla parte opposta del Sole (i cui fotoni attraversino la regione vicina al suo bordo).

La Solar Gravitational Lens offrirebbe in tal caso un’amplificazione (dell'intensità) enorme, nell’ordine di 10¹¹ a lunghezza d'onda pari a circa un micrometro (6), in grado cioè di intensificare la luce dell’esopianeta all'incirca 100 miliardi di volte rispetto a quanto possibile senza effetto lensing.

La risoluzione teorica dell’SGL sarebbe dunque straordinaria, dell’ordine di 10⁻¹⁰ arcsec (dipende dalla lunghezza d’onda), consentendo così risoluzioni spaziali sulla superficie di un esopianeta dell’ordine di chilometri anche per stelle a decine di parsec di distanza da noi. (7)

L'SGL tuttavia non produce un’immagine diretta dell'esopianeta (come siamo abituati a vedere nelle riprese dei corpi del sistema solare generate da Hubble o JWST): la luce che lo raggiunge dall'oggetto osservato viene infatti concentrata su un anello di Einstein tutto attorno al Sole.

Per ricostruire una mappa multipixel dell’esopianeta occorre scansionare (muovere il telescopio lungo il piano immagine) ed applicare algoritmi di deconvoluzione e ricostruzione (tomografia digitale) che sfruttino la risposta dell’SGL.

Una missione spaziale che si ponga come obiettivo di posizionare un telescopio per realizzare osservazioni che sfruttino l'SGL comporta problemi pratici e sfide tecnologiche non certo facili da risolvere, che la rendono ad oggi ancora fuori portata.

La principale sfida ingegneristica sta nel costruire un satellite in grado di raggiungere ed operare ad oltre 550 AU.

Con i sistemi di propulsione attualmente in uso sono necessari diversi decenni di volo per coprire tali distanze, e pertanto sono state prese in considerazione soluzioni alternative che potrebbero riuscire a contenere i tempi di viaggio in 2–3 decadi ( 8 ): tra le molte citiamo le vele solari (cui caratteristica è una forte accelerazione iniziale; le vele solari possono raggiungere anche 20–25 AU/anno con perielio molto basso), motori basati su propulsione elettrica ad alto impulso (ion), flybys/gravity assists combinati con boosting, e la costruzione di piccoli satelliti veloci.

Una seconda sfida riguarda lo sviluppo di un coronografo interno con prestazioni estremamente elevate.

L’anello di Einstein prodotto dalla SGL si forma infatti in prossimità apparente del bordo solare rendendo pertanto indispensabile sopprimere in modo efficace sia la luce diretta del disco che il contributo diffuso della corona solare.

È quindi necessario adottare un coronografo/occluder capace di attenuazioni molto spinte e di tecniche avanzate di sottrazione del fondo coronale per isolare il segnale utile (la corona introduce rumore variabile con l’attività solare): studi attuali indicano che è richiesta una soppressione dell’ordine di 10⁻⁶ (variabile a seconda della banda osservativa) per ottenere un rapporto segnale/rumore adeguato.

Per ottenere mappe con risoluzioni dell’ordine del chilometro della superficie di un esopianeta il telescopio deve essere posizionato e mantenuto con estrema precisione sul piano immagine della SGL: la posizione trasversale del veicolo spaziale deve essere controllata con accuratezze comprese tra decine di metri e qualche chilometro, in funzione della distanza dell’obiettivo e della risoluzione finale desiderata.

Poiché un piccolo spostamento laterale dell’ordine di pochi metri nel punto in cui si forma l’immagine corrisponde a chilometri sulla superficie del pianeta osservato (9), la sonda deve disporre di capacità di station-keeping con una precisione mai raggiunta prima garantita dall'uso di propulsori molto delicati (10) ed un sistema di puntamento capace di misurare angoli piccolissimi, dell’ordine dei nanoradianti.

Per ricostruire una fotografia completa ad alta risoluzione di un esopianeta non basta una singola esposizione: il telescopio deve infatti scansionare il piano immagine spostandosi lateralmente migliaia di volte (ogni posizione fornisce un piccolo tassello dell’immagine finale).

Questo processo richiede molto tempo ed un consumo di carburante non trascurabile: una singola sonda potrebbe infatti impiegare anni per completare un’immagine a milioni di pixel.

Da qui l’idea di usare propulsione elettrica a basso consumo per la regolazione fine (vedi nota 10) o addirittura architetture a sciame, in cui più sonde si dividono il carico di scansione riducendo la durata complessiva.

Ogni missione sarebbe poi necessariamente dedicata ad un solo obiettivo (single-purpose mission) in quanto la lente gravitazionale del Sole non può essere puntata a piacere: l’allineamento con il bersaglio è rigidissimo.

Per osservare un oggetto diverso bisognerebbe infatti spostarsi lateralmente di distanze enormi, cosa che richiede lunghi tempi di manovra e moltissima energia.

Per questo motivo ogni missione SGL risulterebbe dedicata ad un singolo bersaglio (o al massimo ad un piccolo numero di essi), oppure dovrebbe esser strutturata come una costellazione di sonde, ognuna dedicata a un diverso target.

Data l'enorme distanza della sonda dal nostro pianeta è indispensabile predisporre l'elaborazione in loco dei dati raccolti.

Il ritardo di comunicazione e la larghezza di banda disponibile impongono ai progettisti di dotare il telescopio spaziale di grandi capacità di trattamento dei dati che consentano già a bordo operazioni di compressione, filtraggio, primi tentativi di ricostruzione dell’immagine ed algoritmi intelligenti che selezionino solo i dati davvero utili da trasmettere. (11)

Completare una missione SGL, dal lancio da Terra della sonda sino al completamento della mappa di un singolo esopianeta, richiede tempi lunghissimi: decennali per il viaggio verso il punto di stazionamento lungo la linea focale, e diversi anni per le migliaia di spostamenti necessari a ricostruire l’immagine.

Una nuova frontiera nell'esplorazione dello spazio che rappresenta un investimento tecnologico e scientifico pluridecennale, coerente con missioni di frontiera come quelle interstellari.

In conclusione - secondo gli studi pubblicati da Turyshev ed il white paper NASA/Caltech - un singolo telescopio con uno specchio di circa un metro, equipaggiato con un coronografo avanzato e posizionato nella regione focale della nostra stella, sarebbe teoricamente in grado di ottenere immagini multipixel di un esopianeta di dimensioni terrestri situato a decine di parsec di distanza; la risoluzione prevista è dell’ordine di pochi chilometri per pixel, con il valore esatto determinato dalla distanza dell’obiettivo e dall’estensione dell’area osservata.

Applicando tecniche di ricostruzione e deconvoluzione, l’obiettivo dichiarato dagli studi è raggiungere risoluzioni di circa 10 km per pixel per un pianeta posto a circa 30 parsec.

Questa capacità rappresenterebbe un salto di diversi ordini di grandezza rispetto a qualsiasi telescopio attuale o proposto.

La vera sfida non riguarda tanto la potenza ottica della lente gravitazionale, quanto la possibilità di portare e far operare una sonda scientifica ad oltre 550 volte la distanza Terra-Sole, mantenendo al tempo stesso un controllo finissimo della posizione e della linea di vista, e riuscendo a sopprimere e modellare in modo adeguato la luce della corona solare affinché non comprometta il segnale dell’anello di Einstein.



Note:


(1) Si tratta di oggetti estremamente lontani o poco luminosi quali galassie ad alto redshift, filamenti della rete cosmica oppure aloni di materia oscura.

Le strutture cosmologiche deboli sono componenti dell’universo che emettono pochissima luce o che appaiono troppo minute per gli strumenti attuali.

La SGL, con il suo enorme potere di amplificazione e risoluzione, potrebbe renderle osservabili con un livello di dettaglio ad oggi impossibile.

Ecco cosa rientra tipicamente in questa categoria:

  • Galassie molto lontane (alto redshift), troppo deboli o piccole per essere risolte anche con il JWST; l’utilizzo di una SGL permetterebbe di vedere dettagli strutturali non osservabili con l’ottica convenzionale.

  • Filamenti di materia nell’universo primordiale: poter osservare strutture del web cosmico dotate di bassa densità di luce richie sensibilità elevatissima e poderosi ingrandimenti, ottenibili solo sfruttando SGL.

  • Aloni di materia oscura intorno alle galassie, visibili solo indirettamente attraverso deboli effetti gravitazionali; un ingrandimento estremo aiuterebbe a mapparne la distribuzione con maggiore precisione.

  • Lenti gravitazionali “deboli”, piccole distorsioni statistiche nella forma di galassie lontane; l’SGL potrebbe migliorare la risoluzione e la sensibilità nella loro misura.

  • Piccoli oggetti extragalattici quali galassie nane ultradeboli, nuclei galattici poco attivi o ammassi stellari spersi in regioni remote.

(2) Tra i contributi più rilevanti si possono citare i seguenti articoli:

  • Turyshev (2017), Wave-theoretical description of the Solar Gravitational Lens: fornisce la prima trattazione completa della propagazione delle onde elettromagnetiche nel campo gravitazionale solare.

  • Turyshev & Toth (2019), Optical properties of the SGL in the presence of the solar corona: analizza in dettaglio gli effetti perturbativi della corona solare sul segnale focalizzato.

  • Turyshev & Toth (2020), Photometric imaging with the SGL e Image formation with the SGL: tecniche per modellare i processi di amplificazione, diffusione e formazione dell’immagine per sorgenti puntiformi ed estese.

  • Turyshev & Toth (2022), Spectrally resolved imaging with the SGL: introduce una trattazione spettrale del processo di formazione delle immagini e valuta il rumore fotonico nel piano focale.

  • Turyshev & Toth (2022), Resolved imaging of exoplanets with the SGL: discute la fattibilità di missioni dedicate per l’imaging multipixel di esopianeti nel fuoco gravitazionale del Sole.

Tutti insieme, questi lavori delineano in modo sistematico il potenziale dell’SGL come strumento di osservazione ad altissima risoluzione, e gettano le basi per missioni spaziali future dedicate all’imaging diretto di esopianeti e di sorgenti cosmologiche estremamente deboli.

(3) Tra i molti articoli pubblicati sull'argomento ricordiamo:

  • Geoffrey A. Landis (NASA John Glenn Research Center, 2016) Mission to the Gravitational Focus of the Sun.

  • Il white paper di Turyshev, Shao, Toth, Friedman et al. (2020) Direct Multipixel Imaging and Spectroscopy of an Exoplanet with a Solar Gravity Lens Mission

(4) Si tratta di una regione che si trova ad oltre 3 volte la distanza che separa la Voyager 1 dal Sole (circa 165–170 AU); i fotoni della nostra stella viaggiano 3 giorni e 4 ore per raggiungerla.

(5) Questo perché i raggi che passano a distanze maggiori dal bordo solare vengono deviati meno e quindi vengono focalizzati a distanze progressivamente maggiori.

(6) La sensibilità della lente dipende infatti dalla lunghezza d’onda (λ) della luce osservata: se λ ~ 1 μm (un micrometro) significa che ci troviamo nell'infrarosso vicino, cioè vicino al limite del visibile che è appunto 0,7 μm.

La SGL è particolarmente efficace a questa lunghezza d’onda per motivi legati al modo in cui la diffrazione interagisce con il campo gravitazionale.

Così un pianeta lontano, che normalmente risulterebbe invisibile, diventa osservabile con un’enorme intensità apparente anche utilizzando un telescopio relativamente piccolo.

Una tale amplificazione è sufficiente per ottenere immagini megapixel di esopianeti a decine o centinaia di anni luce di distanza, per fare spettroscopia ad alta risoluzione e per rilevare firme biologiche o geologiche con un livello di dettaglio senza precedenti.

(7) Proviamo a tradurre l’amplificazione in termini di “diametro equivalente”: con amplificazione ~10¹¹ un singolo telescopio con specchio di un metro si comporterebbe come una collecting area equivalente a ~7.85×10¹⁰ m², cioè con un diametro equivalente dell’ordine di 3.16×10⁵ m (≈316 km).

(8) Tempi di viaggio per coprire una distanza di 550 AU in base a diverse velocità: con 10 AU/anno sono necessari circa 55 anni, con 20 AU/anno circa 27 anni, con 30 AU/anno circa 18 anni.

(9) Qualsiasi errore di puntamento o di posizione trasversale si traduce direttamente in un errore di ricostruzione dell’immagine.

(10) Micro-thruster quali ad esempio FEEP (Field Emission Electric Propulsion); si tratta di un micropropulsore ad emissione di ioni metallici accelerati elettricamente capace di una spinta estremamente debole ma ultra stabile.

Utilizza un liquido metallico (spesso cesio o indio) che viene estratto da un capillare o da una lama molto sottile; applicando un forte campo elettrico il metallo forma dei micro-getti (addirittura singoli ioni) che vengono accelerati ed espulsi ad altissima velocità, cosa che garantisce una spinta continua, molto stabile ed estremamente piccola (dell’ordine di micronewton).

Il FEEP è uno dei pochi sistemi capaci di regolazioni di posizione micrometriche, correzioni minime ma estremamente precise, tali da mantenere un satellite o una sonda nello stesso punto con oscillazioni di pochi micrometri.

E' previsto il suo impiego in missioni che richiedono un controllo d’assetto ultrapreciso quali satelliti di geodesia ed interferometria (LISA ed appunto missioni che mirano ad utilizzare la Solar Gravitational Lens).

(11) Anche con sistemi laser avanzati le velocità di trasmissione saranno probabilmente nell’ordine di pochi kilobit o megabit al secondo a seconda della distanza e delle tecnologie ottiche impiegate.

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